00 01/12/2005 12:45
CORRIERE DELLA SERA
1 dicembre 2005
LA DECISIONE DI PISANU
di MAGDI ALLAM
Consulta (sbagliata) per l’Islam italiano

Fatta salva la bontà dell'intenzione, la «Consulta per l'islam italiano» si presta a fondate critiche sul piano formale, sostanziale e temporale. Dovrebbe essere un organismo consultivo i cui membri nella condivisione di principi, valori e obiettivi formano un gruppo coeso nell'offerta di analisi e proposte alla meritoria strategia del ministro volta a realizzare un «islam italiano».
Invece la Consulta è stata concepita come un parlamentino islamico secondo un manuale Cencelli filtrato dalla discrezionalità politica di Pisanu. E per quanto ci si sia sommamente impegnati a indorare la pillola indigesta, assottigliando la presenza dell'Ucoii a un sedicesimo del totale dei membri, la legittimazione istituzionale del suo presidente Nour Dachan costituisce un fatto inedito e grave. Infine una perplessità scontata: che cosa potrà concretamente fare una Consulta islamica a quattro mesi dalle elezioni legislative, quando notoriamente prevalgono la faziosità e la demagogia dei candidati e dei partiti? Ma è inutile girarci attorno: il nodo cruciale è Dachan e l'Ucoii.
Credo che sia un errore elevare a interlocutore dello Stato un'organizzazione che, proprio il 12 novembre 2003, giustificò la strage di 19 italiani a Nassiriya sostenendo «Non c'era né patria né Costituzione da difendere a Nassiriya», e «Nessuna convenienza politica o impegno con gli alleati può giustificare il dispregio dell'opinione pubblica e dei valori fondanti della Repubblica». Come si è potuto ignorare che Dachan e l'intero vertice dell'Ucoii sono stati al centro di un'indagine anti-terrorismo della Procura di Roma che ha portato alla perquisizione delle loro abitazioni lo scorso 19 luglio? Come è possibile sottovalutare il fatto che il braccio destro e il mentore di Dachan, il segretario nazionale dell'Ucoii Hamza Roberto Piccardo, abbia lo scorso 12 marzo definito il capo dello Stato Ciampi «un bandito della finanza mondiale», che legittimi pubblicamente il terrorismo suicida palestinese e di Al Qaeda in Iraq, neghi il diritto all'esistenza di Israele, diffonda un'interpretazione ideologica dell'islam profondamente anti-cristiana, anti-ebraica e anti-occidentale? Come è possibile sottacere il fatto che l'Ucoii sia ideologicamente e operativamente affiliata ai Fratelli Musulmani che, come attesta il movimento palestinese Hamas, considera lecito il ricorso al terrorismo per conseguire il traguardo condiviso dello Stato islamico? So bene che la Polizia e i Servizi considerano l'Ucoii un'organizzazione «moderata» per il semplice fatto che non mette le bombe in Italia e, all'opposto, collabora nel denunciare i sospetti terroristi islamici in Italia. Ma si tratta di una concezione desueta della sicurezza perché nella nostra era del terrorismo islamico globalizzato, la vera arma non sono le bombe ma il lavaggio del cervello che trasforma le persone in robot della morte. Quindi l'apologia di terrorismo, la predicazione violenta, la cultura dell'odio.
Affinché l'Ucoii possa essere considerata un interlocutore credibile dovrebbe condannare «senza se e senza ma» tutti coloro che mettono le bombe ovunque nel mondo, a cominciare da Israele e dall'Iraq. È verosimile che si sia preferito tenere l'Ucoii dentro la Consulta nel timore che se esclusa avrebbe potuto venir meno a quel patto non scritto in base al quale l'Ucoii garantisce la tranquillità delle moschee che amministra in cambio del suo riconoscimento istituzionale. Sinceramente è un ricatto odioso a cui uno Stato che si rispetti non dovrebbe soggiacere.
Si sarebbe potuto fare diversamente? Probabilmente Pisanu avrebbe dovuto esplorare e valorizzare di più la realtà dell'associazionismo laico presente tra le comunità musulmane. Ma in ogni caso la linea rossa invalicabile per chiunque non può che essere la condanna assoluta del terrorismo e la condivisione dei valori fondanti della comune identità nazionale italiana.
www.corriere.it/allam


