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LA REPUBBLICA
21 settembre 2006
CHI HA MUNTO LA VACCA DEI NOSTRI TELEFONI
EUGENIO SCALFARI

L´AFFARE Telecom approda in Parlamento; in Senato col ministro Gentiloni avremo la prova generale, poi alla Camera la prossima settimana con Prodi in persona. L´affare Telecom – come ama chiamarlo usando un francesismo peggiorativo l´ex ministro Tremonti – in realtà non è un "affaire", ma è certamente un problema. Del quale giova esaminare la dimensione, le incognite, le possibili soluzioni. E i protagonisti: Prodi (e Rovati), Tronchetti Provera, Guido Rossi. Nello sfondo del passato Colaninno; nello sfondo del futuro forse Berlusconi. Al centro l´azienda telefonica, malamente privatizzata e di fatto ancora in posizione monopolistica.
Proprio dall´azienda deve cominciare la nostra analisi. Dai suoi debiti. Dai suoi ricavi. Dai suoi (insufficienti) investimenti. Dal suo azionariato. Con una prima precisazione per sfatare un luogo comune ripetuto in questi giorni da tutti, nessuno escluso: non è affatto vero che Telecom sia schiacciata dal suo debito. Non è quella la sua malattia. Esso ammonta a 41 miliardi; probabilmente, calcolando operazioni a breve su titoli "derivati", si arriva a 45. Si tratta certamente d´una mole imponente e tuttavia gestibile. In buona parte sotto forma di bond a tasso fisso e lontana scadenza, e di anticipazioni bancarie a lungo termine.
A fronte di questo debito ci sono ricavi e "cash flow" altrettanto imponenti e un attivo patrimoniale di tutto rispetto. Non è dunque questo il punto debole dell´azienda, bensì la struttura dell´azionariato di controllo. Il punto debole, anzi debolissimo e patologico, non sta dentro Telecom Italia ma a monte, nella lunga catena societaria al vertice della quale troviamo la finanziaria personale di Tronchetti Provera il quale, da quel puntino lontano lontano, controlla la più grande azienda italiana con soltanto l´1 per cento di capitale, attraverso Pirelli e Olimpia. Anche queste società – che sono soltanto scatole finanziarie salvo un pallido residuo industriale nella Pirelli – sono fortemente indebitate senza tuttavia generare flussi di ricavi e di "cash flow". La loro fonte di sostentamento unica è Telecom, a condizione ovviamente che la grande azienda a valle trasformi a ritmo accelerato i suoi profitti in dividendi per i piani alti e altissimi della catena di controllo.Si configura in tal modo una geometria non nuova nel capitalismo italiano, spinta in questo caso al suo limite estremo: il potere di comando che dal remoto puntino Tronchetti si irradia verso la base aziendale incatenandone le decisioni agli interessi dell´azionista di riferimento e il flusso di risorse finanziarie che quell´azionista confisca a proprio vantaggio depauperando l´azienda che le produce. Il paradosso è qui: Telecom Italia dovrebbe essere l´azienda-figlia, invece nella realtà dei fatti è l´azienda-madre dei suoi genitori Olimpia, Pirelli e, su su, Marco Tronchetti Provera.
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Questa anomalia c´è sempre stata in Telecom fin da quando fu privatizzata e affidata al "nocciolino duro" in cui la Fiat fungeva da leader di riferimento. All´epoca – si parla di un decennio fa – la Fiat con una decina di altri nomi rutilanti guidò per circa un anno la ex Stet monopolista pubblica della telefonia, con una partecipazione dello 0,6 per cento del capitale. Il consiglio d´amministrazione era guidato dalla famiglia Agnelli e da istituti bancari amici. Presidente era Guido Rossi che aveva accettato l´incarico per guidare la ex Stet privatizzata verso una struttura di "public company", cioè una società senza azionisti di riferimento guidata da un forte management.
