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NEW del 12 gennaio 2006

Pedofilia : USA , vescovo ammette , fui vittima di un prete
di Rico Guillermo

Thomas Gumbleton, 75 anni, vescovo ausiliario di Detroit, USA, ha rivelato di essere stato molestato da un prete sessant'anni fa, quando aveva 15 anni. Si tratta del primo alto prelato americano ad aver ammesso abusi subiti dal clero.

In una memoria scritta il vescovo ha spiegato di esser stato "toccato impropriamente" da un prete ma ha aggiunto "non posso dire di essere stato irreparabilmente danneggiato. Non e' stato il tipo di abuso che hanno subito altre vittime". Ha detto di non avere alcuna animosita' nei confronti del sacerdote che ha abusato di lui, il quale era un selezionatore del seminario ed e' morto ormai da dieci anni.

Egli ha aggiunto che c'e' una elevata probabilita' che alcuni autori di questo tipo d'abusi non siano ancora emersi e "l'unico modo di individuarli sara' attraverso i tribunali". Egli ha detto al Wasington Post che la sua esperienza lo aiuta a capire perche' le vittime di abuso non possono adire in giudizio, dato che il tempo limite in molti Stati e' di due-cinque anni dopo il crimine presunto.

Il vescovo chiede percio' di abolire temporaneamente i tempi di prescrizione per azioni legali sulla pedofilia commessa da membri del clero e le sue osservazioni scritte sono state preparate per una conferenza stampa a sostegno di un progetto di legge fattura in corso di esame alla Camera dell'Ohio che aprirebbe una finestra di un anno affinche' le vittime di abuso sessuale possano citare la chiesa per abusi subiti fino a 35 anni fa.

Il senato dell'Ohio ha approvato all'unanimita' il pdl, ma i vescovi dello Stato si sono opposti tenacemente al provvedimento.

Pochi giorni fa Monsignor William Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha testimoniato davanti alle autorita' statunitensi di San Francisco sugli abusi sessuali commessi su minori da alcuni preti dell'arcidiocesi di Portland, Oregon. Levada - arcivescovo di Portland dal 1986 al 1995 - in una dichiarazione rilasciata l'anno scorso aveva chiesto perdono alle vittime.

Speciale diritti

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SAL TERRAE
ano 2005, tomo 93, n. 1096 965-974
"El abrazo que no llega: atención pastoral a católicos divorciados vueltos a casar"
Pablo Guerrero Rodríguez
ano 2005
tomo 93
n. 1096 965-974



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LA STAMPA
12 gennaio 2006
CLAMOROSO SEGNALE IN CONTROTENDENZA SU UNA RIVISTA: CHI SI RISPOSA DEVE POTER RICEVERE LA COMUNIONE
I gesuiti spagnoli: il divorzio non è peccato

Nella Spagna di Zapatero e delle nozze gay, i gesuiti aprono clamorosamente ai divorziati. Su una loro rivista sostengono che «il divorzio non è peccato, quindi va data la comunione anche a chi si risposa». E anche sull’omosessualità «il discorso va rivisto». Galeazzi A PAG. 15

