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CORRIERE DELLA SERA
24 luglio 2007
Chiesta l'archiviazione per due banchieri accusati di finanziare estremisti
«Solo politica»: i pm bocciano le «black list» di Onu e Ue
Milano, sono «frutto di sospetti», non valgono come prove in giudizio


MILANO — «Il mero inserimento» del nome di una persona «nelle cosiddette black list » di sospetti finanziatori del terrorismo internazionale di matrice islamica, stilate dall'Onu e dal Consiglio d'Europa sulla scia degli Usa dopo la strage delle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001, «non può costituire elemento di prova penalmente rilevante a suo carico in ambito giudiziario ». E questo perché «l'inserimento nelle black list (e la conseguente procedura di congelamento dei beni) avviene, a livello di organismi delle Nazioni Unite e dell'Unione Europea, all'interno di una procedura che muove principalmente da opzioni e proposte politiche, senza cioè che sia necessario alcun definitivo accertamento giudiziario preliminare». Ma proprio per questo, la black list, «quando non derivi da indagini giudiziarie», può costituire «solo uno spunto per avviarle o arricchirle », mentre «non appare certo possibile attribuire ad essa un valore di prova». Altrimenti, si sposerebbe «ancora una volta una non condivisibile concezione della lotta al terrorismo». Con queste motivazioni la Procura di Milano ha chiesto l'archiviazione dell'egiziano Youssef Nada e dell'eritreo Ahmed Idris Nasreddin, soci in una vasta rete di imprese in mezzo mondo, membri della Confraternita musulmana, il secondo già anche console del Kuwait a Milano e in passato finanziatore dell'Istituto culturale islamico di viale Jenner.

INDAGATI IN SVIZZERA E ITALIA - Nada, difeso da Luca Bauccio, e Nasreddin, patrocinato dal professor Ennio Amodio e da Gabriele Casartelli, sulla base delle black list del 2002 erano stati indagati sia in Svizzera sia in Italia dal Gico della Gdf e dalla Procura di Milano, dove a Nasreddin l'«Hotel Nasco» era stato «congelato », cioè sottoposto a «gestione condizionata» dal Comitato di Sicurezza Finanziaria del Ministero dell'Economia. Ma ora la richiesta d'archiviazione muove su due binari. Una di merito: «Le indagini Gdf, che hanno integrato quelle elvetiche, non hanno rilevato movimentazioni che possano far ritenere che il denaro provenisse o fosse destinato a persone e/o organizzazioni collegate o collegabili con sicurezza al terrorismo». Certo, i due indagati hanno sostenuto la Confraternita musulmana, «ma essa non può qualificarsi un'organizzazione terroristica ». Certo, nei due «possono rilevarsi atteggiamenti reticenti e darsi per scontate attività bancarie non trasparenti e disinvolte all'estero »: ma, a parte il fatto che «un notevole grado di spregiudicatezza caratterizza consistenti settori del mondo finanziario», non è certo questo a «provare il supporto a gruppi terroristici». E se persone in contatto con gli indagati ebbero rapporti con Hamas, questa organizzazione è stata inserita tra quelle terroristiche dal Consiglio Ue solo dall'aprile 2004, «cioè ben dopo l'esaurirsi dei rapporti oggetto di interesse investigativo».

- Ma c'è di più per il procuratore aggiunto Armando Spataro e i pm Luigi Orsi e Nicola Piacente. Le black list, osservano, sono frutto di «decisioni adottate esclusivamente in base a sospetti e a conseguenti opzioni politiche, sia pure a livello di qualificate sedi internazionali » (Onu, Ue, Usa). E il loro utilizzo di natura non giurisdizionale «a fini di congelamento di beni» come prevenzione, pone problemi: il congelamento «non può essere sine die »; e se oggi non c'è una sede dove ricorrere contro il congelamento, deve invece essere «prevista la possibilità di rimedi giuridici» in contraddittorio, e «specificatamente di cancellazione dalle liste». Altrimenti, «nel delicato equilibrio tra esigenze di sicurezza e rispetto dei diritti umani e delle garanzie dei cittadini», si finirebbe per far «prevalere una "filosofia" » che vede «la sicurezza soltanto come un mezzo (anzi il mezzo privilegiato) per difendere ed accrescere la libertà»: scelta, però, che «estende deroghe, strappi e lesioni più o meno profonde del principio di legalità», e che «produce altresì una più generale assuefazione all'idea che le regole della giurisdizione siano un inutile impaccio, del quale liberarsi anche per contrastare fenomeni criminali ben meno gravi del terrorismo». Per gli indagati, però, non finisce qui: «Valuteremo — anticipa il legale di Nada, Bauccio, che sugli effetti delle black list aveva già proposto anche una questione di incostituzionalità — la possibilità di citare in giudizio e chiedere i danni al Governo italiano, rimasto 6 anni indifferente rispetto a una situazione di chiara illegalità».
Luigi Ferrarella
(lferrarella@corriere.it )




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