Re:
galatea belga, 19/06/2017 16.56:
Non conosco la tristezza della tua poetessa, ma immagino che ne parli perché la sua vita ne è impregnata. A volte, è vero ricamare versi sulle proprie difficolta' fa intristire ancora di più, altre permette di isolarle dentro un una comunicazione affidata alla sensibilità degli altri... e si sta meglio.
Gentile Galatea la poesiola in origine era più lunga,tra l'altro una strofa diceva:
Col tuo comporre
compensi dell'amore
crediti e dolori
pari a un navigante
che sta sulle mappe
perché teme il mare
Da cui l'invito a lasciare le carte per fluire nella vita.
Sono noti gli sconfinamenti tra la psiche e una letteratura che rivela dissidi interiori per ferite narcisistiche dovute al bisogno frustrato di essere amati.
Penso siano più le poetesse a estrinsecare i loro vissuti reali nella poesia.
Da sempre sono affascinato da quelle tragiche del '900 su cui non mi soffermo perché ti saranno note.
La scrittura diaristica può curare l'anima, chiarirci nostre sofferenze,desideri ma anche comporre versi può autorivelarci e favorire una catarsi, specie se si prevede un ascolto,come sai, reso possibile da uno stile autoespressivo non troppo ermetico.
Tuttavia usare soltanto parole di tristezza può aggravare una depressione: il linguaggio che usiamo è suggestivo per i nostri stati d'animo,oltre che viceversa.
Per questo,altrove, sono stato critico verso chi compone solo in versi tetri.
A mio parere un poeta non dovrebbe tralasciare la dimensione della leggerezza, nel contenuto e nella forma: il gioco, il sogno, l'autoironia.
Mi pare che nelle poetesse ci sia un'estrinsecazione genuina di vita, negli uomini credo a volte si tratti di un maledettismo di maniera. Senza dimenticare Petrarca, Tasso, Leopardi, ecc.malinconici per conflitti interiori ma anche geniali.