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LA REPUBBLICA
23 gennaio 2006
Il giudizio di Dio
Edmondo Berselli

L´avvelenatore di pozzi è l´uomo politico che sale al Quirinale per convincere il capo dello Stato a cambiare i termini dello scioglimento delle Camere, puntando a guadagnare qualche giorno senza par condicio. Serve qualcosa rilevare che c´era un accordo generale, e che è insensato stravolgerlo per l´interesse di una sola persona e di un solo partito? Sembra di assistere alla prestazione di un giocatore d´azzardo, un gambler che mette nel mirino il Quirinale per uno stretto calcolo di parte. Che preme sul presidente della Repubblica per portare a casa due settimane, anche solo una settimana di rinvio. In modo, fra l´altro, da poter rilanciare la legge Pecorella, dopo la Cirami e la Cirielli, per chiudere la legislatura con l´ultimo stravolgimento della procedura penale. Dopo di che ogni ragionamento sul fair play istituzionale e politico è una favoletta per bambini, e la presidenza della Repubblica un velo sottile fra la Costituzione e la convenienza politica.
Anzi, dal momento che appaiono realistiche le informazioni che parlano di una netta opposizione di Carlo Azeglio Ciampi al disegno scassatutto del capo del governo, si capisce agevolmente che il Cavaliere non conosce tabù politici o costituzionali, ed è disposto anche ad aprire un fronte con l´autorità più rispettata, il Quirinale. Mentre accusa gli avversari politici di scarsa identità democratica, tenta di forzare la dialettica istituzionale, a proprio vantaggio, nel tentativo di eludere le regole a proprio vantaggio.
Si gioca tutto, Berlusconi, e quindi non ha remore nello stravolgere regole, consuetudini, convenzioni. Perfino il galateo. Tanto per dire, l´avvelenatore dei pozzi è anche il politico incattivito che con un ghigno si rivolge a Francesco Rutelli in diretta tv chiamandolo «il migliore dei peggiori».
A che serve obiettare che l´uso della parola «peggiori» implica un giudizio non politico, che investe la qualità umana, addirittura psicologica ed esistenziale dell´avversario? E che dunque semplicemente non sta bene, non si fa, non si dovrebbe fare per semplice buona educazione?
Non serve a niente. A Silvio Berlusconi importa soltanto trasformare le elezioni del 9 aprile in un giudizio di Dio. Per questo sostiene che nelle urne ci sono in gioco due «visioni del mondo» incompatibili. Espone quindi l´idea che non c´è spazio per il confronto, dunque per la politica: c´è solo la guerra santa, una Lepanto contro i miscredenti, un fondamentalismo liberale, o sedicente tale, contro le forze del male.
Già visto, già sentito. Eppure c´è una novità nell´esondazione mediatica e nelle distorsioni istituzionali del capo di Forza Italia, ed è una novità estrema, anzi forsennata, che piace ai suoi sostenitori della destra snob e trash, i seguaci di Giuliano Ferrara: secondo il quale il Cavaliere dà il meglio quando è strampalato, riproduzione seriale e warholiana di se stesso, proiezione trigonometrica di un´immagine pop, un cartone animato in doppiopetto che dà fuori da matto pestando i piedi. E loro applaudono la performance: divertente. Mentre qualcun altro di loro arrischia che di questi tempi, con il «Cav.» condannato alla sconfitta, è moralmente e forse esteticamente doveroso «andare a sbattere» con Lui (forse in una versione post-storica del cercar la bella morte).
Ora, che Berlusconi sia divertente è un concetto discutibile. Non è divertente affatto nelle sue gag padronali, come quando si alza dalla poltrona del faccia a faccia in tv per andare a spolverare con il fazzoletto il bavero della giacca di Rutelli, dato che le sue trasgressioni sono tutte rigorosamente domestiche, sotto lo sguardo di un conduttore che è un suo dipendente. Qualcuno potrebbe trovare più divertente la faccia allibita e l´ammutolimento quando Rutelli gli schiaffa sul naso le cifre del suo arricchimento in politica, il valore delle proprietà televisive praticamente triplicato a dispetto dei suoi continui lamenti sui danni che la politica gli ha inflitto.