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CORRIERE DELLA SERA
1 dicembre 2005
MULTICULTURALISMO
di AMARTYA SEN
Libertà e ragione
l’unico passaporto

I fatti di violenza e le atrocità di questi ultimissimi anni hanno avviato un periodo non soltanto di conflitti spaventosi, ma anche di notevole confusione. La politica dello scontro globale viene spesso interpretata come corollario delle divisioni religiose o culturali del mondo. C’è la convinzione che la popolazione del pianeta possa essere divisa in categorie.
Categorie definite secondo un metodo di partizione al di sopra di tutto. Una visione a senso unico è un ottimo sistema per riuscire a non comprendere praticamente nessuno al mondo. Nelle nostre vite quotidiane, ci consideriamo membri di svariati gruppi. La stessa persona può essere cittadina britannica, originaria delle Indie Occidentali, d’ascendenza africana, musulmana, vegetariana, socialista, donna, amante del jazz, insegnante e matematica. Ciascuna di queste categorie le conferisce un'identità particolare; sta a lei decidere quale importanza relativa attribuire a ciascuna di queste affiliazioni, in ogni particolare contesto. Nella vita le responsabilità della scelta ragionata sono centrali.
Al contrario, la violenza è alimentata dal senso di priorità che viene data a una pretesa identità. Quando arruolavano gli Hutu per ammazzare i Tutsi, alle reclute potenziali veniva soltanto detto che erano Hutu («odiamo i Tutsi»), e non anche Kigaliani, Ruandesi, Africani ed esseri umani (identità che anche un Tutsi può condividere). Purtroppo, anche parecchi tentativi organizzati per fermare la violenza e il terrorismo hanno il difetto di una visione a senso unico. I tentativi di politicizzare l’Islam non sono venuti solo dai reclutatori di terroristi, ma anche da quegli oppositori secondo cui l’identità islamica è l'unica identità di una persona musulmana. Questo ha davvero ingigantito il potere e la voce delle guide religiose, talvolta a spese della società civile.
I problemi globali hanno un effetto rilevante sulla politica interna della Gran Bretagna. Per molti versi, la Gran Bretagna ha avuto grandissimo successo nell’integrare persone di origini e retroterra differenti in confronto a certi altri Paesi europei. Le radici dell’integrazione possono essere trovate nei vari impegni per sostenere le opportunità e le libertà di tutti i residenti legali, immigrati come nativi. Il contributo forse più significativo, la cui importanza spesso non è sufficientemente riconosciuta, viene dalla concessione piena e immediata del diritto di voto a tutti i residenti britannici del Commonwealth, che costituiscono la maggior parte dell’immigrazione non-europea. Questa conquista è stata rafforzata da un trattamento largamente non discriminatorio nella sanità, nell’istruzione e nella sicurezza sociale: tutto ciò ha contribuito ad integrare piuttosto che a dividere.
Fin qui, tutto bene. Ma anche la Gran Bretagna è sempre più minacciata dal pericolo di una visione a senso unico, in particolare per quanto riguarda le religioni e le comunità. Una visione che sta guadagnando terreno anche nella politica ufficiale. Non si tratta di stabilire se il multiculturalismo sia andato «troppo oltre». Il punto è quale direzione debba prendere. Se cioè debba garantire alle persone la libertà di una scelta culturale invece di insistere sulla salvaguardia di un’identità definita dalla comunità religiosa di provenienza, ignorando tutte le altre priorità e affiliazioni.
L’attuale politica statale di promozione attiva delle nuove «scuole della fede» per bambini musulmani, hindu, sikh e anche cristiani non è problematica solo dal punto di vista educativo; incoraggia una percezione frammentata delle aspirazioni di vita dei nuovi cittadini inglesi. Molte tra queste nuove istituzioni sono state create proprio nel momento in cui l’importanza attribuita alla religione era diventata una delle principali fonti di violenza nel mondo. Si ripercorre una strada conosciuta dalla Gran Bretagna con la divisione tra Cattolici e Protestanti nell’Irlanda del Nord che fu causata anche da una scolarità segmentata.
Fa certamente bene il premier Tony Blair a notare che «in queste scuole c’è un senso fortissimo dell’etica e dei valori». Ma l’istruzione non consiste soltanto nel tenere i bambini, anche quelli molto piccoli, immersi in un’etica vecchia, ereditata. Consiste anche nell’aiutarli a sviluppare la capacità di ragionare sulle decisioni che dovranno prendere da adulti. Uno scopo ben più importante del raggiungimento di qualche parità stereotipata rispetto ai britannici.
Le azioni della gente sono influenzate da molte affiliazioni, non solo da quella religiosa. Per esempio, la separazione del Bangladesh dal Pakistan era collegata alla fedeltà manifestata alla lingua e alla letteratura bengalesi, assieme ad altre priorità laiche condivise da tutti gli schieramenti politici del Pakistan prima che il Paese fosse diviso. I musulmani del Bangladesh che vivono in Gran Bretagna o in qualsiasi altro posto possono benissimo essere orgogliosi della loro fede islamica, ma questa non offusca la dignità delle altre affiliazioni. Il multiculturalismo che pone l’accento su libertà e ragione va distinto dai «monoculturalismi plurimi» con rigida cementazione delle divisioni. Alle madrassa, le scuole religiose islamiche, può interessare poco il fatto che quando un matematico moderno invoca un algoritmo per risolvere un problema di calcolo difficile, aiuta a commemorare il contributo laico del grande matematico musulmano del IX secolo Al-Khwarizmi, dal cui nome deriva quel termine («algebra» viene dal suo libro, Al Jabr wa-al-Muqabilah). Non esiste alcun motivo per cui i vecchi britannici, come i nuovi, non debbano celebrare questi grandi collegamenti. Il mondo non è una federazione di appartenenze etniche religiose. Né lo è, si spera, la Gran Bretagna.
Amartya Sen 2005
(Traduzione di Laura Toschi)


