00 15/12/2005 18:42
CORRIERE DELLA SERA
15 dicembre 2005
IL MINISTRO PER LE POLITICHE COMUNITARIE
La Malfa: per l’Italia un brutto colpo. Attenti al ritorno del giustizialismo

ROMA - «È un brutto colpo per l’Italia». Il repubblicano Giorgio La Malfa è «preoccupato» per la situazione che si è creata dopo l’arresto di Gianpiero Fiorani: per il ruolo del Governatore di Bankitalia e per la nuova Tangentopoli che sembra alle porte. «C’è il rischio di un ritorno al giustizialismo», denuncia il ministro per le Politiche comunitarie. Quando scoppiò la bufera sulle scalate alle banche lei fu tra i primi, nel governo Berlusconi, a chiedere a Fazio di abbandonare.
«Quel 5 settembre dissi due cose: dai documenti emersi sembrava che la Banca d’Italia non avesse violato le leggi, ma allo stesso tempo sarebbe stato meglio se il Governatore avesse fatto un passo indietro».
Ed ora che cosa pensa?
«Alla luce di ciò che sta accadendo avrebbe fatto bene ad accogliere quel suggerimento».
Perché ora si è giunti all’arresto di Gianpiero Fiorani, considerato da molti il suo «pupillo»?
«Ho sempre contestato che potessero esserci dei pupilli di un Governatore. Quel ruolo esige una terzietà assoluta: così dovrebbe essere sempre».
In altre occasioni invece lei difese Fazio.
«Lo difesi quando veniva attaccato a tutto campo dall’udc Bruno Tabacci. Ma non è vero che prima del settembre scorso non avessi mai espresso critiche: lo feci quando emersero i crac di Cirio e Parmalat».
Crede che stia emergendo una nuova Tangentopoli?
«Mi auguro di no. L'Italia ha impiegato dieci anni per riprendersi. E poi ora sembrano implicati tutti, anche i Ds.
Che cosa pensa della scalata di Unipol alla Bnl?
«Non credo che le cooperative debbano restare chiuse nel loro ambito. E poi le Opa sono Opa: chi ha più soldi vince. Dicevo lo stessa cosa su Fiorani per l’Antonveneta. Ma se le scalate sono costruite su imbrogli allora ovviamente non si può essere d’accordo. Per giunta mi sembra che ora Unipol sia in grande difficoltà perché il suo partito di riferimento, cioè la Quercia, è entrato in fibrillazione, con alcuni diessini molto critici su quella operazione bancaria».
C’è già chi parla di un ritorno del giustizialismo.
«Cossiga ha fatto notare che è la prima volta che i cda delle imprese vengono decisi di fatto dalla magistratura. E anche il senatore ds Debenedetti [1] ha preso le distanze da certe scelte dei pm. Non sta a me giudicare. Speriamo però che non si arrivi agli eccessi di Tangentopoli, a una nuova spettacolarizzazione della giustizia».
Roberto Zuccolini
[1]
14/12/2005
IL SOLE 24 ORE
DEBENEDETTI : UN ARRESTO NON NUOCE ALLA CREDIBILITA' DEL SISTEMA
MARRONI CARLO intervista DEBENEDETTI FRANCO
www.senato.it/notizie/RassUffStampa/051214/9cqrm.tif


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15/12/2005
LIBERO QUOTIDIANO
Temo i giudici che fanno le star
di FAUSTO CARIOTI