CITTA’DEL VATICANO
«Il divorzio non è peccato, quindi va data la comunione a chi si risposa». E anche sull’omosessualità «il discorso va rivisto». L’«apertura» sulla spinosa questione arriva a sorpresa dalla Spagna proprio mentre la Chiesa è ai ferri corti con il governo Zapatero per le nozze gay e la riforma scolastica che marginalizza l’insegnamento della religione cattolica. A proclamare che il divorzio non è peccato sono i gesuiti spagnoli. E per lanciare un clamoroso segnale in controtendenza rispetto al «no» alla comunione ai divorziati risposati recentemente ribadito dal Vaticano, la tribuna prescelta è la rigorosissima rivista di teologia pastorale «Sal Terrae» dei gesuiti spagnoli. Prendendo le mosse dalla parabola evangelica dell’adultera, i gesuiti denunciano che i cristiani e le cristiane «in ricerca», o in difficoltà, «non sempre sono trattati dai membri della comunità cristiana con la misericordia e la cordialità con cui Gesù ha trattato la donna adultera, ma piuttosto con scarsa considerazione, con mancanza di comprensione e, talvolta, con un eccesso di durezza». Cosicché «invece di aiutarli ad uscire dal dilemma in cui si trovano, contribuiscono a lasciarli intrappolati in un circolo chiuso». Un’autocritica in piena regola, quindi. «I cattolici divorziati - sostengono i gesuiti - godono di una piena e assoluta unione con la Chiesa, non sono scomunicati e possono ricevere la comunione eucaristica. Vale a dire, in termini chiari e netti, che il divorzio non è peccato. La persona divorziata, per il solo fatto di essere tale, non si trova in una situazione di irregolarità». Anche «i cattolici divorziati che si sono risposati senza aver ottenuto la nullità del primo matrimonio - si precisa - non sono scomunicati».
Va data la possibilità, dunque di accedere alla comunione. Come «già molti sacerdoti fanno, senza troppi clamori, in attesa di una Chiesa più vicina agli uomini e alle donne di questo tempo». L’invito è perentorio: «Bisogna guardare con dolcezza e tenerezza al dolore delle persone concrete, rendere partecipi i divorziati dell’eucarestia». Con un messaggio alla Santa Sede: «E’ relativismo? È lassismo morale? Crediamo di no». Secondo i gesuiti, infatti, esiste una «forte contraddizione» nella situazione odierna, tra l’assicurare che le persone divorziate risposate non sono scomunicate e il sostenere che non possono essere ammesse alla comunione eucaristica. «Non si può disconoscere il significato vitale di questo sacramento nella vita della Chiesa e dei credenti», precisano i gesuiti. E la ferma opposizione del magistero della Chiesa? «In ogni processo evolutivo è inevitabile un certo conflitto - ribattono i gesuiti - perciò assieme alla docilità va accettato il valore positivo della disobbedienza e della trasgressione». Non hanno timore i gesuiti, dunque, di compiere un balzo in avanti. «I cristiani scomodi sono importanti», precisano i gesuiti, che lodano «le benefiche trasgressioni, quegli atti di "disobbedienza” che sono stati molto fecondi per la vita della Chiesa e l’avanzamento della dottrina». A volte, infatti, bisogna andare oltre la dottrina ufficialmente insegnata. Sui divorziati, perciò, i gesuiti difendono i loro passi rivoluzionari, perché «aprono cammini che possono essere fecondi per la Chiesa, anche se ancora non sono stati approvati». E va rivisto, secondo i gesuiti, pure il modo cristiano di vivere l’omosessualità. «Non si tratta di trovare un posto agli omosessuali nella Chiesa», sostengono i gesuiti. Il problema piuttosto è «riconoscere il loro ambito, la loro vocazione cristiana, e di recuperare lo sguardo di Dio su di loro». Ciò porta con sé «un atteggiamento di rispetto, di lucidità nell’amore, di flessibilità nella carità e una disposizione all’apertura e all’accoglienza verso tutto quello che egli veramente cerca». Di fronte alla condizione omosessuale, dunque, «la Chiesa dovrà offrire gli aiuti richiesti, ed un processo di inserimento, riconoscimento ed accompagnamento». Ora i gesuiti, attraverso l’intervento di tre padri di grande prestigio, dopo la loro netta presa di posizione, attendono una risposta da Roma.


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IL FOGLIO
13 gennaio 2006
l’aspra crisi della famiglia
La rivista dei gesuiti spagnoli assolve il divorzio. Per i vescovi è un attentato alla morale cattolica

Madrid. Nella Spagna di Zapatero l’articolo di una delle riviste pastorali dei gesuiti, Sal Terrae, che invoca clemenza per i divorziati non fa notizia. Però nella Conferenza episcopale spagnola c’è lo stesso preoccupazione. Le affermazioni del teologo gesuita Pablo Guerrero Rodríguez nel suo articolo “L’abbraccio che non arriva?” non hanno ancora trovato eco nei grandi giornali spagnoli. Nel suo saggio padre Guerrero assicura che “il divorzio non è peccato e che la persona divorziata non è in una situazione irregolare”. Questo gesuita, che si occupa di pastorale familiare, ricorda la dottrina della “Familiaris consortio”, che proibisce il sacramento della comunione per quelle persone divorziate che vivono in una situazione irregolare e invoca una maggior flessibilità nell’applicazione della norma generale. “Capisco la necessità della norma generale. Però, in verità, l’applicazione ai casi concreti non dovrebbe essere improntata alla misericordia?”. Senza azzardarsi a dare una risposta chiara, Guerrero finisce per chiedersi se “è la soluzione migliore quella di escludere dai sacramenti della Chiesa alcune persone che si sono separate senza colpa da parte loro”. Fonti della Conferenza episcopale responsabili della vita religiosa esprimono la loro preoccupazione per queste affermazioni e per molte altre rilasciate da membri di altre congregazioni religiose. “Non è un caso isolato. Si sta diffondendo un insegnamento da parte di sacerdoti e religiosi che non è conforme alla Chiesa, alcune pubblicazioni attentano gravemente alla salute morale dei cattolici. Lo abbiamo discusso anche con Roma” assicurano queste fonti episcopali. Prova che non è un caso isolato: nello stesso numero della rivista Sal Terrae un altro gesuita, Eduardo López Azpitarte, sostiene che “bisogna accettare il valore positivo della disobbedienza (alla Chiesa) e della trasgressione”. Oggi in Spagna forse il caso più paradigmatico è quello del gesuita Juan Masiá Clavel, autore del libro “Tertulias de Bioética”, pubblicato anch’esso da Sal Terrae. Nella Conferenza episcopale spagnola il caso preoccupa in maniera particolare, perché Masiá Clavel è cattedratico di Bioetica all’Università pontificia di Comillas. E’ tornato in Spagna di recente, dopo aver passato più di 25 anni in Giappone.

INES TABUSSO