ROSSI D'ANNATA/ 1: SOCIETA’ CIVILE, E BASTA

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INES TABUSSO
00sabato 19 agosto 2006 17:30
CORRIERE DELLA SERA
30 novembre 2002
La libertà di partecipare e il vizio delle etichette
SOCIETA’ CIVILE, E BASTA
di GUIDO ROSSI

Si potrebbe sostenere, celiando, che un virus paralizzante serpeggia nel Paese. E' il virus della Grande Confusione, alimentata ora volutamente ora inconsciamente da politici, intellettuali, mass media. Insomma, da tutti coloro che possono influenzare l'opinione pubblica. Lo Stato si va da tempo ritirando dalle sue funzioni di garante e regolatore dell'ordine e dei diritti, e ha lasciato scoperti territori di grande rilievo della vita dei consociati, dalla famiglia all'educazione, all'economia. Nessuna critica deve essere portata su questo arretramento, dovuto in larga parte anche a fenomeni ben noti di globalizzazione. Di conseguenza, lo slogan «meno Stato» è diventato il primo elemento della diade, subito completata con «più mercato». In questa strategia del capitalismo finanziario, tuttavia, il mercato, devastato da epidemici conflitti di interessi, si è sempre più rivelato una Confusion de Confusiones , come recita il titolo del primo trattato dei mercati azionari, pubblicato ad Amsterdam nel 1688 da Joseph de la Vega. Se questo slogan , tanto sguaiatamente urlato, fino a poco tempo fa, è ora quasi caduto in vergognoso silenzio, in un contesto sociale che sembra credere più al lessico della volgarità sbrigativa che a ogni linguaggio critico, val forse la pena di icasticamente segnalare una diversa alternativa che indubbiamente si sta invece proponendo come sintesi della modernità: «Meno Stato, più società civile».
Purtroppo anche la società civile è, tuttavia, oggetto di impensabili confusioni. E' mai possibile che anch'essa sia allora scambiata per una formazione politica e che anche la sua vitalità sia additata come violenta opposizione ora al governo, ora alla maggioranza, ora all'interno della stessa minoranza? La verità è che in una società, sempre più orale, televisivamente degradata agli slogan , all'insulto personalizzato, all'incultura critica, la società civile non è partitica, non si confonde con nessuno, vuol solo esprimere criticamente i suoi principi da far valere in una comunità ordinata e rispettosa dei diritti di tutti e non solo di alcuni. Intende riempire il vuoto che il degrado e l'arretramento della politica ha lasciato libero, trascinando con sé anche quello che è stato chiamato lo «sfarinamento» delle istituzioni democratiche, dal Parlamento ai partiti, dal governo ai sindacati, alla magistratura. Insomma la società civile, come concetto autonomo rispetto allo Stato, come entità scoperta da Hegel e rivalutata da Benedetto Croce, non si mescola con la politica ed è un frutto prelibato della democrazia liberale. Non è né di centro, né di sinistra, né di destra; né a favore né contro Berlusconi, perché queste posizioni politiche, partigiane o partitiche, appartengono alla sfera individuale di ciascuno e non riguardano necessariamente le espressioni associative della società civile.
La tradizione della società civile nel nostro Paese ha radici profonde e data dai tempi dell'Illuminismo lombardo. L'accademia dei Pugni dei Verri e del Beccaria che altro era se non un'associazione aristocratica della società civile? E c'è solo da sperare che, di fronte alla recente costituzione di un'associazione a larghissima partecipazione, l'affermazione di qualche cicisbeo o di qualche cartomante che si tratta di un club di miliardari sfaccendati abbia, almeno nell'inconscio, quel riferimento storico. L'ignoranza palese di chi tali affermazioni ha fatto rende tuttavia vana la speranza.
La società civile, in tutte le sue manifestazioni, anche quelle che assumono volutamente carattere di protesta (come, ad esempio, i girotondi), rappresenta invece, nelle democrazie liberali moderne, i cittadini attivi di ogni ceto e di ogni censo, che si costituiscono in associazioni spontanee, temporanee o durature. Quelle stesse che Alexis de Tocqueville chiamò le società intermedie che si pongono fra il cittadino e lo Stato e che, a suo dire, rappresentavano la parte più viva della democrazia americana.
Oggi di fronte all'arretramento dello Stato e allo «sfarinamento» delle istituzioni, essa è la custode dei diritti delle libertà e dei bisogni dei cittadini e tende a tener vivi ed elaborare quei principi sui quali si preserva una società ordinata e democratica. Nessuna sostituzione quindi alla politica, anzi una chiara distinzione a una separazione decisiva. La politica sempre di più, in questa civiltà orale e televisiva, si esprime in guisa elementare con slogan , confondendo le idee con le persone e anziché criticare le idee ritiene più facile e opportuno svilire le persone. Invece che di consenso critico sui programmi, sui progetti, si avvale di sondaggi rozzi e faciloni; invece che perseguire interessi generali si frantuma nella schiavitù dei particolarismi privati.
La società civile tende invece ad approfondire criticamente le istanze fondamentali che una comunità democratica deve conoscere e creare coi movimenti di opinione basati su informazioni, frutto di documentazione e non di spot, che inoltre possono arginare la sopraffazione della politica e delle istituzioni a tutti i livelli e garantire in primo luogo la libertà, in tutte le sue moderne accezioni, come diritto fondamentale del cittadino.
Non mira alla presa del potere dello Stato, bensì intende sviluppare le basi di un nuovo contratto sociale, che nessun potere politico può predisporre, e che contenga i fondamenti della giustizia nella versione che l'appena scomparso grande filosofo John Rawls ha dettato anche per le generazioni future.
I movimenti che essa esprime hanno trovato nell'era dell'informazione un'organizzazione aperta nel network . Alla politica dunque appartiene la televisione, alla società civile Internet. Gli approfondimenti, gli scambi di idee qui possono aprire nuove strade per i cambiamenti sociali e per condizionare gli spesso scomposti movimenti della politica. Di fronte a questa nuova prospettiva qualunque legislatore deve ormai sapere che le norme giuridiche, se non sono poi di comune accettazione da parte della comunità dei consociati, vengono disapplicate e non sortiscono effetto. E' qui che anche i colpi di mano delle maggioranze possono trovare un argine insormontabile.



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