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LA REPUBBLICA
1 dicembre 2005
UN ARGINE ALLA JIHAD
RENZO GUOLO

Nasce, dopo lunga gestazione e non senza sorprese, la consulta islamica. Ne fanno parte sedici membri, scelti da Pisanu in base a affidabilità e rappresentatività. Criteri entrambi essenziali per far decollare il nuovo organismo che, sia pure con i limiti dell´essere uno strumento solo consultivo, segna pur sempre l´ingresso nel circuito istituzionale dell´Islam. Un riconoscimento niente affatto scontato, dato lo zeitgeist, lo spirito dei tempi, e le forti resistenze, nella stessa maggioranza, della Lega, decisamente contraria a qualsiasi vocazione "dialoghista". Nel varare la consulta il ministro ha cercato di tenere conto della natura plurale dell´Islam in Italia.

Consulta islamica un argine alla Jihad

Cercando di far emergere, nella scelta, non solo la dimensione dell´appartenenza etnonazionale dei musulmani della Penisola ma anche quella di genere. Nella lista vi sono quattro donne: poche, forse, ma il fatto che siano state incluse fornisce una legittimazione importante alle istanze dell´altra metà della Mezzaluna, costrette a muoversi in un universo culturale spesso caratterizzato da un corpo sociale maschile refrattario alle domande, e ai diritti, delle donne. Non mancano poi esponenti che operano, oltre che nel campo del volontariato, nel mondo sindacale. Un riconoscimento importante: il mondo del lavoro è già attraversato da istanze che toccano la frontiera tra identità religiosa e organizzazione della produzione. Questioni destinate, vista la struttura del nostro mercato del lavoro, a salire prepotentemente alla ribalta nei prossimi anni.
Nella consulta vi sono anche esponenti dell´editoria etnica; un fenomeno poco conosciuto ma che in Italia ha una sua diffusione, data la presenza di numerosi gruppi nazionali di immigrati, in larga parte di prima generazione. Strumento importante, quello delle testate etniche, perché permette di registrare, in entrata e uscita, un flusso di informazioni utili alla consulta per decidere su singole questioni e per far circolare all´interno delle comunità immigrate notizie e input di varia natura.
Il criterio pluralista è stato adottato anche nella scelta degli attori politici e religiosi dell´islam organizzato. Qui Pisanu ha cooptato esponenti de "l´islam degli stati", ovvero di quelle associazioni non governative che mantengono stretti legami con paesi come la Libia, il Marocco, l´Arabia Saudita; scelta che assume anche valenza diplomatica, dato che permette di mantenere buoni rapporti con stati con i quali l´Italia ha collaborato in materia di sicurezza, di immigrazione, di politica energetica. La sorpresa è costituita qui dall´inclusione dell´Ucoii, rappresentata dal suo presidente Dachan. Una scelta destinata a sollevare polemiche: da parte di altre organizzazioni islamiche, come si è visto dalle immediate reazioni del Coreis, che ritengono l´Ucoii, o almeno i suoi vertici, troppo vicino all´islam neotradizionalista dei Fratelli Musulmani, seppure rivisitato secondo i canoni di un "islam di minoranza" come quello europeo; ma anche da parte di quanti, nel mondo politico e editoriale, si erano battuti con forza per impedire tale sbocco. La scelta, indipendente e solitaria di Pisanu, probabilmente sottoposto in questi mesi a pressioni di varia provenienza, si regge, più che su una scommessa, sulla razionalità