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CORRIERE DELLA SERA
26 febbraio 2006


L’attacco di Casini: pecore nere tra i giudici
Castelli offre una tregua, gelo dell’Anm. E il ministro: riforma scritta male, è stato uno di voi

ROMA - La battuta riservata dal presidente dell’Anm, Ciro Riviezzo, al Guardasigilli Roberto Castelli dà la cifra dello stato dei rapporti tra i magistrati e la Casa delle Libertà: «Signor ministro, se lei ha scritto un libro sugli insulti che ha ricevuto, noi avremmo dovuto scrivere un’enciclopedia». E non è finita. Perché sul teatro Capranica, dove il sindacato delle toghe si interroga su una riforma Castelli che a parere del ministro potrebbe «in parte sopravvivere» anche con un governo dell’Unione, arriva la spallata di Pier Ferdinando Casini che parla di «pecore nere» e di «magistrati faziosi» che entrano in politica: «Invito l’Anm a fare pulizia in casa perché c’è una parte militante di magistrati che getta ombra su tutti». Casini elogia il giudice Luigi Scotti, «che ha rifiutato la candidatura offertagli dai Ds», e continua a bastonare verbalmente il giudice Libero Mancuso: «Un fazioso che passa con disinvoltura dalle aule giudiziarie alla politica».
Il Congresso dell’Anm è dedicato, oltre che all’«Efficienza della giustizia», anche alla «Difesa della Costituzione». E così il procuratore aggiunto di Milano Edmondo Bruti Liberati replica con decisione al presidente della Camera: «Chi sono i militanti? I 500 magistrati iscritti a questo congresso o quelli che hanno scioperato contro la riforma dell’ordinamento giudiziario? Se il presidente Casini si riferisce ai magistrati che difendono la Costituzione, vuol dire che siamo tutti militanti». L’applauso è assicurato come quando Franco Ippolito manda a dire a Casini che il centrodestra farebbe bene a guardare in casa propria perché lì ci sono magistrati portati in Parlamento «per servire degli interessi che ora verranno ricandidati senza polemica».
Al congresso di Roma il tema più caldo riguarda le carriere dei giudici e dei pm che tra qualche giorno si troveranno a fare i conti con i primi effetti della riforma Castelli sull’ordinamento giudiziario. Il ministro della Lega è in prima fila, accolto da un gelido silenzio perché in sala passa l’indicazione di non fischiare e non contestare il governo. E così è. Tanto che Castelli («Signori congressisti», esordisce) si guadagnerà anche un paio di applausi (in realtà l’intento dei magistrati sembra ironico) quando ammette che «la riforma è stata scritta molto male. Perdonatemi la battuta l'ha scritta un magistrato, il relatore della legge». Un altro applauso, il ministro se lo conquista quando brandisce libretto e propone ai presenti «il rispetto assoluto della Costituzione».
Dopo 5 anni passati con l’elmetto in testa, Castelli e i magistrati non possono fare la pace. Il ministro sfida la platea dicendo che ormai la riforma c’è e non è «mica sicuro che il prossimo governo ne cancellerà l’impianto. E’ una macchina sofisticata pronta per essere messa in moto». A proposito, insiste il Guardasigilli cercando il fischio che non arriva, «siete proprio sicuri che c’è già un vincitore delle elezioni? Attenzione perché la lotta è ancora aperta e non vorrei che qualcuno si fosse posizionato troppo in fretta».
A Castelli, l’Anm riserva la tecnica televisiva del «panino». Il suo intervento è preceduto da quello di Giuseppe Gennaro (che sarà il prossimo presidente dell’Anm) e seguito da quello di Bruti Liberati. A Gennaro tocca elencare le «leggi ad personam» di questo governo pur ribadendo che l’Anm ha avuto in passato problemi anche con i Ds: «D’Alema faceva gli aeroplanini di carta quando ci riceveva a Botteghe Oscure». Mentre Bruti chiude il cerchio e illustra la linea: «La riforma è da azzerare. Sarebbe da irresponsabili per l’incolumità pubblica mettere in circolazione una macchina che non può funzionare». Quando se ne va, Castelli dice che Bruti gli «ha chiuso la porta in faccia». Replica il vice segretario Nello Rossi: «Non abbiamo mai chiuso la porta in faccia a nessuno, ma per dialogare bisogna parlare lo stesso linguaggio». Per i magistrati, come suggerisce Livio Pepino, «l’intervento del ministro non passerà alla storia».
Dino Martirano


BOBBIO
«Quel testo è mio Non avevo previsto gli emendamenti»
ROMA - Riforma dell’ordinamento giudiziario scritta male perché il relatore era un magistrato? «Abbiamo usato tanto giuridichese per renderla più comprensibile ai magistrati». Questa la replica dell’ex pm napoletano Luigi Bobbio (An), relatore al Senato del provvedimento (alla Camera il relatore è stato l’ex pm romano Francesco Nitto Palma, di Forza Italia), alla semiseria accusa lanciata dal ministro Castelli. Poi, il senatore di An si fa serio e parla dei cambiamenti cui è stato sottoposto il testo: «Con i suoi maxi emendamenti, il ministro non ci ha dato certo una mano a semplificare una situazione che di per sé era già abbastanza complessa».
D. Mart.


