00 02/02/2006 18:54

DAL SITO DI FORZA ITALIA
1/2/2006
BONDI: DA UNA PARTE DELLA MAGISTRATURA NUOVO TENTATIVO DI CONDIZIONARE IL PARLAMENTO


''Questo Paese non ha alcun bisogno di un nuovo scontro tra il Parlamento e l'ordine della magistratura''.

Lo ha affermato il coordinatore nazionale di Forza Italia, Sandro Bondi, che ha osservato: ''Le parole pronunciate oggi dal vicepresidente del Csm, insieme alle esternazioni irrituali di alcuni magistrati in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, alle dichiarazioni improprie del procuratore generale di Torino Caselli, fino alla nomina di Bruti Liberati a procuratore aggiunto di Milano, e in ultimo alla proposta di candidatura nelle liste dei Ds di Gerardo D'Ambrosio, delineano un nuovo ed inquietante tentativo di condizionamento di una parte della magistratura, al di fuori di ogni autentico rispetto costituzionale, nei confronti della sovranita' del Parlamento''. ''Di questo dovrebbe preoccuparsi Virginio Rognoni, per tutelare e per garantire la professionalita', l'indipendenza, l'autonomia e la serenita' di giudizio della magistratura, un compito che spetterebbe proprio al Csm e alla specifica responsabilita' del suo vicepresidente''.


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CORRIERE DELLA SERA
2 febbraio 2006
«È la morte del processo Previti». «Sei un killer»

ROMA - La legge sull’inappellabilità scatena la rissa nell’aula della Camera. Contendenti: il parlamentare forzista Cesare Previti e il diessino Giovanni Kessler. È quest’ultimo, quando interviene per illustrare un suo emendamento, a dichiarare: «Questa norma determinerà la morte del processo, tra questi c’è quello dell’onorevole Previti». Tanto basta. Il diretto interessato chiede la parola. E si lancia in una invettiva. Il tono è rabbioso: «L’onorevole Kessler, o killer, non può sapere se la norma di cui parliamo riguarda il mio processo perché del mio processo non sa nulla. E allora stia zitto!». Dai banchi di destra e di sinistra partono urla, insulti. Il vicepresidente Publio Fiori interrompe Previti e lo invita a «moderare i termini, visto che ha usato dei termini che non si possono accettare». Ma lui non demorde. La voce si alza ancora, le parole diventano, se possibili, più pesanti. «Se lei, presidente, pensa che io sia stato inappropriato nel mio dire, allora mi scuso con lei e con l’Assemblea, ma non con l’onorevole... come si chiama? Il collega parla a sproposito. In Cassazione pendono 90 mila ricorsi e Kessler sarebbe soddisfatto se l’unico ad essere escluso fosse il mio. E questa è una vergogna». Si vota e gli animi sembrano calmarsi. Ma poco dopo riparla Kessler. «Io lo so che la verità fa male. Io ho detto che questa legge facilita per molti imputati la morte del processo, e tra questi c’è anche Previti. Dalla sua reazione capisco che ho detto qualcosa che gli dà fastidio».


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LA REPUBBLICA
2 febbraio 2006
Sì della Camera a riforma dell'appello
Modifiche dopo il rinvio di Ciampi

ROMA - L'aula di Montecitorio ha varato la riforma dell'appello con le modifiche apportate dopo il rinvio della legge al Parlamento da parte del Presidente della Repubblica. I votanti sono stati 466, la maggioranza necessaria di 234; i voti favorevoli sono stati 271 e i contrari 195. Ora il testo passa al Senato per l'approvazione definitiva.

Nella nuova normativa l'appello sarà vietato per i pubblici ministeri a fronte di sentenze che, al termine del giudizio di primo grado, si siano concluse con il proscioglimento (anche per prescrizione, amnistia o improcedibilità dell'azione penale) o con l'assoluzione, tranne nel caso in cui siano emerse prove decisive a carico dell'imputato.

In questo caso il pm potrà proporre l'appello della sentenza, ma sarà il giudice a doverne stabilire l'ammissibilità. Nel caso in cui l'istanza sia dichiarata inammissibile, il pubblico ministero avrà 45 giorni di tempo per presentare ricorso in Cassazione.

Il pubblico ministero, al termine delle indagini, dovrà formulare la richiesta di archiviazione quando la Cassazione si sarà pronunciata sulla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e successivamente non sono stati acquisiti ulteriori elementi a carico dell'indagato.