politica. Una consulta priva de "l´islam delle moschee", non serve se tra i suoi compiti dichiarati vi è non solo quello di favorire la nascita di un islam italiano ma anche quello di contrastare il diffondersi, al suo interno, di ideologie radicali che possono sfociare nell´appoggio o nella militanza in gruppi jihadisti. E´ probabile che tali ideologie attecchiscano meglio laddove, come nelle moschee diffuse nel territorio, circolino un certo numero di persone provenienti da paesi investiti dal lungo ciclo politico del risveglio islamista, piuttosto che in selezionati e felpati salotti più o meno istituzionali. Per il suo radicamento nel territorio e per il tipo di "utenza" politica e religiosa che lo frequenta, "l´islam delle moschee" è un´antenna capace di cogliere, prima di altri, le inquietudini e gli scarti ideologici che si possono manifestare in talune aree grigie che frequentano i luoghi di culto. Per gli obiettivi che la consulta si prefigge, assicurare integrazione e produrre sicurezza, i musulmani in giacca e cravatta o le donne senza velo possono non essere, da soli, sufficienti. Certo, la scommessa è impegnativa. Ma anche gli altri paesi europei hanno scelto questa stessa via. Anche perché la cooptazione in una cornice istituzionale di organizzazioni potenzialmente "antisistema" o ancora "in mezzo al guado", ha spesso l´effetto di produrre integrazione sistemica. A patto, naturalmente, che la presa di distanza dal terrorismo jihadista, nelle parole e nei fatti, sia inequivocabile. Secondo Pisanu tutti i membri della consulta hanno preso ufficialmente posizione contro l´estremismo e assunto decisioni impegnative contro il terrorismo. Difficile credere che il ministro dell´Interno non abbia usato i mezzi istituzionalmente a sua disposizione per verificare la fondatezza di tali posizioni.
La consulta è solo il primo passo lungo la difficile ma indispensabile strada della costruzione dell´islam italiano. Il secondo è la legge sulla libertà religiosa. Ma per questo si dovrà attendere la prossima legislatura.


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LIBERO QUOTIDIANO
1 dicembre 2005
TROPPE AMBIGUITA' ALL'OMBRA DELLE MOSCHEE
MORIGI ANDREA
Pagina 10
www.senato.it/notizie/RassUffStampa/051201/98o6u.tif

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E INOLTRE:

Anche gli estremisti nel parlamentino islamico
Pagina 10
ROMA « È stato applicato il manuale Cencelli anche all'Islam italiano » : è questo il commento più ricorrente nelle moschee italiane, da quando è iniziata a circolare la lista dei 16 membri della nuova Consulta islamica voluta dal ministro dell'Interno, Giuseppe Pisanu. Nel corso di una conferenza stampa tenuta ieri al Viminale, il ministro ha annunciato i nomi dei suoi consiglieri, scelti dopo mesi di analisi e di valutazioni. « Un organismo di carattere rigorosamente consultivo - recita un comunicato - che raccoglie alcune delle voci oggi più significative della multiforme realtà islamica italiana » . Eppure sembra essere un consiglio rappresentativo delle varie realtà, più o meno organizzate. «Particolare attenzione è riservata alle diverse espressioni della società civile, ai giovani e alle donne, una delle quali sciita. La metà dei componenti possiede la cittadinanza italiana» . Anche a prima vista emergono i rapporti di forza e la volontà di accontentare un po' tutte le componenti dell'Islam italiano. continua...

