00 10/11/2005 20:01

SCRIVE GIULIANO FERRARA:

"Ostruire il corso della
giustizia o disprezzare la corte sono figure
precise di reato, come inquinare
prove in modo fraudolento o rifiutare
(per i testi, non per gli imputati) di
deporre sotto giuramento. Per il resto
accusa e difesa sono in parità ed è su
questa parità formale, meticolosamente
rispettata e fatta rispettare, che si
fonda la legittimazione del giudizio finale"


POTREMMO PROVARE ANCHE NOI IN ITALIA A NON "ostruire il corso della giustizia" E A NON "disprezzare la corte", MA NON E' DETTO CHE SIA LA COSA PIU' FACILE DEL MOMDO, COME SEMBRA SUGGERIRE GIULIANO FERRARA.
PARE INFATTI CHE DA NOI "ostruire il corso della giustizia" E "disprezzare la corte" SIANO ATTEGGIAMENTI MOLTO COMUNI. QUESTO ALMENO SECONDO QUANTO RACCONTA UN ANGLOSASSONE AUTENTICO:


Proprio lunedi' sera, a Milano, nel corso di un convegno, il giornalista dell'Economist David Lane, cittadino britannico, spiegava al pubblico che in Inghilterra, quando un giudice chiede ad un avvocato un documento che riguarda l'imputato, l'avvocato si affretta a produrlo perche' un diniego potrebbe costargli l'arresto.
Inoltre ci teneva a sottolineare che, sebbene anche nel suo Paese i magistrati siano spesso oggetto di critiche da parte dei politici, nessuno si permette di insultarli perche' fanno il loro dovere, mentre in Italia questo molto spesso accade.
Lane suggeriva anche di rendere la pena esecutiva fin dal primo grado di giudizio, in quanto l'esperienza inglese dimostra che le persone condannate, e ristrette in carcere, hanno tutto l'interesse ad arrivare il piu' rapidamente possibile alla sentenza d'appello, e spronano in questo senso i propri difensori, i quali, invece di frapporre ostacoli allo svolgimento del processo con lo scopo di arrivare alla prescrizione, si attivano per ottenere la sentenza nel minor tempo possibile.



IL FOGLIO
10 novembre 2005
Editoriale

Il duro
Previti accetta l’eventualità del carcere e dice la sua innocenza: parole forti

Quelli che contestano a Cesare Previti
il diritto di difendersi dai processi
sono personaggi infarciti di ipocrisia
e di cultura borbonica. Nel diritto
anglosassone, cioè nel diritto, ci si
difende e basta. Ostruire il corso della
giustizia o disprezzare la corte sono figure
precise di reato, come inquinare
prove in modo fraudolento o rifiutare
(per i testi, non per gli imputati) di
deporre sotto giuramento. Per il resto
accusa e difesa sono in parità ed è su
questa parità formale, meticolosamente
rispettata e fatta rispettare, che si
fonda la legittimazione del giudizio finale,
sottoposto anch’esso a regole tra
quali la prescrizione del reato. Se
l’accusa fa un passo falso, il processo è
finito; non come da noi, che sappiamo
cancellare i passi falsi dei pm come
fanno i cani con le loro candies. C’è poi
una questione di stile, che ha altrettanta
importanza. Previti non è un imputato
come gli altri. Da un lato ha soldi
e potere in quanto avvocato dei
grandi affari, ha qualche prerogativa
legata al suo status di parlamentare influente,
e infine la caratteristica, a tutto
ciò collegata, di essere il perfetto
obiettivo da mettere nel mirino per
una magistratura e per un circuito dei
media sensibili al risvolto politico del
suo processo. Molto sensibili. Per una
persona in quella condizione non è facile
difendersi “normalmente” in un
teatro giudiziario inscenato su alcuni
accertamenti seri da verificare in dibattimento
ma anche costellato di pregiudizi,
insulti alla procedura, linciaggi
della persona, odii che arrivano rapidamente
al character assassination.
Al limite di un giudizio definitivo, ora
che la clausola prescrittiva che avrebbe
giocato anche per lui è scomparsa
dalla legge ex Cirielli, il deputato Cesare
Previti ha dato alla Camera una
prova di orgoglio che onora lui stesso e
l’assemblea, accettando l’eventualità
del carcere, anzi reclamandolo come
prova di vita e di sincerità personale.
Un duro, a quanto pare, e a noi i duri
non dispiacciono.
INES TABUSSO