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LA STAMPA
20/6/2007
Il triangolo attorno al Governatore
FRANCESCO GRIGNETTI

Indagando Caltagirone, Fazio, e gli immobiliaristi Ricucci, Coppola e Statuto,
l’inchiesta sulla scalata alla Bnl arriva all’ultima svolta. Finisce nei guai
il terzo gruppo, quello romano dei contropattisti, che si vedevano tra piazza
San Lorenzo in Lucina e via Barberini.

Finora si sapeva dei bolognesi Gianni Consorte e Ivano Sacchetti, ovvero i
vertici di Unipol. La finanza rossa. Ed era venuta allo scoperto l’inchiesta
sui bresciani Emilio Gnutti, Ettore e Tiberio Lonati. La finanza padana. Con i
romani, il triangolo di interessi e di uomini molto lontani tra loro che si era
saldato attorno alla Banca nazionale del Lavoro, benedetto se non spronato dall’
allora Governatore di Bankitalia Antonio Fazio, ebbene, il triangolo si
ricompone nei registri degli indagati. C’è una indagine a Roma. Un’altra a
Milano. E anche Perugia indaga a proposito di una prima informativa della Gdf
che secondo un colonnello fu «edulcorata» dopo una riunione a palazzo di
Giustizia tra gli investigatori e il procuratore aggiunto Achille Toro, attuale
capo di gabinetto del ministro Alessandro Bianchi (Trasporti).

E’ stato chiaramente Ricucci, con le sue confessioni, ad aver dato corpo e
sostanza a un sospetto tutto da dimostrare ma che da almeno due anni aleggiava
nelle stanze della procura: ovvero che la scalata alla Bnl fosse viziata all’
origine da accordi segreti e inconfessabili al mercato. Aggiotaggio informativo
e manipolativo, più insider trading, i reati ipotizzati. La magistratura
insomma sta riscrivendo la storia di quella scalata, che fu apparentemente
portata avanti in due tempi (prima gli immobiliaristi che accorrono da
Caltagirone in nome della «romanità» di Bnl; poi Unipol che subentra per
uccidere l’Opa spagnola) ma che ormai i pm Cascini e Sabelli ritengono fosse
una sola fin dall’inizio.

C’è, alla base di tutto, il mistero di una quota azionaria del 10% di Bnl che
ancora non ha padri. E’ parcheggiata presso una finanziaria lussemburghese e
non se ne viene a capo. Ricucci, incalzato dai magistrati, ha dato una sua
risposta: direttamente o indirettamente, attraverso la banca Finnat (che l’ha
querelato) o attraverso la famiglia italo-argentina Macrì, o attraverso una
qualche finanziaria, farebbe capo a Caltagirone. Un’accusa gravissima che l’
ingegnere, appena letti i giornali, ha smentito con toni accesi. «Se qualcuno
intende adombrare qualche mio interesse in quel pacchetto, spetta alla
magistratura controllare a ritroso tutti i passaggi azionari verificando i nomi
degli effettivi proprietari».

C’è un pranzo misterioso al centro delle indagini. Il 18 marzo ci fu al
mattino una riunione a casa di Antonio Fazio. Parteciparono Fiorani, il suo
direttore finanziario Gianfranco Boni e gli advisor Arnaldo Borghesi e Luca
Ditadi. Alle dodici si spostarono a casa di Caltagirone e a quella tavola
nacque il Contropatto. Sempre lì, si cominciò a parlare del misterioso
pacchetto del 10%.

Anche la discesa in campo di Unipol resta misteriosa. C’è un rapporto della
Gdf che ricostruisce tutti i passaggi e adombra snodi non chiari. Quand’è
esattamente che Unipol, direttamente o indirettamente, comincia? Il pm Cascini
ne discute con Ricucci: «E hanno comprato...». «Appoggiavano l’operazione
Unipol». «Rastrellavano azioni Bnl?». «Certo». «Tutte queste banche qui? Anche
Gnutti?». «Era il numero uno».

Ufficialmente è il 18 luglio che Unipol rende pubblici i patti parasociali che
l’hanno portata al 41,96% del capitale. Due mesi prima, al 21 maggio,
controllava appena l’1,97%. Come ha fatto a galoppare tanto? E soprattutto: è
stato correttamente informato il mercato? Consorte, già ai primi di luglio
diceva al telefono a uno dei suoi principali collaboratori, Roberto Giay:
«Siccome poi noi faremo un’Opa obbligatoria di concerto proprio con questi
qui... con Hopa, le cooperative e le banche». E impartisce quest’ordine: «Io
avevo già fatto il giro ieri con Gnutti e tutti mi avevano detto di no.... però
rifalle e fattelo mettere per iscritto da tutti e tre, perché questi qui... non
c’eravamo capiti, non avevamo detto.... quindi ce lo scrivono».




INES TABUSSO