...per capire...
La storia di Eluana
Sono ormai dieci anni che Eluana "
dorme": da quel mattino di gennaio, quando la ragazza viene ricoverata a Lecco in coma profondo per un gravissimo trauma cranico riportato nell'incidente. Come se non bastasse, la frattura della seconda vertebra cervicale la condanna quasi sicuramente alla paralisi totale.
Ma sul momento la cosa più urgente, per i medici, è strappare la ragazza dalla morte. Per questo motivo viene intubata e le vengono somministrati i primi farmaci. I due rianimatori fanno capire chiaramente ai genitori che in questi casi non resta che attendere il decorso delle successive 48 ore, per vedere come reagisce Eluana.
Niente, la ragazza continua a vegetare. Dimessa dalla rianimazione nell'aprile 1992, viene portata in un altro reparto dell'ospedale di Lecco, dove è sottoposta a una serie di stimoli, nella speranza di un sempre più improbabile "risveglio". Intanto il padre, consigliato dal primario del reparto di rianimazione Riccardo Massei, chiede un consulto a vari specialisti. Ma il verdetto è sempre lo stesso: bisogna aspettare. Il lavoro che stanno facendo all'ospedale di Sondrio - dove Eluana viene trasferita nel giugno 1992 - è ineccepibile.
Poi la solita frase: "La speranza è l'ultima a morire".
In realtà la speranza si riduce ben presto a zero.
Infatti dopo dodici mesi è possibile fare una diagnosi definitiva e sicura di stato vegetativo permanente, ossia irreversibile. La regione superiore del cervello (corteccia), compromessa come nel caso di Eluana da un trauma oppure da un'emorragia, va incontro a una degenerazione definitiva. E con essa tutte le funzioni di cui è responsabile: dall'intelletto agli affetti, e più in generale alla coscienza.
Il limite dei dodici mesi è dato per assodato a livello internazionale. Tanto che, passato quel periodo, la British Medical Association e la American Academy of Neurology sostengono la legittimità di sospendere nutrizione e idratazione artificiale. Ma non in Italia, dove la maggior parte dei medici non si azzarda ancora a dire chiaramente che tenere in vita più a lungo questi pazienti possa essere definito accanimento terapeutico.
Ed ecco come vive ancora oggi Eluana: i suoi occhi si aprono e si chiudono seguendo il ritmo del giorno e della notte, ma non ti vedono. Le labbra sono scosse da un tremore continuo, gli arti tesi in uno spasimo e i piedi in posizione equina. Una cannula dal naso le porta il nutrimento allo stomaco. Ogni mattina gli infermieri le lavano il viso e il corpo con spugnature. Un clistere le libera l'intestino. Ogni due ore la girano nel letto. Una volta al giorno la mettono su una sedia con schienale ribaltabile, stando attenti che non cada in avanti. Poi di nuovo a letto.
Commenta Carlo Alberto Defanti, primario del reparto di neurologia dell'ospedale Niguarda di Milano, che ha visitato Eluana alcuni anni fa: "Malgrado non soffra direttamente per il suo stato, dovrebbe essere chiaro a tutti che la sua condizione è priva di dignità. Di lei rimane un corpo privo della capacità di provare qualsiasi esperienza, totalmente nelle mani del personale che la assiste. La sua condizione è penosa per coloro che la assistono e che hanno ormai perduto da tempo la speranza di un risveglio e per i suoi genitori, che hanno perso una figlia ma non possono elaborarne compiutamente il lutto".
La macchina legale si mette in moto tra il '96 e il '97. Defanti, su richiesta del padre, stila una prognosi definitiva: "In considerazione del lunghissimo intervallo trascorso dall'evento traumatico, si può formulare una prognosi negativa quanto a un recupero della vita cognitiva". La corteccia cerebrale di Eluana è sconnessa dal resto del cervello. Per sempre.
Il consulto del neurologo compare, insieme ad altri documenti, nel procedimento di interdizione di Eluana da parte del padre, che nel 1997 ne diventa tutore. E' Maria Cristina Morelli, un brillante avvocato milanese, a utilizzare la figura del tutore dell'interdetto (che di solito si occupa solo di quattrini) per consentire a una persona incapace di esprimere la propria volontà attraverso un rappresentante.
E la sentenza della Corte d'Appello di Milano del dicembre 1999, anche se drammaticamente rigetta la richiesta di rifiuto delle cure con motivazioni da molti giudicate deboli, non solleva obiezioni su questo punto. "
E' un passo importante della giurisprudenza" commenta la Morelli "perché si ammette che anche persone nello stato di Eluana possano esercitare il diritto di dare o negare il consenso informato alle cure attraverso un rappresentante. Con tutte le garanzie e i controlli che la legge prevede rispetto alla figura del tutore dell'interdetto. Mi sembra un buon inizio per colmare la disuguaglianza tra chi, maggiorenne e nel pieno delle facoltà mentali, può esercitare la sua libertà di scelta fino al punto di rifiutare cure che gli salverebbero la vita, e chi invece non può perché in condizioni d'inconscienza".
Per rendere meno labile questo diritto degli "incapaci" è allo studio del Parlamento anche una proposta di legge, ispirata dalla Consulta di bioetica di Milano, sulle Direttive anticipate. "Se la legge passasse" spiega il giudice Amedeo Santosuosso, tra i magistrati più competenti in materia bioetica, "basterebbe avere nel portafoglio, o depositato presso il proprio medico, un foglio in cui si possono esprimere le proprie preferenze su come si desidera essere trattati dai medici in caso di perdita di coscienza. A dire il vero, anche se in Italia questa sorta di "testamento di vita" (Living Will) non è ancora un documento espressamente previsto per legge, una volontà documentata può essere riconosciuta valida in un procedimento giudiziario. E non è detto che il dissenso a essere sottoposti a un trattamento debba essere messo per iscritto. Certo un documento scritto rende tutto più evidente, ma per la legge la volontà può essere anche verbale.