ROMA Il nome di Luigi Grillo, senatore di Forza Italia e presidente della Commissione Lavori Pubblici, vicinissimo al governatore Antonio Fazio, appare, anche se in posizione ben diversa da quella di Gianpiero Fiorani, nell'ordinanza con cui il gip milanese Clementina Forleo ha disposto la custodia cautelare per il banchiere. Grillo, infatti, come altri parlamentari, era titolare di un conto corrente della Banca popolare di Lodi finito sotto la lente dei magistrati. Senatore Grillo, se lo aspettava l'arresto di Fiorani? «No, non me lo aspettavo. L'ho appreso dalla televisione». Quand'è stata l'ultima volta che ha sentito Fiorani? «È tanto che non lo sento. Da alcuni mesi, da quando è stato sospeso dall'incarico. Da allora non l'ho più sentito né visto». Come ha reagito quando ha saputo che nell'ordinanza c'è anche il nome di alcuni politici, tra cui il suo? «Io questo l'ho letto sui giornali. A me nessuno ha detto nulla. Ho letto sulla Stampa e sul Corriere della Sera che il Gip ha posto l'attenzione sul rapporto che io ho con la Banca Popolare. E va bene, l'aveva già scritto il Sole 24 Ore. Io ho un conto corrente come ce l'hanno tanti che operano con le banche, non ritengo nemmeno di dovere stare qui a dare spiegazioni.
continua...

www.senato.it/notizie/RassUffStampa/051215/9d5z9.



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15/12/2005
LIBERO QUOTIDIANO
Cossiga: io so come andrà a finire
di RENATO FARINA
Senatore Cossiga, quando c'è un mistero lei lo sa: telefono a lei. «Qui non c'è nessun mistero. Senza bisogno di essere sociologi della politica al livello di Giovanni Sartori, chiunque sia del ramo e ci metta la testa è in grado di spiegare quanto sta accadendo». Lei ha presentato un'interpellanza dove chiede al governo «se corrisponda al vero che i pubblici ministeri della Procura della Repubblica di Milano, nel corso dell'inchiesta relativa alla "scalata" della Banca Antonveneta, abbiano richiesto ... l'arresto del dottor Antonio Fazio, Governatore della Banca d'Italia». Poi però il gip non avrebbe consentito, quasi per miracolo. «In Italia oggi può accadere di tutto. Come nel '92-'93. Le dispiace se cito Aristotele e Tommaso? ». Prego. «I due sostenevano che la natura aborrisce il vuoto. Bisogna allargare l'osservazione alla società politica. Così quando in essa viene meno la politica e quel tipico strumento della politica che è il governo, gli spazi per governare vengono invasi da altre istituzioni, come è avvenuto negli anni di Mani pulite, e cioè dalla magistratura». Siamo di fronte a una nuova edizione di quella che il procuratore generale di Milano dell'epoca, Catelani, definì la Rivoluzione italiana: magari per portarla a compimento visto che la sinistra fu gabbata da Berlusconi... «Dove vogliano arrivare vedremo poi. Ma l'irresponsabilità di alcuni magistrati è stata indotta da un'assenza colpevole». Insomma ce l'ha anche lei con Berlusconi. «Non precipiti. Mi faccia esporre i fatti. Il governo si è tirato fuori come se non lo riguardasse da qualsiasi decisione di politica bancaria. Non è entrato nel merito della richiesta di sostituzione di Antonio Fazio, una richiesta avanzata anche da chi lo riteneva e ritiene persona onesta. continua...

www.senato.it/notizie/RassUffStampa/051215/9d58o.tif


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IL GIORNALE
15 dicembre 2005
Cossiga: «Questa guerra è una resa dei conti tra i Ds e la Margherita»
di Luca Telese

