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CORRIERE DELLA SERA
11 gennaio 2006
IL LIBRO-INTERVISTA
E Ciampi chiese a Colaninno: ma lei, ce li ha i soldi?
Cuccia mi disse: immagini qualcosa di grande e coraggioso

«Ma lei ce li ha i soldi?». Carlo Azeglio Ciampi nel ’99 è ministro del Tesoro. Incredulo, fa questa domanda a Roberto Colaninno che gli ha presentato il piano per l’Opa su Telecom. Una scalata nata con un nome in codice usato dai banchieri americani: «Project Riccio». È lo stesso Colaninno a raccontare quei mesi e se stesso: l’alleanza con «Chicco» Gnutti e Giovanni Consorte e il successivo divorzio, la soddisfazione di Massimo D’Alema, l’approvazione di Silvio Berlusconi, l’incontro con Antonio Fazio, le telefonate di Umberto Bossi e Pierluigi Bersani, le premure di Enrico Cuccia e lo champagne in Mediobanca. La tv. E si sa: «Chi tocca la tv muore». L’occasione è «Primo tempo», il libro-intervista con Rinaldo Gianola, vicedirettore dell’Unità, edito da Rizzoli e in libreria da oggi. Una storia di 10 anni del capitalismo italiano vissuta nella sua trama più tipica: fra impresa e politica. E che non si è ancora conclusa. Non solo perché Colaninno, dato l’addio a Telecom e dopo aver progettato un intervento in Fiat, guida il rilancio della Piaggio. Bensì perché diversi protagonisti che hanno lavorato a fianco del manager nel cast che ha lanciato l’Opa vivono oggi un tramonto che crea non pochi imbarazzi anche nella politica.
Prestando ascolto all’io narrante, cioè a Colaninno, tutto comincia con una frase di Cuccia. Al manager proiettato dalla Sogefi di Mantova al salvataggio di Olivetti, il fondatore di Mediobanca dice nel ’96: «Immagini qualcosa di più grande e coraggioso». Bene, dopo aver trasportato Olivetti nella telefonia, fatta l’alleanza con Mannesmann, accolti per blindare l’azionariato l’Antonveneta, Gnutti («un simpatico, alla mano») e la «finanza rossa», cioè l’Unipol di Consorte e il Montepaschi, Colaninno porta un giorno a Maranello Klaus Esser. Il numero uno del colosso tedesco gli dice: voglio l’Olivetti. E lui, ripensando a Cuccia, decide: io voglio Telecom.
Nasce così il «project Riccio»: un piano fattibile ma difficile. Uno dei tanti nomi in codice. Per mimetizzare i piani il takeover è Superstar, Telecom diventa Land, Tim Air. Si affiancano Chase Manhattan e Lehman Brothers. E Mediobanca. Dice Colaninno: «Cuccia e Maranghi volevano dimostrare di poter giocare un ruolo importante anche in un’Italia che cambiava, con una scalata ostile». L’assalto al nocciolino duro costituito in Telecom dal capitalismo che Mediobanca aveva difeso fino ad allora.
Colaninno coinvolge Gnutti e soci nel gennaio ’99. Sul mercato si parla di France telecom, Deutsche telekom, Fininvest. Ma non di Olivetti. Qualche giorno prima del 20 febbraio, data di lancio dell’Opa, il manager incontra a Palazzo Chigi il premier D’Alema e il ministro dell’Industria Bersani. Incassa reazioni soddisfatte e un rassicurante «ci rimettiamo al mercato». Appoggio che D’Alema confermerà dichiarando di «apprezzare il coraggio». Qualche giorno dopo l’«ora zero» Colaninno incontra Ciampi. Il quale si mostra «sorpreso, abbastanza incredulo della possibilità che l’Olivetti fosse in grado di reggere una simile offerta. E chiede, appunto: Ma lei ce li ha i soldi?».
Il racconto è scandito dalla battaglia dei consigli vinta da Olivetti che lancia l’Opa prima che la Telecom di Franco Bernabé riesca a lanciare la controffensiva. Un duello che vede perfino Colaninno inviare a Telecom una lettera respinta in portineria. Poi ci saranno il no e il sì di Consob, il sì di Berlusconi, l’applauso di Bossi alla «cordata padana», il colloquio con Fazio, l’assenza di Tesoro e Bankitalia all’assemblea Telecom sugli strumenti antiscalata, le nozze svanite Telecom-Deutsche telekom. Il tappo di champagne che il 21 maggio cade da una finestra di Mediobanca annuncia che l’Opa è riuscita. Dice Cuccia a Colaninno: «Sono felice, è stata una grande operazione, non mi sono mai divertito tanto». Al nuovo presidente di Telecom telefonano D’Alema, Berlusconi, Bossi, Bersani («e vai...»).
La gestione del gigante è difficile. Ma Colaninno va avanti. Vuole la tv. Si confronta con Maurizio Costanzo. Chiama Gad Lerner, Giuliano Ferrara ed Enrico Mentana, che risponde di no. Ma la tv, dice Colaninno, «segna l’inizio delle difficoltà più serie al vertice di Olivetti-Telecom: le stesse che mi avrebbero portato a lasciare il gruppo nell’estate 2001». Perché «in Italia chi tocca la tv muore».
Seguono lo scandalo Telekom Serbia, le polemiche su varie operazioni, gli avvisi di garanzia per la fusione Seat-Tin.it. Dice Colaninno: Gnutti fatica sempre di più a «tenere i suoi» e cerca acquirenti per le azioni della cordata. Chicco risponde: malignità. Un giorno il manager lo chiama ma risponde un magistrato: «Il dottor Gnutti non può rispondere, c’è una perquisizione in corso». Finché arrivano Pirelli e Benetton e la squadra padana si ritira. Colaninno, che aveva convinto il San Paolo e Cesare Geronzi a partecipare a un nuovo pool di investitori, è amareggiato. Gnutti e Unipol: speculatori. Chicco? Non lo vedrà più.
Sergio Bocconi
INES TABUSSO