Contro le sentenze di "non luogo a procedere" pronunciate dal gup si potranno rivolgere alla Cassazione il pm e il procuratore generale presso la corte d'appello, ma anche l'imputato "salvo che con la sentenza sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso".

Le nuove norme prevedono che il pubblico ministero possa ricorrere in appello contro le sentenze di parziale assoluzione, nel caso in cui un imputato accusato di due reati sia stato condannato per uno di essi e assolto per l'altro.

Contro le sentenze di proscioglimento le parti offese potranno costituirsi nel giudizio di appello solo ai fini civilistici del risarcimento del danno. Alla Cassazione le parti si potranno rivolgere anche quando ritengono che non sia stata acquisita una prova decisiva, emersa nel corso del dibattimento. Alla suprema Corte si può ricorrere nel caso in cui si ritenga che la sentenza emessa dai giudici abbia una motivazione manifestamente illogica, sia carente di motivazione o questa sia "contraddittoria". Tali 'lacune' devono risultare o dallo stesso testo della motivazione "ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame".

Quando la Cassazione annulla una sentenza di condanna emessa in appello, viene confermata la sentenza di assoluzione di primo grado e il pm potrà presentare ricorso nuovamente in Cassazione, entro 45 giorni. Ritornano al grado d'appello i procedimenti annullati dalla Cassazione solo per la rideterminazione della pena o per una nuova valutazione sulle misure di sicurezza stabilite dai giudici di merito.


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LA REPUBBLICA
2 febbraio 2006
L'ANALISI. Oltre a Previti e Berlusconi, della
riforma Pecorella usufruiranno Mannino e Caltagirone
E quattro imputati eccellenti ora sperano nella "grazia"
Ma spuntano dubbi sull'azzeramento dell'appello Sme per il premier
Il legale della parte civile Cir: il nostro ricorso tiene vivo il secondo grado
di LIANA MILELLA

ROMA - Taglia e cuci. Ritaglia e ricuci. Aggiungi un aggettivo di qua, togline uno di là. Per una settimana, Gaetano Pecorella e Isabella Bertolini non hanno fatto altro. Forzisti tutti e due, e tutti e due avvocati, di Milano il primo, di Modena la seconda. Lui, presidente della commissione Giustizia della Camera e inventore della legge sull'appello, lei relatrice del provvedimento.

Alla loro porta hanno bussato in tanti. A cominciare dall'Udc: dopo una legislatura di norme ad personam per Previti e Berlusconi, votate alla fine come soldatini, nell'ultima legge i centristi hanno voluto infilarci qualcosa di utile anche a loro, a un ex pezzo grosso della Dc come Calogero Mannino, che fu ministro per il Mezzogiorno, poi stroncato dall'accusa di concorso in associazione mafiosa. Grande fu la vittoria per l'assoluzione in primo grado, cocente il dolore per la condanna in appello (cinque anni e quattro mesi), la gioia risorse con la Cassazione che azzerava l'appello e chiedeva un'altra pronuncia. Il nuovo processo doveva cominciare il 27 febbraio, ma l'Udc vuole sfruttare i voti di Mannino e candidarlo alle politiche.

Niente di meglio della Pecorella per sopprimere l'appello. La norma transitoria, che applica la legge ai processi in corso, cade a fagiolo. Lì c'è scritto che "l'appello in corso contro una sentenza di proscioglimento viene dichiarato inammissibile ed entro 45 giorni può essere proposto ricorso in Cassazione". L'aggiunta è perfetta per il centrista di Agrigento: la norma si applica anche "nel caso in cui sia annulllata su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza una sentenza di condanna di una corte di appello o di assise di appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione". L'appello del processo Mannino "muore", si torna il primo grado, all'assoluzione.

Va ancora meglio per Francesco Gaetano Caltagirone, imprenditore romano ed editore di Messaggero e Mattino. Due processi, uno a Perugia per l'ipotetica corruzione dell'ex pm di Roma Vinci, uno a Roma per turbativa d'asta nella gara di affidamento delle licenze Umts. Nel consorzio Blu, Caltagirone era in buona compagnia (Giancarlo Elia Valori, Vito Gamberale, Luigi Abete, Gilberto Benetton tra gli altri 21 indagati). Due processi vinti. Assoluzione in tribunale a Perugia "perché il fatto non sussiste" (febbraio 2005); assolti dal giudice monocratico a Roma cinque mesi dopo. Ma in entrambi i casi la procura generale in Umbria, i pm Sabelli e Vitello a piazzale Clodio, hanno presentato appello. Entrambi i processi saranno spazzati via dalla Pecorella.

