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"Qui [NELLA MARGHERITA, ndr.] si propone ai Ds di costruire, insieme, uno schema di democrazia economica caratterizzato dall’autonomia e dal rispetto delle regole liberali di mercato che l’Italia non ha mai davvero conosciuto. Le varie sinistre più o meno radicali invece attaccano Fassino, D’Alema, Bersani esattamente con l’argomento rovesciato: voi e le coop vi siete venduti al capitalismo, vi siete omologati, avete smarrito quella diversità originaria che era la forza del Pci e ne segnava la superiorità etica rispetto agli avversari (in sostanza rispetto all’intero mondo circostante). Icona della campagna di restaurazione morale, ovviamente, Enrico Berlinguer"
(DA "EUROPA", 6 gennaio 2006)


IN REALTA' NESSUNO PENSA CHE I DIRIGENTI DS DOVREBBERO VIVERE IN CASE SENZA L'ACQUA CALDA PER SENTIRSI, E FARSI PERCEPIRE, IN LINEA CON LA LORO "DIVERSITA' ORIGINARIA".
SI TRATTA DI TUTT'ALTRO, ED E' MOLTO IPOCRITA ATTRIBUIRE ALLE "ALTRE SINISTRE" CERTE SCIOCCHEZZE.
C'E' DI PIU': PARE CHE L'ECONOMIST LA PENSI PROPRIO COME "le varie sinistre più o meno radicali" E CHE TROVI CENSURABILI CERTI COMPORTAMENTI:


"Mr Fassino sees this eminently capitalist predator as an extension of his party"
"Quite apart from the potential damage it may do to the centre-left's election hopes, Mr Fassino's involvement with Unipol threatens further to dent Italy's reputation in the international business world, already battered by the Parmalat and Fazio affairs. It reinforces a view of Italy as a country in which entrepreneurs need political patronage to succeed. Just as important, it suggests that political leaders, of left and right alike, remain incorrigibly protectionist at heart.
In this, of course, they are faithfully mirroring general social attitudes. Among the myriad words penned and broadcast on the Unipol affair barely any have condemned a venture that was so manifestly at odds with Italy's commitment to liberalise and to opening its markets to EU and other foreign investors. Italy's atavistic protectionism and disdain for freer markets both play a large part in holding back its economy—and will not necessarily change even if its government does".
(DA "THE ECONOMIST", 5 gennaio 2006)


INSOMMA, BISOGNEREBBE PRIMA DI TUTTO IMPARARE A RICONOSCERE I "PREDATORS" E SMETTERE DI FREQUENTARLI, POI SAREBBE ANCHE BENE NON RICONFERMARE LA FAMA CHE VUOLE L'ITALIA COME UN PAESE DOVE UN IMPRENDITORE DEVE NECESSARIAMENTE INTRECCIARE RAPPORTI CON IL POTERE POLITICO PER AVERE SUCCESSO: IL TUTTO PARE MOLTO LIBERALE E MENO ANTICAPITALISTA DI QUANTO PENSINO AL QUOTIDIANO "EUROPA":


"Il problema, infatti, non è né il carattere di Unipol né il tifo né il collateralismo o quant'altro. E non è neppure Consorte. Il vero problema è la consorteria, ed è con tale problema che i Ds devono fare i conti.
Quella consorteria che già il l5 aprile dell'anno scorso, con accorta lungimiranza, il direttore del Sole-24 Ore , Ferruccio de Bortoli, vedeva all'opera nelle congiunte scalate ad Antonveneta, alla Bnl e al Corriere della Sera , «in un'atmosfera ricca di ambiguità e silenzi e tristemente povera di trasparenza». È in un'atmosfera del genere, adeguatamente tratteggiata poco tempo dopo anche da Enrico Deaglio in un intero numero del Diario , che per mesi si sono mossi uomini del centrodestra: i vari Brancher, Grillo, Livolsi (quest'ultimo vicinissimo al presidente del Consiglio, il quale anche perciò appare oggi decisamente grottesco negli improbabilissimi panni di fustigatore dei rapporti tra affari e politica), ma non solo del centrodestra.
Notava, infatti, già ad aprile sempre de Bortoli: «Colpisce una certa simpatia che alcuni di loro suscitano nell'opposizione, a conferma che il centrosinistra, quando sceglie compagni di viaggio nell'economia e nella finanza, spesso sbaglia. E di grosso». Questo è il punto decisivo, che dunque era già ben visibile (e visto) la primavera passata, ma sul quale, invece, i Ds hanno per tutto questo tempo chiuso gli occhi, e cioè, come ha scritto ieri il direttore di Repubblica Ezio Mauro, «il legame contro natura tra Unipol e i furbetti del quartierino, la complicità tra Consorte e Fiorani, i metodi disinvolti e illegali usati per arricchimenti personali (...) le alleanze, l'illegalità, la contiguità con un mondo che con la sinistra non c'entra nulla»".
(ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA, CORRIERE DELLA SERA, 6 gennaio 2006)