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RESTANO FUORI IL VICE DIRETTORE DEL CORRIERE DELLA SERA, MAGDI ALLAM, E L'EDITORIALISTA DI REPUBBLICA, KHALED FOUAD ALLAM - QUEST ' ULTIMO MOLTO GETTONATO DOPO L'INCONTRO CON BERLUSCONI...

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Sono più di 10 mila i cittadini italiani che abbracciano ufficialmente l'Islam. Lo sostengono le ricerche del Cesnur, il Centro studi dellenuove religioni, che parlano di un dato «destinato ad aumentare», e lo conferma anche la Lega musulmana mondiale in Italia. Numeri che sottolineano come la religione islamica stia guadagnando terreno in Italia. Sarebbero pochi, però, gli italiani la cui conversione all'islam giunge al culmine di un percorso spirituale personale

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«SONO IDOLATRI E POLITEISTI»
«Anche noi sconsigliamo i musulmani di sposare i non musulmani, specie i cattolici». È quanto dichiara il presidente dell'Unione dei musulmani d'Italia Adel Smith. continua...

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La sai l'ultima su Allah? Gli islamici fanno satira
Pagina 11
«Per gli arabi è più facile entrare in Al Qaeda che alla televisione». Ne è sicuro Y. B. (Yassir Benmiloud), lo scrittore franco- algerino che si è specializzato in un nuovo genere letterario: l'umorismo islamico. Yassir fa parte di una nutrita pattuglia di comici musulmani, scrittori, attori, cabarettisti, convinti che solo la satira potrà scalfire l'egemonia culturale dell'integralismo coranico nel mondo arabo. Anche a rischio di una fatwa, di una condanna a morte. Non è un caso che questa schiera di giovani comici viva lontano dai rispettivi Paesi d'origine. I regimi islamici infatti non tollerano che si possa sorridere su soggetti come Bin Laden, il terrorismo, il Jihad. Eppure i nuovi comici musulmani sono convinti che « una risata può seppellire la paura » . Y. B., 37 anni, ci scherza su con la fatwa. Il suo primo romanzo, " Allah superstar" ( Einaudi), narra le vicende di un comico islamico che spera di ottenere una condanna a morte coranica per fare fortuna. Come Salman Rushdie. La notorietà da fatwa gli permette di incontrare Bono degli U2, prende un tè col Papa e farsi « una grossa striscia con Bush junior » . continua...


A fianco, tre vignette satiriche sull'Islam prese dai siti fuorissimo.com e bastardidentro.com. Dopo l' 11 settembre 2001, scherzi e battute di ogni genere su Osama Bin Laden e la religione musulmana sono iniziate a circolare...

«Com'è difficile parcheggiare un Boeing a Manhattan»
Pagina 11
"Youssef e i suoi accoliti fanno irruzione nei bar e spaccano tutto. Invitano poi garbatamente il gestore a cambiare attività: se questo fa orecchie da mercante, gliele tagliano. ( Yassir Benmiloud)";

Non credo molto in Allah... a meno che non abbia davvero bisogno di qualcosa (Shappi Khorsandi);

"I sermoni dell'imam richiamano alla giustizia, all'equità, all'omicidio ed all'amore del prossimo. Ascoltandoli, alcuni versano lacrime pie meditando sul castigo divino, altri si grattano applicando la jihad alle cimici, altri ancora urlano «Allah ou akbar» per ricordare il marchio dello sponsor. (Yassir Benmiloud)

"Ero in quello che viene volgarmente detto un gruppo islamico armato. Pochissime scartoffie, flessibilità del mercato, stagionali della jihad, bum bum, guerra per conto di Dio, si sgozzavano i miscredenti, cose così. continua...

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INES TABUSSO