A questo punto un tutore, sia esso il padre o un'altra persona, ne può curare l'esecuzione".
Sconfitta nelle aule giudiziarie, la lunga battaglia del padre di Eluana non è quindi stata inutile. Certo, questa bella ragazza di 30 anni, beffata da un incidente stradale, è condannata per chissà quanto tempo ancora a sopravvivere a se stessa.
Ma Beppino Englaro si è sempre rifiutato di risolvere la faccenda all'italiana. In tutti questi anni c'è stato infatti chi gli ha suggerito di portarsi la figlia a casa e di accelerare la fine "dimenticandosi" di darle le vitamine e la soluzione nutritiva che la tiene in vita.
"Il risultato di questa intransigenza è che ora si comincia a parlare di soluzioni di legge per rispettare i diritti e le volontà di queste persone" conclude la Morelli. "Dobbiamo ringraziare Beppino Englaro che ha messo a disposizione la sua tragedia per difendere i diritti e la dignità non solo di sua figlia, ma di tutti".
Luca Carra
fonte web
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Vicino a una soluzione il caso di Eluana Englaro
A dieci anni dall'incidente la ragazza di Lecco in stato vegetativo permanente non ha ancora ottenuto la sospensione dell'alimentazione artificiale. Tuttavia si stanno ponendo le basi per vedere riconosciuto finalmente il diritto di rifiuto delle cure anche per i soggetti in stato di incoscienza.
Da non confondere con il diritto all'eutanasia 18 gennaio 2002: ricorre il decimo anniversario dell'incidente che ha sospinto Eluana Englaro nel baratro dello stato vegetativo permanente. Eluana, oggi trentenne, giace da dieci anni in una clinica di Lecco, alimentata con un sondino nasogastrico. Immobile, gli arti irrigiditi e deformati. E senza speranza di riprendere coscienza. Si trova così dal 18 gennaio del 1992, quando verso le quattro del mattino la sua auto si è schiantata contro un muro nei pressi di Lecco.
Nel dicembre 1999 la Corte d'appello di Milano ha respinto la richiesta del padre-tutore, Beppino, di sospendere la alimentazione artificiale che la tiene in vita. Si badi bene: non si trattava di una richiesta di eutanasia, come spesso equivoca la stampa, bensì una richiesta di rifiuto delle cure, che secondo i ricorrenti configurano un quadro di accanimento terapeutico.
La sentenza di Milano ha rappresentato una sconfitta pesantissima per chi da un decennio sopporta la situazione crudele e paradossale di avere una figlia ridotta a un corpo senza coscienza, condannato a vivere solo perché il destino ha voluto risparmiarle la zona cerebrale deputata alla respirazione.
Di fatto Eluana non può essere definita "morta" secondo la legge attuale perché, anziché l'intero encefalo, l'incidente le ha lesionato "solo" la corteccia, cioè la parte dove vengono elaborati pensieri, consapevolezza, sentimenti, relazioni. Ma cosa resta se tutto questo si spegne? Una pianta, un lutto impossibile da elaborare, una figlia ridotta a zombie da una medicina interventista, che adesso si rifiuta di risolvere il problema che essa stessa ha contribuito a creare.
Dal "no" della Corte a oggi - decimo anniversario dell'incidente - qualcosa però si è mosso: nel giugno 2000 un incontro pubblico dedicato al caso Eluana (organizzato dalla Consulta di Bioetica, Politeia e Zadig) ha fatto esplodere il caso sui mass media. Un appello rivolto al presidente della Repubblica e ad altre cariche dello Stato ha sortito un primo effetto: l'allora ministro della Sanità Umberto Veronesi ha istituito una Commissione ad hoc che a metà 2001 ha espresso parere favorevole alla sospensione dell'alimentazione artificiale in persone in stato vegetativo permanente di cui si possa dimostrare la volontà di non restare in questo stato. I risultati della commissione Veronesi hanno fatto molto discutere, riproponendo la solita contrapposizione tra laici (favorevoli) e cattolici (contrari).
Successivamente, per la prima volta in Italia un comitato etico (della ALS di Treviso), su richiesta del team nutrizionale dell'ospedale locale, ha ribadito la liceità a sospendere l'alimentazione artificiale in quei casi in cui si può configurare un accanimento terapeutico.
Sul piano dell'iniziativa politica, prosegue intanto l'iter in Parlamento della proposta di legge sulle Direttive anticipate, che dovrebbe finalmente sancire il diritto di esprimere anticipatamente le proprie volontà in merito alle cure. In modo che, in base a un semplice scritto, sia possibile vedere rispettate le proprie preferenze in merito a dilemmi quali quello di Eluana in condizioni di incapacità.
Si registrano quindi notevoli progressi nel dibattito pubblico su questa condizione, che riguarda in Italia circa 1500 famiglie. Progressi facilitati anche da una forte mobilitazione della società civile intorno al caso di Eluana, come dimostra il numero di firme in calce all'appello presente sul nostro sito e i molti commenti che abbiamo raccolto - e che continuiamo a ricevere - sul caso.
Ciononostante, Eluana continua a essere mantenuta in vita artificialmente, e lo resterà fino a quando una nuova sentenza, una nuova legge, o una direttiva specifica non convincerà i medici a considerare l'alimentazione artificiale in queste condizioni come un inutile e inumano accanimento che non merita nemmeno la qualifica di "terapeutico".
Luca Carra
fonte web
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