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EUROPA
6 gennaio 2006
I critici dei Ds non sono tutti uguali

Affiora nelle parole di alcuni dirigenti diessini e di commentatori di area – molto insistente sul tema è Emanuele Macaluso – il fastidio verso la Margherita, rea di aver prima suscitato a livello politico la questione Unipol-Bnl, e di cercare ora di trarne qualche vantaggio.
Per quanto comprensibile date le premesse e le circostanze, questa reazione difetta di lucidità. È vero che c’è una pressione concentrica sulla Quercia, è vero che la pressione nasce dall’interno del centrosinistra, ed è vero che una “domanda” ai Ds, in qualche forma viene anche dalla Margherita se non altro in quanto “promessa sposa”.
Ma se un attacco, anzi una vera e propria campagna, è stata lanciata contro i Ds approfittando del coinvolgimento di Unipol in Bancopoli, non è alla Margherita che bisogna rivolgersi.
Basta sfogliare negli ultimi tempi Liberazione, il Manifesto, ascoltare le dichiarazioni di esponenti della minoranza diesse, sentire parlare Occhetto, Pancho Pardi, Beppe Grillo… Che cosa emerge? Non soltanto una polemica aperta verso i vertici di via Nazionale (fino all’arrogante ukaze giustizialista di Grillo: «Fassino, caccia D’Alema»), ma una campagna politica di segno diametralmente opposto alle tesi sostenute da mesi da Rutelli e dalla Margherita.
Qui si propone ai Ds di costruire, insieme, uno schema di democrazia economica caratterizzato dall’autonomia e dal rispetto delle regole liberali di mercato che l’Italia non ha mai davvero conosciuto. Le varie sinistre più o meno radicali invece attaccano Fassino, D’Alema, Bersani esattamente con l’argomento rovesciato: voi e le coop vi siete venduti al capitalismo, vi siete omologati, avete smarrito quella diversità originaria che era la forza del Pci e ne segnava la superiorità etica rispetto agli avversari (in sostanza rispetto all’intero mondo circostante). Icona della campagna di restaurazione morale, ovviamente, Enrico Berlinguer.
In sostanza, mentre il Partito democratico dovrebbe farsi riconoscere per una diversità di tipo nuovo – cioè per il rispetto di una separazione di funzioni e ambiti fin qui sconosciuta a sinistra, a destra e anche al centro – da sinistra si chiede ai Ds di farsi schiacciare su quella forma di diversità peculiare e storicamente definita che, casomai, è all’origine del male e non il suo antidoto. Perché è proprio il sentirsi tutti insieme parte di un universo separato dal resto del mondo, che ha condotto i dirigenti dei Ds all’errore di valutazione su Consorte.
In attacchi come quello di Liberazione c’è speculazione politica e voglia di colpire dove l’elettorato diessino è più sensibile, ma non è questo l’aspetto più pericoloso. È l’insana voglia di ritorno a un antico che non c’è più – semmai c’è stato ed è stato davvero migliore – e non potrà più esserci: è questa l’insidia che va sventata.


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CORRIERE DELLA SERA
6 gennaio 2006
Consorte e l’«associazione per delinquere»
DS, L’ERRORE DA CORREGGERE
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

