00 26/09/2006 20:21

(Con un grosso grazie a Liza!)


Corriere del Mezzogiorno
26 settembre 2006
Un convegno sul malessere delle periferie
SE L'ANNO ZERO PASSA DA SCAMPIA
di BENEDETTO GRAVAGNUOLO *

Che nella periferia nord di Napoli persistano aree di profondo degrado (non solo urbanistico) è una verità che non richiede (reiterate) dimostrazioni. Le foto delle condizioni abitative dell'ex Motel Agip, pubblicate dal Corriere del Mezzogiorno nei primi giorni di agosto, hanno comprovato (con cruda evidenza) una realtà che non è retorico definire disumana. Al rito delle demolizioni delle Vele ( prescelte come capro espiatorio per un'improbabile catarsi mediatica) non ha fatto seguito - nei tempi programmati - la costruzione dei nuovi alloggi atti ad accogliere gli abitanti sfollati da quelle macrostrutture abbattute. Si tratta di ritardi tecnici giustificati dalla complessità delle procedute attuative, ma che producono conseguenze drammatiche sull'esistenza quotidiana di molte famiglie.
È solo un esempio: la « punta » di un malessere diffuso. C'è da chiedersi piuttosto quale interrelazione può innescarsi tra il degrado urbano ed i comportamenti violenti o criminali. Non è facile rispondere a tale interrogativo, a meno di non voler ricorrere alle formulette del determinismo socioeconomico. Non si può fare di tutt'erba un fascio. È fuorviante confondere i carnefici con le vittime, i camorristi con la stragrande maggioranza di cittadini onesti che subiscono l'oppressione criminale.
Sul tema delle « Periferie d'Europa tra violenze e progetti » si terrà a Napoli ( tra il 23 e il 24 ottobre , presso il « Grenoble » a via Crispi) un convegno internazionale di studi aperto da una relazione di Marc Augè, direttore della prestigiosa « Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales » di Parigi. Tale simposio, promosso dall'Institut Français de Naples in collaborazione con gli Annali di Architettura, tenterà di risalire alle ra dici profonde del diffondersi ( in forme sempre più irruenti) dell'aggressività nelle aree marginali delle grandi metropoli europee, attraverso un serrato confronto tra sociologi, urbanisti, criminologi e architetti di chiara fama. Se osservate da un'angolazione sovranazionale, le violenze urbane non sono sempre stigmatizzabili come fenomeni criminali. Non di rado scaturiscono da una rivolta ( estremizzata) contro le diseguaglianze sociali.
Nell'attesa di tale approfondimento sociologico, possiamo provare a valutare il disagio abitativo di Scampia da un punto di vista più strettamente urbanistico. Dando per acclarato che siamo di fronte ad una « metastasi » del tessuto urbano, proviamo ad affrontare il problema con una razionale « com passione » , analoga a quella che assume un medico nei confronti di un malato grave. Dopo una diagnosi impietosa, è umanamente logico proporre una terapia.
Fuor di metafora, sarebbe irresponsabile ( per usare un eufemismo) dare per « perduta » una parte significativa della nostra città ( o, ancor peggio, l'intera Napoli). Dilungarsi nella ricerca delle « colpe » è un esercizio critico che rientra ormai a pieno titolo nel campo della storiografia. È evidente che il peccato originario risale alla fine degli anni Sessanta, quando credendo di rispondere all'ingente domanda sociale di case si è realizzato nella periferia nord un quartiere di casermoni per circa settantamila abitanti senza progettare una forma urbana. Le responsabilità della cultura architettonica del tempo sono gravissime. Ma gli architetti da soli non sarebbero stati capaci di generare quel « mostro » scaturito da un collettivo « sonno della ragione » .
L'errore più eclatante è stato aver concentrato una sola classe sociale in un luogo senza qualità, ( senza una piazza, senza centri di aggregazione), accumulando aritmeticamente ( ma disordinatamente) residenze, infrastrutture e attrezzature sociali senza un disegno civile.
Ebbene, facciamo finta di essere all' anno zero . E proviamo a chiederci cosa di può fare d'ora in avanti .
Per chiarezza, enuncio subito il postulato: bisogna trasformare questo « non luogo » in una parte « moderna » della nostra città ( con teatri, cinema, negozi, centri universitari ed altri attrattori di utenza a scala metropolitana). Tuttavia, di fronte all'impossibilità di ristrutturare integralmente l'intero impianto urbano, è necessario individuare con lucidità alcuni interventi puntuali atti ad innescare processi collaterali di rigenerazione. Non mancano progetti già ideati in questa direzione. Il più noto ( e, al tempo stesso, la sfida più significativa) resta il trapianto di una scuola di Medicina nel cuore stesso di Scampia.
Molti altri interventi sono in corso di elaborazione. Nell'
anno nuovo è però necessaria una drastica virata, che senza spezzare il filo della continuità, imprima tuttavia alla rotta della gestione urbana più celerità, più concretezza e più condivisione nel varo dei progetti. È legittimo pertanto attendersi la presentazione ? e la conseguente pubblica discussione ? di un « Piano attuativo » per la periferia nord, che individui le priorità strategiche e le relative risorse finanziarie ( sia pubbliche che private). Tale disegno strategico sarà tanto più apprezzabile se distinguerà con nitore gli interventi realisticamente fattibili nei prossimi cinque anni da quelli strutturali di più lunga durata. Benedetto Gravagnuolo

