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LA STAMPA
3 gennaio 2006
Noi abbiamo voi avete
di Riccardo Barenghi


Può darsi che le intercettazioni delle telefonate tra Fassino e Consorte (pubblicate violando la legge che impedisce di mettere nero su bianco le conversazioni di un parlamentare) siano frutto di estrapolazioni arbitrarie e strumentalizzazioni politiche (come peraltro accusa lo stesso Fassino attraverso il suo portavoce).

Ma se invece fosse tutto vero, la legge e la violazione della privacy del segretario Ds passerebbero in secondo, anzi in terzo piano. A quel punto bisognerà interrogarsi e indagare (ma questo è compito dei magistrati) sui fatti che da quelle conversazioni emergono (e tutti sappiamo che lo stillicidio continuerà e magari si allargherà ad altri giornali). Non si tratta di fatti penalmente rilevanti finora, meglio dirlo subito. Ma politicamente e dal punto di vista etico, sì. Eccome. Per due, forse tre ragioni. La prima è che Fassino ha sempre detto che, pur sentendosi vicino al mondo delle Coop e dell'Unipol (e ci mancherebbe altro), lui e tutto il suo partito si sono limitati a tifare per la scalata alla Bnl, informandosi sui suoi sviluppi. Senza partecipare e tantomeno scendere in campo. Dalle conversazioni registrate risulta purtroppo il contrario, il segretario diessino non somiglia a un tifoso seppur d’onore, uno che sta sugli spalti. Quantomeno si siede in panchina, sprona i giocatori, consiglia tattica e strategie. Soprattutto parla di tutta l'operazione - dalla quale aveva ripetuto ossessivamente che i Ds restavano totalmente estranei - in prima persona plurale: «E allora, siamo padroni di una banca?»; oppure: «Prima portiamo a casa tutto»; fino alla correzione in corsa del «perché il problema è adesso dimostrare che noi abbiamo... voi avete un piano industriale». Dunque o sono vere le affermazioni estive di Fassino, o sono vere le intercettazioni. La verità in questo caso non sta nel mezzo, o di qua o di là. E se sono veri i verbali, non sono vere le affermazioni del segretario. Il che sarebbe un brutto guaio, per lui e per tutto il partito (che infatti non sta certo vivendo giorni tranquilli).

Ma non è questo il guaio maggiore, le bugie in politica come in amore si possono anche perdonare. Semmai è il fatto che da tutta questa vicenda emerge un intreccio tra la più grande forza della sinistra e uomini d'affari piuttosto spregiudicati (di famiglia ma non solo). Un intreccio che anche se non portasse a problemi giudiziari per questo o quel leader politico (e su Fassino tutti mettono la mano sul fuoco), avrebbe di per sé macchiato quell'immagine di partito diverso che, meritata o immeritata che fosse, i Ds hanno ereditato. Non esattamente la questione morale di Berlinguer (che pure tanto insensata non era), ma proprio l'idea di riuscire a vivere nel mondo reale, anche quello che fa affari, quello che gioca scorrettamente in Borsa, quello che produce soldi con i soldi (o al massimo col mattone), quello «cattivo» insomma, senza tuttavia entrarci dentro, senza farne parte a pieno titolo. Rifiutandone la logica (quando è sporca, e spesso lo è), e magari denunciandone anche gli illeciti, quando se ne viene a conoscenza.

Non sembra sia andata esattamente così. E ormai si può solo sperare che il «tesoretto» di Consorte e Sacchetti (prodotto illegalmente con pratiche di insider trading) sia solo un loro arricchimento personale. Ma in ogni caso il partito rischia di pagare un prezzo altissimo. Il prezzo cioè di apparire davanti ai suoi militanti e a tutti gli elettori del centrosinistra come troppo simile ad altri, al Psi di Craxi per dirne uno. Non ci voleva. A pochi mesi dalle elezioni che dovrebbero sconfiggere Berlusconi non è esattamente questa l'immagine giusta (e vincente) per una sinistra che continua a proclamarsi «diversa».


INES TABUSSO