Eppure il forcing berlusconiano genera inquietudine anche quando è pretestuoso, male informato o volutamente distorsivo. Tutti noi abbiamo avuto un parente "simpatico" secondo la cifra del Berlusconian Style, titolare di una divertente faccia tosta "de destra", abituato a sostenere, reclamando risate e consensi, che «la Triplice ha rovinato l´Italia» (la Triplice, o la Trimurti, erano Cigil, Cisl e Uil). Ma Berlusconi non è un mattocchio di provincia. Ha già spiegato in altra occasione che la par condicio è una legge capestro per i monopolisti, perché sarebbe come mettere le mutande mediatiche alla Coca-Cola o a qualsiasi altro prodotto di largo consumo abituato a dominare il mercato.
Quindi c´è una razionalità nella descrizione berlusconiana di un mondo allucinato. C´è un metodo nell´apparente follia che descrive allo stesso modo il sistema di potere "comunista" fondato sulle cooperative rosse, e la Dc come perno di un sistema di corruzione fondato sulle partecipazioni statali, con Romano Prodi perfido ragno nella tela democristiana, fino a provocare la protesta anche dell´Udc, che del partito progenitore ha buona memoria.
È vero che la sua strategia appare antimoderna, tutta rivolta al passato, ripiegata in un´Italia dell´odio politico; eppure Berlusconi è convinto che funzionerà. Perché mobiliterà di nuovo «le casalinghe di Forza Italia», susciterà ancora le spinte anticomuniste, l´avversione per l´ideologia che ha provocato «miseria, terrore e morte», radunando ancora le pulsioni familiste e indirizzandole populisticamente contro il settore pubblico, la magistratura, la burocrazia, il sindacato, i "fanagottoni" di partito, le cooperative rosse, l´Unipol.
Da parte sua, non può ragionevolmente resistere alla contestazione dei cattivi risultati economici e al raggelante funzionamento del sistema Italia: la crescita zero non è una malevola invenzione delle sinistre, lo stato dei conti pubblici e la crisi del potere d´acquisto delle famiglie neppure, e nemmeno il degrado delle ferrovie si deve a un pregiudizio partigiano. Dunque da tempo Berlusconi doveva cercare di scartare, deviare, uscire di lato. L´avvelenamento dei pozzi è cominciato tempestivamente, con l´introduzione unilaterale della legge elettorale proporzionale, una nefandezza politica che mette a repentaglio oltre un decennio di razionalizzazione e stabilizzazione del sistema politico (con l´obiettivo, come ha detto con la miglior faccia possibile sabato scorso a Firenze, era di rendere contendibile il consenso nelle regioni rosse, di recuperare voti nei bastioni «comunisti»).
Altro che preoccupazioni «sistemiche». Interesse politico puro e bruciante. E adesso è il tempo degli appelli, della mobilitazione rivolta a quella che il «signor Gramsci», come lo chiama lui nelle sue polemiche che sorvolano trionfalmente i decenni, chiamava «la plebe borghese». Ossia verso quel fondo anarcoide della società italiana che è disposto a sentire un uomo di governo attaccare le istituzioni, cercare di smontare gli accordi sulla data dello scioglimento delle Camere, e tutto questo per invadere le case con il sorriso dei giorni migliori, e per riproporre l´ultima legge-canaglia sulla giustizia dopo essersela vista sbattere sul muso dall´ineccepibile rinvio presidenziale.
Forse quegli italiani scettici non credono a niente, neppure alla crociata di Berlusconi. Ma se l´avvelenatore di pozzi riesce a spostare l´attenzione dall´economia all´ideologia, dal confronto sulle cose, come chiede inquieto Ciampi, alla lite da bar sulla bufala dell´euro a 1500 lire, può anche darsi che il clima politico si confonda. Già non sarà facile distinguere partiti e alleanze, la destra e la sinistra nella confusione di simboli sulla scheda elettorale. Se Berlusconi riuscirà a trasformare le elezioni in una guerra dei mondi, in uno scontro mortale fra antropologie, fra la libertà occidentale e il collateralismo comunista, converrà dare tanti saluti alla realtà e sperare tutt´al più che l´Italia immaginaria di Berlusconi non avveleni anche noi.
INES TABUSSO