da Roma
Allora presidente, ce la racconta lei questa storia dell'Antonveneta che fa tremare il Palazzo?
«Io? Io potrei dirle che sono molto preoccupato. E che dopo Tangentopoli questa sarà la crisi più grande che il nostro paese deve prepararsi ad affrontare».
Lei sarebbe in grado di spiegare cosa sta accadendo anche a un nostro lettore che non conosce tutti i retroscena del mondo finanziario?
«Oh, non credo sia difficile: tutto è molto più semplice di quanto non sembri».
L'arresto di Fiorani avrà una ripercussione forte sul mondo politica?
«Ah, questo è certo. La vicenda di Antonveneta si inserisce in una guerra politica che è in corso da mesi, è come un detonatore piazzato su una carica di esplosivo».
E se la bomba esplode chi verrà colpito?
«Il centrosinistra».
Perché, il centrodestra no, secondo lei?
«No, perché da questa partita è tagliato fuori. Ehhhh... ».
Cosa?
«Potrei dire che non ci è nemmeno mai entrato perché non conta nulla.
Ma suona offensivo: diciamo che in questo momento il centrodestra non è così rilevante agli occhi dei Poteri forti che si confrontano in quella guerra».
Allora la guerra fra chi è?
«Tra due classi dirigenti diverse e antiche che convivono nel centrosinistra. È una guerra tra strutture economico-politiche opposte, fra un pezzo di quella che un tempo poteva essere definita la finanza “rossa” e un pezzo di quella che un tempo era la finanza “bianca”: se mi concede una banalizzazione comprensibile a tutti, invece, è... una guerra fra i Ds e la Margherita, prima della resa dei conti delle elezioni».
Cominciamo dal protagonista: Fiorani chi è per lei?
«Un furbone, un vero furbone».
Furbone detto con questo tono, e alla luce delle accuse è una parola grossa?
«Per abitudine non sono uno che infierisce su chi affonda: ma certo oggi non posso rivendicare la comune origine nell'Azione cattolica».
Perché uno di voi due non ne è degno?
«Non mi costringa a essere inelegante».
Allora mi spieghi cosa sta accadendo in quella guerra di cui mi ha parlato.
«Se con Tangentopoli i magistrati hanno affondato un regime, ora che un regime non c'è più, con questa inchiesta pensano - e forse possono - affondare ciò che ha preso il suo posto: un sistema».
Lei vuol dire che l'inchiesta su Antonveneta è mossa da un disegno politico?
«No. Nessun disegno. Ma certo i giudici si inseriscono in un vuoto di potere, e potrebbe avere di nuovo l'effetto di radere al suolo una intera classe dirigente».
Perché?
«Perché in questo momento, con la guerra che c'è in corso, si stanno modificando equilibri delicatissimi: i magistrati entrano sul campo di battaglia, proprio dove si è aperta la crepa».
E questa crepa che cosa è, perché si è prodotta proprio in questo punto dello scacchiere politico?
«Si è aperta a sinistra, quando è iniziata la guerra per l'egemonia del dopovoto».
Dopo le regionali l'Unione si è convinta di aver vinto...
«... e allora l'economia e la finanza sono diventati terreno di confronto il luogo dove misurare i rapporti di forza in vista del governo».
L'Unipol è l'espressione del potere ds, i «furbetti del quartierino» ci hanno giocato di sponda. Perché?
«Non parlo di questo perché come lei sa, di molti e importanti dirigenti dei Ds io mi considero amico».
Lei ieri ha detto che volevano arrestare anche Fazio.
«È vero. Ho chiesto al governo se è vero che non è successo perché il Gip si è opposto».
Lei lo ha chiesto o sapeva che il Gip si è opposto?
«Lo sapevo, ovviamente».
I magistrati di Milano hanno smentito la notizia.
«Mi avrebbe stupito il contrario. Ma loro sanno che tutto si può dire di me tranne che io sia disinformato, bugiardo o fesso. Non dico cosa penso di loro perché è ancora in vigore il codice penale Rocco».
Cosa deve fare il governo?
«Ha il dovere di essere informato su quel che accade, di uscire dal letargo mentre si decidono i destini delle istituzioni che guidano l'economia».
Ma se Fazio finiva in manette, come dice lei, cosa...
«... se ci fosse stato l'arresto, sarebbe stato un gesto di irresponsabilità che avrebbe danneggiato tutto il Paese».
Lei sfidò i magistrati a pubblicare le intercettazioni di alcuni indagati dell'inchiesta in cui erano state registrate anche le sue parole.
«Non avevo nulla da temere. Mi hanno fatto sapere che loro stessi le hanno catalogate come conversazioni private».
Fazio è suo amico ma lei su questa vicenda ha dissentito.
«Fu io a consigliargli pubblicamente di dimettersi, questa estate. Ora non lo rifarei».
Cosa può interrompere il conflitto economico-politico che lei vede nel centrosinistra?
«Una soluzione c'è: dovrebbero candidare a premier una delle... tre punte dei Ds. Ma non lo faranno, perché continuano a credere di essere figli di un dio minore».
Cosa accadrà?
«Non vincerà nessuno, ma si faranno male tutti. È un film già visto».