Forse stupefatti dal trovarsi per la prima volta coinvolti in qualcosa che comunque ricorda la «questione morale», i vertici dei Ds mostrano di non riuscire ancora a mettere a fuoco il punto vero della questione di cui sono chiamati a dare conto. Finora si sono divisi tra chi pensa che l'errore sia consistito in un eccesso di collateralismo tra partito e Unipol, e dunque nel tifo eccessivo a favore della scalata alla Bnl, chi invece crede che tutto nasca dall'essersi fidati troppo di un personaggio come Consorte, o chi ancora insiste a immaginare che l'intera faccenda si spieghi essenzialmente con una sorta di complotto mediatico per favorire questo o quel disegno politico, si spieghi cioè con la «canea» dei giornali, per usare l'elegante espressione usata a suo tempo dall'onorevole Bersani a proposito delle critiche all'ex governatore Fazio. È ormai chiaro però che nessuna di queste spiegazioni è adeguata alla realtà delle cose: tanto meno quella, ascoltata fino a qualche giorno fa, che chiedeva con finta ingenuità perché mai Unipol non potesse muoversi sul mercato come una qualunque altra azienda. Il problema, infatti, non è né il carattere di Unipol né il tifo né il collateralismo o quant'altro. E non è neppure Consorte. Il vero problema è la consorteria, ed è con tale problema che i Ds devono fare i conti.
Quella consorteria che già il l5 aprile dell'anno scorso, con accorta lungimiranza, il direttore del Sole-24 Ore , Ferruccio de Bortoli, vedeva all'opera nelle congiunte scalate ad Antonveneta, alla Bnl e al Corriere della Sera , «in un'atmosfera ricca di ambiguità e silenzi e tristemente povera di trasparenza». È in un'atmosfera del genere, adeguatamente tratteggiata poco tempo dopo anche da Enrico Deaglio in un intero numero del Diario , che per mesi si sono mossi uomini del centrodestra: i vari Brancher, Grillo, Livolsi (quest'ultimo vicinissimo al presidente del Consiglio, il quale anche perciò appare oggi decisamente grottesco negli improbabilissimi panni di fustigatore dei rapporti tra affari e politica), ma non solo del centrodestra.
Notava, infatti, già ad aprile sempre de Bortoli: «Colpisce una certa simpatia che alcuni di loro suscitano nell'opposizione, a conferma che il centrosinistra, quando sceglie compagni di viaggio nell'economia e nella finanza, spesso sbaglia. E di grosso». Questo è il punto decisivo, che dunque era già ben visibile (e visto) la primavera passata, ma sul quale, invece, i Ds hanno per tutto questo tempo chiuso gli occhi, e cioè, come ha scritto ieri il direttore di Repubblica Ezio Mauro, «il legame contro natura tra Unipol e i furbetti del quartierino, la complicità tra Consorte e Fiorani, i metodi disinvolti e illegali usati per arricchimenti personali (...) le alleanze, l'illegalità, la contiguità con un mondo che con la sinistra non c'entra nulla».
In effetti, non si capisce niente delle manovre che hanno messo a soqquadro la finanza italiana, se non si vede al loro centro, per l'appunto, il collegamento decisivo che in quelle manovre ha tenuto insieme, con la benedizione della Banca d'Italia, uomini e ambienti della destra e della sinistra. «L'allenatore è Gianni (Consorte, ndr ), il coach è Gianni, è lui che decide i ruoli e decide anche i tempi», afferma esplicitamente Fiorani in un'intercettazione telefonica di questa estate.
E pochi giorni dopo, ad operazioni apparentemente concluse, lo stesso Fiorani rivolgendosi a Consorte gli dice di sentirsi «sangue del suo sangue» mentre l'altro gli risponde: «Credo che abbiamo fatto un buon lavoro (...) abbiamo dato la risposta a tutte le teste di c..., trovati gli alleati, delle banche italiane e mondiali, abbiamo fatto l'Opa che nessuno ha niente da ridire».
Non si contano ormai le prove del rapporto strettissimo tra il capo di Unipol e quello della Popolare italiana, così come del rapporto tra Consorte e il finanziere bresciano Gnutti (non a caso entrambi indagati per associazione a delinquere) e di questi ultimi due, a loro volta, con Stefano Ricucci, che l'8 luglio si spingerà a dire all'amministratore di Unipol: «Ti abbiamo servito la banca su un piatto d'argento». Chissà se su quello stesso piatto c'erano anche i 50 milioni di euro versati a Consorte e Sacchetti per consulenze, inverosimilmente eguali ed egualmente inverosimili, fornite dai due non si è ancora capito a chi e per che cosa.
Come ha potuto non avere sentore di nulla chi tra i Ds è stato fin dall'inizio vicino a Consorte e all'Opa sulla Bnl? Nel porre questa e altre domande non ci condiziona in nulla il fatto che proprio dal connubio sopra detto sia partito il tentativo di impadronirsi del Corriere della Sera . Ma è un fatto che, proprio mentre questo e ben altro stava accadendo, c'era tra i Ds - lo ha ricordato qualche giorno fa Miriam Mafai in un bell'articolo su Repubblica - chi, evidentemente ancora era convinto di avere a che fare con dei «capitani coraggiosi», chiedeva polemicamente: «Cos'ha Ricucci che non va?», «Cos'ha Gnutti che non va?». Per fortuna che altri esponenti di quel partito, da Napolitano ad Epifani, si sono affrettati nei giorni scorsi ad esprimere sentimenti e punti di vista ben diversi e molto verosimilmente covati da tempo.
È proprio questa molteplicità di opinioni, questa non monoliticità del principale partito della sinistra, che oggi impedisce processi sommari al gruppo dirigente dei Ds. In particolare al segretario Fassino, di cui anche le intercettazioni pubblicate dalla stampa indicano la sostanziale estraneità rispetto alla regia delle scalate e dunque la sostanziale buona fede. Proprio la buona fede, però, richiede come corollario indispensabile la franca ammissione da parte dei Ds e dello stesso Fassino dell'errore commesso: che si spieghi come mai in tanti mesi non si è colta neppure un'occasione per cercare di capire, e dunque per prender le distanze, dal viluppo affaristico che stava montando, dall'associazione a delinquere. Non si chiede nulla più di questo. Ma anche nulla di meno
INES TABUSSO