* Preside della Facoltà di Architettura della Federico II




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Corriere del Mezzogiorno
26 settembre 2006
NAPOLI SUL BARATRO
CITTÀ PERDUTA, PLEBE STERMINATA UN « MONDO A PARTE » DA 500 ANNI
di VINCENZO GALGANO *


Napoli è perduta? Oggi si parla e si scrive tanto di Napoli, che sarebbe al suo termine ultimo di città, cioè, di aggregazione omogenea e specifica di cittadini.
« Na poli perduta! » proclama un settimanale di larghissima diffusione dalla rutilante copertina.
Ed anche servizi televisivi evidenziano, con la forza delle immagini, sia pure selezionate e finalizzate, la decadenza, addirittura il tracollo, della vita civile della nostra comunità urbana.
Sarebbe bello poter protestare che si tratta di esagerazioni e di menzogne. Purtroppo è in gran parte vero tutto ciò che si scrive e che viene mostrato. E trapela dalla passiva ricezione una sorta di generale rassegnato fatalismo, che non è certo contraddetto dalle marce, dalle fiaccolate, dalle celebrazioni, dalle buone parole e dalle esortazioni virtuose. Né, credo, il ricorso a vecchi arnesi della politica e della giustizia, dei quali si ricordano ad arte le artificiose autocelebrazioni e non i disastri operativi ed i fallimenti in serie, può in qualsiasi modo giovare.
Non abbiamo bisogno di estranei per migliorare; da fuori non può venire mai la soluzione dei nostri problemi; noi stessi ? con i nostri soli mezzi di conoscenza e di volontà ? dobbiamo tirarci in salvo. Dobbiamo ? quindi ? rinnovarci: nei nostri cuori e nelle nostre coscienze. Dobbiamo, cioè, recuperare il senso morale della esistenza: preoccuparci meno di avere; impegnarci ? soprattutto ? a dare; riacquistare, in altre parole, il rispetto di noi stessi e dei nostri simili.
Oggi come oggi sono pochi gli esponenti della classe dirigente napoletana ( e non napoletana), che meritino incondizionato rispetto. E quei pochi sono mescolati ad una folla di egoisti, ipocriti, avidi, incolti personaggi, vera e propria folla che grava come una nube velenosa sulla nostra comunità cittadina ( e sull'intero Paese) e che ha tra i propri fini, per ragioni di autodifesa, la propalazione dell'idea che tutti siamo come i personaggi suddetti, e che non vi siano persone preparate e oneste e che tutto abbia un prezzo e sia merce. Tanto che quando il cittadino qualsiasi si imbatte per caso in soggetti onesti, preparati e disinteressati, il primo e più forte senso che avverte è di stupore.
Ecco il vero principale nemico della città, che può essere sconfitto soltanto con il recupero del senso morale, della dignità del lavoro correttamente ed onestamente compiuto, della solidarietà verso il prossimo. Ma non basta.
Napoli non è sorta ieri, la sua storia si è dipanata attraverso tutte le vicende dell'Europa, del Mediterraneo, dell'Italia. A partire dal 1500, mezzo millennio fa, Napoli si è strutturata ed organizzata all'incirca come è adesso. Dapprima i vicerè, poi i Borboni, infine lo Stato unitario si sono confrontati con la realtà napoletana; e di questa realtà hanno fatto governo secondo i vari congegni operativi consentiti o imposti dal susseguirsi degli ordinamenti. Ma tutti hanno dovuto venire a patti con un fenomeno sociale unico in Europa: la presenza di una plebe sterminata, sottoccupata e miserrima, che aveva costumi, riti, usanze e lingua propri.
Accantonando la memoria della rivolta di Masaniello, che pure ha presentato connotati unici nell'Europa del 1600, non è male ricordare lo straordinario impegno dei giacobini napoletani per coinvolgere la plebe nella vita della repubblica partenopea. Quell'impegno non ebbe successo, come fu dimostrato dalle stragi e dai saccheggi che accompagnarono la fine della repubblica. Nei due secoli successivi la plebe napoletana ha avuto poche e circoscritte occasioni per progredire, per trasformarsi in cero operaio, per divenire componente civile di un moderno paese democratico, determinando un condizionamento negativo, che dovrebbe imporre alla classe dirigente napoletana quell'impegno morale, senza del quale è vano sperare nel progresso, o meglio, nel recupero, della città.
Né può dimenticarsi, come purtroppo avviene da parte di tutti, che i comportamenti umani debbono avere una retribuzione, un riconoscimento secondo la loro valenza positiva o negativa. La grande massa dei napoletani, che vivono la grama quotidianità con continui, coraggiosi ed ingegnosi sacrifici, devono pur vedere che l'illegalità, la disonestà ed il delitto non danno solo frutti gratificanti.
Vincenzo Galgano


* Procuratore generale della Repubblica, Napoli


INES TABUSSO