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IL FOGLIO
15 dicembre 2005
I poteri neutri cugini dei poteri forti
L’assetto bancario italiano, gli appetiti della galassia del Nord e quelli degli outsider di provincia, l’arrivo degli stranieri, il ruolo di Fazio, dei media e della magistratura. La politica e la finanza rossa. Riepilogo psico-cronologico dello scontro intorno alle grandi manovre che non fanno mai i conti col mercato
Roma. Si va verso una direzione temuta ma prevedibile, la soluzione finale giudiziaria, le manette di oggi che alludono a quelle che potrebbero scattare domani. I giornali di oggi che preparano le mosse di domani. E’ lo stile di gioco di dodici anni fa, solo un po’ imbolsito e reso meno urgente dall’abitudine di una mezza rivoluzione inutile e già vista. Se i poteri che si stanno scontrando senza esclusione di colpi sul riassetto del sistema economico finanziario avessero scelto di fermarsi un po’ prima, forse non si sarebbe creato il varco che ha permesso martedì sera a Clementina Forleo di firmare gli ordini di custodia cautelare per Gianpiero Fiorani, Gianfranco Boni, Fabio Conti, Silvano Spinelli e Piero Marmont. Del resto, la storia un po’ romanzesca di Gianpiero Fiorani è così schematica da contemplare la possibilità di un simile finale, con la Banca popolare italiana (il cui cambio di nome fu festeggiato alla presenza di una lombardissima soubrette), raccontata dall’ordinanza come la scena di un saccheggio.
Naturalmente, la storia vera nasce prima. E’ la storia di una lunga guerra di posizione. Antonio Fazio, governatore della Banca d’Italia, geloso delle sue prerogative, rimasto dominus del mondo finanziario dopo la morte di Enrico Cuccia, organizza una trama di riassetto del sistema del credito italiano. Ma piano piano viene prima tradito dai banchieri del Nord che vogliono riorganizzare il sistema a modo loro (a cominciare dal silenzioso tessitore Giovanni Bazoli), e poi mollato da Cesare Geronzi che non vuole correre rischi con i suoi potenti azionisti olandesi di AbnAmro che da anni vogliono espandersi in Italia, e minacciano di allargarsi in Capitalia se non gli si permetterà di prendersi Antonveneta. Così Fazio si accomoda con il giovane banchiere Fiorani e lo protegge. Per irrobustire la sua trama, asseconda e incoraggia la costituzione di una rete di rapporti che mette insieme un gruppo di outsider affamati di denaro, di proscenio e di potere. Ci sono gli immobiliaristi come Stefano Ricucci. C’è un intelligente pasticciere siciliano dagli abiti di buon taglio che decide di portare sulle barricate le sue legioni di commercianti. C’è una pattuglia di parlamentari amici del governatore per lo più ex democristiani che parlano per suo conto e non vengono mai smentiti; e forse si scoprirà, stando agli omissis nell’ordinanza della Forleo, che accanto a questi ce n’erano degli altri, collegati alla rete messa su da Fiorani da un meccanismo di elargizioni in denaro. C’è un pivot che s’è già fatto le ossa in una prima operazione di svecchiamento del sistema economico italiano, Emilio Gnutti, detto Chicco, capitano coraggioso della scalata Telecom; il quale Gnutti è da una parte una testa di ponte nel salotto buono (è azionista di Olimpia, società chiave nella catena di comando Telecom), dall’altra fa da pontiere con la finanza rossa di Mps (che si sfila perché a Siena gli ex comunisti sanno come flirtare con il potere vero) e con l’Unipol di Giovanni Consorte. Ci sono anche rapporti di sponda con altri outsider: un banchiere d’affari, amico anche del Cav., per esempio, che dà una mano a Ricucci nella scalata al Corriere della Sera (“insensata”, ha ragione Peppino Turani; e non perché il Corriere sia intoccabile, ma perché di solito si vince una battaglia per volta). C’è infine il re degli outsider nei fatti di denaro: un padre nobile, un politico abile e sotto sotto ingenuo, che ha già vinto una volta come sponsor principale dell’operazione Telecom e che ci ha preso gusto, si chiama Massimo D’Alema. Egli è il simbolo dell’impossibilità per la classe politica di mettere i piedi nel piatto degli affari, di unificare soldi e consenso. Non riuscì a Bettino Craxi, e Silvio Berlusconi che personifica la duplicità del potere – denaro e politica – è tenuto sotto scacco da una parte dal peso del suo conflitto d’interessi, dall’altra dall’occhiuta vigilanza dei poteri neutri cugini di quelli forti.