Rossi non ha mai nascosto questa sua preferenza verso la "public company" quando si tratta di società di grandissime dimensioni con impegni di investimento ben superiori alle capacità del capitalismo familiare. Ma nel caso Telecom non riuscì a far passare quel suo disegno. Gli Agnelli glielo impedirono, forse anche per non mettere in crisi "ideologica" il capitalismo familiare che aveva il suo massimo esempio proprio a Torino nella struttura dell´accomandita di famiglia che attraverso Ifi-Ifil controllava il pianeta Fiat con il 30 per cento del capitale. Rossi abbandonò. E abbandonarono anche i torinesi subito dopo sotto l´offensiva di un´Opa di proporzioni per l´Italia colossali, lanciata dalla cosiddetta "razza padana": Colaninno-Gnutti sull´asse Mantova-Brescia, alla conquista di Roma. Con la simpatia del governo D´Alema e con i soldi delle banche. Cioè col debito. Che fu, all´epoca, di 38 miliardi.
C´è una differenza strutturale tra la Telecom di Colaninno-Gnutti e quella di Tronchetti-Benetton (nella quale per altro i bresciani di Gnutti sono rimasti fino all´altro ieri)? Una differenza c´è e non è da poco. La Telecom di Colaninno possedeva una rete di partecipazioni in aziende telefoniche all´estero che costituivano altrettanti tesoretti. Sono stati tutti venduti da Tronchetti due anni fa al prezzo di realizzo di 15 miliardi, salvo la Telefonica do Brasil che dovrebbe essere venduta nel prossimo futuro ad un prezzo tra i 7 e i 9 miliardi. Ciò vuol dire che il debito dell´epoca Colaninno, al netto di questi "asset", non era di 38 bensì di 13 miliardi, oppure di 23 se non si considera la società brasiliana. Fa una bella differenza rispetto ai 41 e passa miliardi di debito odierno.
Si tratta ora di capire come mai il debito all´epoca di Tronchetti sia raddoppiato e che fine abbiano fatto i 15 miliardi ricavati dalla vendita delle partecipazioni estere. Presto detto: sono serviti a finanziare l´Opa per l´acquisto delle partecipazioni di minoranza di Tim, la società di telefonia mobile che un anno e mezzo fa Tronchetti aveva deciso di fondere con Telecom portandone la partecipazione dal 70 al 100 per cento.
Ma perché volle il possesso totale del capitale Tim? Perché altrimenti la sua partecipazione in Telecom tramite Olimpia si sarebbe annacquata con l´ingresso dei soci minoritari di Tim. Per conseguenza il flusso di risorse finanziarie da Telecom ai piani alti della struttura societaria sarebbe diminuito. E perché – ultima domanda – voleva fondere Tim in Telecom? Per far lievitare il prezzo di Borsa di Telecom. Tronchetti comprò da Colaninno-Gnutti al prezzo di oltre 4 euro per azione, il doppio della quotazione di allora e di oggi in Borsa. Cercò in tutti i modi di risollevare quel prezzo cui sono legati i margini di garanzia chiesti dalle banche sui debiti di Olimpia e di Pirelli.
In sostanza l´intera politica di Tronchetti è stata condizionata dalla debolezza delle sue società a monte di Telecom, cioè dal suo personale interesse a dispetto di quello della Telecom e dell´ingente massa dei suoi azionisti-risparmiatori.
Questo è il punto debolissimo di Telecom: la confisca delle sue risorse in favore dell´azionista di riferimento.
A suo tempo Raul Gardini fece più o meno lo stesso con la Montedison. Il caso vuole che anche allora, per riparare a quel drammatico crack, fosse chiamato Guido Rossi. Anche allora il buco non era in Montedison ma in Ferruzzi-Gardini. Lo schema è identico. Ha ragione Bersani: l´anomalia è il capitalismo italiano, debole e monopoloide.
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Questo è dunque il problema Telecom. Su di esso nasce "l´affaire" politico-mediatico. Tronchetti, che è già consapevole di essere arrivato alla fine della corsa, tenta il diversivo Murdoch: scorporare la rete telefonica di Telecom e scorporare anche Tim. La seconda per venderla e usare i soldi per diminuire il debito, la prima per trasformare Telecom in una società mediatica utilizzando la banda larga della rete e ottenendo da Murdoch i contenuti: programmi, sport, film, intrattenimento.
Deve necessariamente informare il presidente del Consiglio: la rete lavora infatti con licenza dello Stato, occupa suolo pubblico, è un bene pubblico a tutti gli effetti. Non può farne ciò che crede alla chetichella. Per di più lo Stato possiede ancora in Telecom la "golden share". Non intende usarla in conformità alle direttive europee ma essa gli dà tuttavia il diritto di essere informato.