Di Previti ormai s'è detto. In Cassazione, il 19 aprile per l'Imi-Sir, potrà ripresentare il suo cahier des doléances per le "prove regine" che la pubblica accusa avrebbe ignorato e che in appello non sono state riconsiderate, riaprendo il dibattimento come lui avrebbe voluto. Oggi con la Pecorella è possibile perché la legge obbliga la Cassazione a verificare "la mancata assunzione di una prova decisiva e la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione".

Per il processo Sme di Berlusconi, invece, potrebbero esserci dei garbugli interpretativi. Conseguenza di aver previsto l'appello per la parte civile che vuole ottenere il risarcimento del danno. Che succederà a Milano? L'appello di Berlusconi (la prima udienza è prevista subito dopo le elezioni) dovrebbe automaticamente convertirsi in un ricorso in Cassazione. Ma la parte civile, la Cir di De Benedetti rappresentata dall'avvocato Giuliano Pisapia, ha già presentato appello.

Pecorella, nella veste di avvocato del Cavaliere, non ha dubbi: si applica la norma transitoria della sua legge, l'appello si cancella, il processo va subito in Cassazione. Pisapia è d'avviso contrario: il processo resta nella fase d'appello per soddisfare la legittima richiesta della parte civile. In questo caso la legge Pecorella, descritta come l'ultima legge ad personam per salvare il premier, fallirebbe il suo obiettivo. Dice Pecorella: "Sarebbe la dimostrazione che sulla Sme siamo completamente tranquilli, saremo assolti". Il processo potrebbe anche essere diviso in due: resta in appello il troncone della corruzione per ottenere una sentenza favorevole al caso Sme, va in Cassazione l'altra metà, la corruzione dell'ex capo dei gip Squillante. Tutto dipende da come si interpreta la parola "connessione" utilizzata nel testo.


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CORRIERE DELLA SERA
2 febbraio 2006
Gli effetti della legge Pecorella sui dibattimenti in corso. La norma transitoria che interessa l’ex ministro

Da Mannino al premier, le sentenze che non ci saranno
ROMA - Negli ultimi giorni, Silvio Berlusconi è tornato a ripetere: la legge Pecorella «a me non serve». Lo ha detto anche se il proscioglimento in primo grado al processo Sme di Milano con la nuova norma non sarebbe più appellabile. E lo stesso ha fatto ieri in Aula l’onorevole Cesare Previti («Questa legge non mi riguarda») il cui processo per corruzione in atti giudiziari è attualmente pendente in Cassazione. Anzi, quel dibattimento è stato rinviato il 16 gennaio quando l’onorevole Carlo Taormina (FI) in qualità di difensore di Previti ha aderito allo sciopero dei penalisti contro la legge ex Cirielli che lui stesso aveva votato. Tutto rimandato al 19 aprile, giorno in cui, con la «Pecorella» legge dello Stato, anche l’imputato Previti potrà chiedere, se lo riterrà, un ulteriore rinvio per integrare i motivi del ricorso in Cassazione secondo il nuovo articolo 606 appena riscritto dal Parlamento. Un’ipotesi è quella che venga chiesto di recuperare le prove sollecitate dalla difesa ma che poi non state ammesse durante il dibattimento di secondo grado.
C’è poi un’ultima modifica alla norma transitoria della «Pecorella» che è stata sollecitata da Nino Marotta, neo deputato dell’Udc. Marotta fa un ragionamento ineccepibile: per ragioni di simmetria, l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento di primo grado deve valere anche per quegli imputati che si sono visti condannare in appello con successivo annullamento e rinvio della sentenza sfavorevole di secondo grado.
E’ il caso, una pura e semplice coincidenza per Marotta, dell’ex ministro dc Calogero Mannino processato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa: assolto in primo grado, condannato in appello, sentenza annullata dalla Corte «per vizio di motivazione» che ha rinviato il processo alla Corte d’Appello di Palermo. Il nuovo dibattimento di secondo grado è ancora in corso ma, con la «Pecorella» che diventa legge, quel processo di appello muore. E «rivive» la sentenza di proscioglimento di primo grado.
Nino Marotta giura che lui ha saputo del caso Mannino solo dopo aver proposto la modifica mentre i colleghi di Forza Italia non negano un forte interessamento dell’ex ministro dc. Il quale ieri stazionava in piazza Montecitorio (angolo via Uffici del Vicario) in attesa dell’approvazione della «Pecorella».

D. Mart.
INES TABUSSO