Il concerto incriminato
Il resto è cronaca. Alla fine dell’estate 2004 il numero uno della Popolare italiana, Gianpiero Fiorani inizia a rastrellare scientificamente il titolo della banca di Padova convincendo imprenditori e politici locali, oltre agli amici di una vita Gnutti e Ricucci, della bontà del suo piano di aggregazione. Le indagini degli inquirenti iniziano il 2 maggio, pochi giorni dopo la denuncia della banca olandese AbnAmro. Emerge il network tra imprenditori lombardoveneti e l’allora Popolare di Lodi. L’ipotesi è che prestiti milionari venissero garantiti a personaggi fidati a un tasso sostanzialmente nullo, in cambio dell’acquisto di titoli della Lodi o di Antonveneta. Un sistema che sarebbe già stato utilizzato da Fiorani in passato. I primi prestiti per Antonveneta vengono concessi a fine novembre, la prassi continua anche nei mesi di gennaio e febbraio quando è chiaro che gli olandesi intendono lanciare un’offerta pubblica. Fiorani fa un passo falso, utilizza la sua controllata svizzera per erogare prestiti da utilizzare per conquistare Antonveneta. Presta a Ricucci 100 milioni di euro per comprare titoli Antonveneta. Lo stesso schema sarebbe stato utilizzato per altri finanziamenti. Fiorani e il suo direttore finanziario, Boni, continuano a garantire fidi a marzo.
L’amministratore delegato olandese va a Lodi l’8 marzo per ragionare su un’intesa. Fazio dice agli olandesi che il piano della banca lodigiana merita attenzione. Non si parla di difesa dell’italianità della banca o di interessi internazionali. Con il benestare della Banca d’Italia, Fiorani incrementa la sua quota in Antonveneta. Assieme ai suoi alleati supera il 30 per cento, motivo che avrebbe costretto la Popolare a lanciare un’offerta obbligatoria. Il braccio di ferro tra Abn e Fiorani prosegue. Ad aprile Fiorani vince l’assemblea. AbnAmro ricorre. Comincia la rimonta del potere vero. La lista di testimoni disposti a denunciare Fiorani si allunga ogni giorno. Ci sono i dirigenti di Bankitalia che riferiscono le pressioni di Fazio per approvare l’Opa di Lodi su Antonveneta. Il lato giudiziario comincia a prevalere su quello finanziario. I titoli degli alleati di Fiorani vengono sequestrati. Il 27 luglio una nuova assemblea Antonveneta ordinata dal tribunale di Padova rinomina il cda. In agosto Fiorani viene sospeso per due mesi dal suo incarico. Due interrogatori vengono secretati per eccesso di informazioni sensibili. A metà settembre un nuovo interrogatorio, Fiorani si dimette. In ottobre ammette di aver utilizzato la banca per scopi personali. Da martedì è in carcere.






INES TABUSSO