Ci sono due colloqui tra Tronchetti e Prodi. Vertono sullo scorporo della rete. Non una parola sullo scorporo di Tim. Prodi legge quest´ultima decisione sui giornali. Tronchetti sostiene d´averlo informato. Prodi risponde con un comunicato nel quale racconta gli argomenti toccati nei due colloqui. Tim non c´è. Ci sono però altri dati sensibili sulla trattativa con Murdoch. Tronchetti protesta (con ragione) per quelle indiscrezioni del presidente del Consiglio. Ma non si limita a protestare. Fa recapitare a "24 Ore" e al "Corriere della Sera" un documento inviatogli pochi giorni prima dal consigliere di Prodi, Rovati, che contiene un piano (probabilmente redatto da una banca d´affari) per far acquistare dalla Cassa depositi e prestiti il 30 per cento della rete Telecom risanando in tal modo gran parte del debito dell´azienda telefonica.
Scandalo e altissime proteste politiche ed anche confindustriali: il governo vuole dunque resuscitare l´Iri? Rinazionalizzare Telecom?
La difesa di Prodi è debole. Nega di conoscere il piano Rovati. Nega di pensare ad un nuovo Iri. Ricorda (con ragione) che la Cassa depositi e prestiti è stata trasformata in società per azioni da Tremonti e predisposta ad operazioni private con soldi pubblici.
Ma ormai il problema è diventato "affaire" e come tale – dopo ulteriori resistenze di Prodi – sbarca in Parlamento, dove purtroppo si parlerà della spuma politica anziché della sostanza. Di Prodi, Rovati, Tronchetti, anziché di Telecom.
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Sulla sostanza intanto è arrivato Guido Rossi. Anche lui suscitando con la sua ascesa-bis alla presidenza della società telefonica, un sommovimento nella Federcalcio e nel Coni.
Per ora Rossi è imperscrutabile, come è giusto che sia. Ma alcune induzioni si possono comunque fare fondatamente.
1. Allo stato dei fatti in Telecom c´è ancora un azionariato di comando: Olimpia, alias Tronchetti più Benetton. Rossi è stato eletto presidente da Olimpia, cioè dal consiglio di Telecom dominato da Olimpia. Immagino che, al momento della nomina, Tronchetti gli abbia chiesto se avrebbe proseguito o invece contrastato le decisioni di scorporo prese pochi giorni prima dal consiglio d´amministrazione. Immagino anche che Rossi gli abbia risposto positivamente.
2. Infatti appena insediato Rossi ha reso esplicita questa sua posizione: accetta le delibere del consiglio. Gli è stato chiesto: quindi Tim sarà venduta? Ha risposto: nelle delibere del consiglio la vendita non è prevista. E´ la verità, non è prevista. Se vendere o no è un caso aperto ma lo decide non più Tronchetti bensì Rossi e il consiglio.
3. Olimpia possiede in Telecom il 18 per cento, alcuni fondi d´investimento e altri investitori istituzionali italiani e stranieri arrivano a più del 50 per cento. Il resto è di piccoli azionisti-risparmiatori. Personalmente credo che Rossi al più presto convocherà i fondi per sondare le loro intenzioni su Telecom, sulle sue controllate e sulla sua "governance" futura. Credo anche che punterà per la seconda volta a trasformare Telecom in una "public company".
4. Ovviamente Rossi è contrario ad un´ipotesi di intervento pubblico in Telecom e nella rete distributiva.
Ma qui non avrà ostacoli di sorta.
5. Una cordata italiana o mista per allargare il nocciolo duro? L´opinione di Rossi è sempre stata che l´epoca del capitalismo familiare – anche se composto da famiglie finanziariamente cospicue – è improprio per un´impresa delle dimensioni di Telecom. Personalmente credo perciò che non sarà questa la strada di Rossi. Se invece lo fosse, probabilmente su quella strada incontrerebbe la Fininvest di Berlusconi con tutte le complicanze che il conflitto di interessi dell´ex premier si porta appresso.
Comunque vedremo molto presto in quale direzione Rossi si inoltrerà. E´ un grande tecnico. Ho notato che da qualche tempo ha acquistato anche un´esperienza politica prima nascosta dalla ruvidezza del giurista. Non può che essergli d´aiuto nella nuova impresa con cui dovrà cimentarsi.


INES TABUSSO