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«Il Csm tace, ma noi non ne possiamo più»
Marvulli: «Neanche il Papa può contestare l’azione penale, figurarsi il premier»
ROMA - «Dimettermi io? Ma non scherziamo... Non ci penso proprio». È ironico, quasi sfrontato il presidente della Corte di Cassazione Nicola Marvulli. Il suo botta e risposta a distanza con Silvio Berlusconi non ha precedenti. «Con le loro inchieste i magistrati hanno consegnato Antonveneta agli stranieri», aveva accusato il premier. «È in un delirio di persecuzione», aveva ribattuto l’alto magistrato. Nelle ultime settimane Marvulli ha abbandonato la sua abituale riservatezza e criticato duramente le più recenti leggi varate dalla maggioranza parlamentare della Casa delle Libertà in materia di giustizia. Dalla Cirielli («un’amnistia mascherata») alla Pecorella («mi lascia sbigottito»). Tanto da guadagnarsi, lui che è sempre stato ritenuto un conservatore, l’epiteto di «comunista» dall’avvocato e deputato di Forza Italia, Carlo Taormina.
Adesso torna a parlare. E risponde punto per punto alle critiche che arrivano dai politici, primo fra tutti lo stesso presidente del Consiglio. «E non lo faccio certo per difendere me stesso», puntualizza il giudice che andrà in pensione a ottobre, quando compirà 75 anni. Se è ancora in servizio, lo deve ad una norma varata proprio dal governo Berlusconi che prorogava l’età lavorativa dei magistrati da 72 a 75 anni. Una legge, si disse allora, voluta proprio per favorire il primo presidente della Cassazione che di lì a poco avrebbe presieduto il collegio chiamato a giudicare l’istanza di spostamento dei processi a Berlusconi e Previti da Milano a Brescia. Istanza poi rigettata.
Il perché delle sue esternazioni - definite «insulti» da Silvio Berlusconi e «indecenti» da Francesco Cossiga che ha chiesto a Ciampi di «intimargli di lasciare il suo posto» - è in una frase secca che Marvulli sillaba: «Non ne possiamo più». Poi non si ferma. Anzi rilancia: «Neanche il Papa può permettersi di contestare l’obbligatorietà dell’azione penale, figuriamoci se può farlo il presidente del Consiglio. Ho parlato perché avevo il dovere di difendere i pubblici ministeri di Milano che stanno facendo egregiamente il proprio lavoro». Ma per questo non c’è il Consiglio superiore della magistratura? «Certo che c’è, ma non l’ha fatto. Sono stati zitti e allora ho deciso di intervenire io. Se parla il capo del governo e si permette di entrare nel merito delle istruttorie in corso, qualcuno deve rispondergli. E la risposta deve essere forte. Nessuno ha preso l’iniziativa e così ho ritenuto giusto intervenire. Forse se avessi saputo che la procura di Milano avrebbe emesso un comunicato sarei stato zitto. O forse no... Era troppo grave quanto stava accadendo».
Marvulli sa che le parole pronunciate dal primo presidente della Suprema Corte pesano. Sa che pesano moltissimo. E non si sottrae: «Io sono contro i magistrati che parlano delle loro inchieste, ma difenderò fino alla fine i magistrati che si occupano del controllo della legalità. È come se mi dicessero che non si può pronunciare questa o quella sentenza. Nessuno può arrogarsi il compito di entrare nel merito delle indagini. Sui risultati possiamo discutere anche in maniera accesa. Sul resto no».
Veramente Berlusconi sostiene che lei l’ha insultato. Marvulli sorride. «Io non ho insultato proprio nessuno. Anzi. Mi sono limitato a rispondere ad un suo atto che è stato arbitrario e profondamente offensivo per i magistrati. Difenderli, lo ripeto, era doveroso. Non si può certo far passare un messaggio come quello pronunciato da Berlusconi perché turba i cittadini e lede l’onore dei pubblici ministeri. Quando un presidente del Consiglio pronuncia un’accusa così grave, la gente crede che i magistrati abbiano la possibilità di scegliere se avviare o meno un’inchiesta. Questo non è vero, non è previsto dal nostro ordinamento. L’azione penale è obbligatoria, il capo del governo dovrebbe saperlo bene e dunque nessuno si può permettere di affermare il contrario, tantomeno lui».
Giustizia e politica, nota dolente anche in questa campagna elettorale. «Certo non per me - assicura Marvulli - perché a me la propaganda elettorale davvero non interessa. Io ho come unico obiettivo quello di difendere i magistrati. E lo farò ancora se sarà necessario. Condivido gli inviti ad abbassare i toni, ma certo non è a me che l’invito va rivolto. Io rispondo, non provoco».
Fiorenza Sarzanini


INES TABUSSO