QUELLA FRASE

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INES TABUSSO
00martedì 9 maggio 2006 21:57
"Da capo del Csm, un presidente che eserciti la funzione di garanzia operando – come ha fatto Ciampi – per evitare ogni possibile cortocircuito tra giustizia e politica" [1]




09/05/2006
IL SOLE 24 ORE
MAGISTRATI, L'USCITA DI FASSINO

www.senato.it/notizie/RassUffStampa/060509/as9w7.tif






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IL FOGLIO
6 maggio 2006
La guerra è finita. O no?

Fassino ci spiega i termini di una intesa strategica sul governo del sistema
Roma. Piero Fassino si alza in piedi nel suo ufficio e legge un appunto. “Io la metto così: la guerra è finita, perciò la candidatura di D’Alema al Quirinale deve essere il primo atto di una pace da costruire e non l’ultimo atto di una guerra che continua”. Il destinatario del messaggio è anzitutto Silvio Berlusconi. A lui e all’intera Cdl il segretario dei Ds – parlando con il Foglio – chiede “di valutare alla luce del sole la possibilità di eleggere D’Alema alla presidenza della Repubblica”. Fassino chiede i voti della Cdl? “Certo. O comunque un’intesa graduabile in diverse forme, purché esplicite”. Il presupposto dell’iniziativa fassiniana è questo: “Il centrosinistra ha vinto le elezioni, ma sul filo di lana ed è innegabile che una metà del paese sia rappresentata dalla Cdl. Siccome l’Italia deve ritrovare la serenità che le consenta di essere una democrazia normale, di riprendere a crescere e uscire dalla precarietà, bisogna smetterla di pensare che se vince Berlusconi ci sia il fascismo alle porte; e da destra che, se vince l’Ulivo, alle porte ci sia il comunismo”. Come ha fatto in circostanze analoghe il premier inglese Blair a nome del governo laburista, così, dice Fassino, “il prossimo governo italiano si farà carico delle scelte di chi lo ha preceduto, nel nome dell’interesse nazionale”. Di questo percorso, secondo il segretario dei Ds, D’Alema, se e quando candidato al Quirinale, vuole farsi garante. “Non siamo una Repubblica presidenziale, né lo dobbiamo diventare. Ma è essenziale che il prossimo presidente svolga un ruolo di garanzia e di coesione che contribuisca ad un clima nuovo e ad aprire una nuova stagione nella vita delle istituzioni della Repubblica”. Fassino indica quattro punti fondamentali che riassumono queste sue intenzioni e le collegano al nome di D’Alema. Primo: “L’assicurazione che se il governo di Prodi dovesse entrare in crisi si tornerà a votare, in base al principio tipico delle democrazie dell’alternanza per cui la legittimità di una maggioranza e di un governo viene dal voto dei cittadini”. Secondo: “Da capo del Csm, un presidente che eserciti la funzione di garanzia operando – come ha fatto Ciampi – per evitare ogni possibile cortocircuito tra giustizia e politica”. Terzo: “Sulle grandi scelte di politica estera un presidente che favorisca la massima intesa possibile”. Quarto: “All’indomani del referendum che – come noi auspichiamo – boccerà la revisione costituzionale della destra, si riprenda un confronto tra le forze politiche sulle istituzioni che consenta di portare a conclusione una transizione istituzionale da troppi anni incompiuta”. Questo il manifesto presidenziale di un possibile candidato di nome D’Alema, che secondo Fassino potrebbe anche essere reso esplicito prima del voto delle Camere. L’obiezione è che il ruolo del presidente possa venire meglio interpretato da figure terze, “emerite” o di vecchia scuola o con venature tecniche. Come Giorgio Napolitano, Giuliano Amato, Mario Monti. In più, un certo establishment e alcuni poteri editoriali conservano delle riserve su D’Alema. Fassino: “Certo, non c’è una sola personalità capace d’interpretare bene il ruolo di presidente, ma siamo in un tornante politico molto delicato e una figura tecnica rischia di rivelarsi una soluzione che coprirebbe a stento le tensioni, senza peraltro impedire che diventino virulente ed esplodano. Meglio un presidente di chiaro profilo politico. Quanto agli ambienti che diffidano di D’Alema, i timori sono figli della coazione a ripetere per cui si diffida di ciò che non si conosce più di quanto si creda in ciò che è noto. Io vedo in D’Alema un uomo politico dal profilo riformista, nel quale può identificarsi il centrosinistra, ma che ha l’intelligenza e la capacità di cogliere e rappresentare anche le aspettative e le inquietudini del campo avverso”.
Il D’Alema capo dello stato proposto da Fassino è “quello che ha presieduto la Bicamerale, quello che ha impegnato l’Italia nell’operazione internazionale in Kosovo, quello che gestì l’elezione bipartisan di Carlo Azeglio Ciampi e quello che ha sempre rifiutato di demonizzare il centrodestra”. E il centrodestra dovrebbe fidarsi? “Ai dirigenti del centrodestra chiediamo fiducia, sapendo che caricherebbero l’elezione dalemiana di un dovere in più, e anche pubblico, di onorare questa fiducia”. La sinistra militante e radicale ha già pronta l’accusa contro il nuovo inciucio. Ma Fassino insiste a dire che “tutto deve avvenire alla luce del sole” e preannuncia: “Non escludo affatto che lo stesso candidato dell’Unione, se e quando verrà scelto dopo adeguate consultazioni, possa anticipare il modo con cui si propone d’interpretare il proprio ruolo”. In altri termini D’Alema potrebbe presentare ai mille grandi elettori, che da lunedì voteranno, una specie di programma presidenziale sul quale chiedere un consenso diffuso. “E’ un’ipotesi che rappresenterebbe una innovazione importante”. In questo modo il Parlamento voterebbe sugli intenti futuri del candidato e non sulla storia di ieri del “comunista che divide”, come ha detto ieri il Cav. in campagna elettorale a Napoli. “Quelle dichiarazioni non mi impressionano, ma sono ancora espressione di una guerra che vogliamo superare per aprire un ciclo nuovo”. C’è pure un carattere da decrittare e D’Alema oscilla tra il decisionismo di Togliatti e gli strappi ammalianti ma non definitivi di Berlinguer. “D’Alema è spigoloso e a volte urticante. Ma è un vero laico, nel senso in cui lo intendo io dacché mio padre me lo spiegò quando ero quattordicenne: una persona in grado di cercare e cogliere il pezzo di verità che c’è anche negli individui più lontani da lui. D’Alema è un uomo leale. E, soprattutto, sa tener conto dei sentimenti della gente, ma non per questo si lascia frenare se la decisione del momento richiede fermezza e anche impopolarità. E sa onorare i patti”. Da uomo di parte, però. “Lo erano anche Pertini e Cossiga. Ma, per me, un uomo politico più è dotato di identità e profilo forte, più può onorare bene le responsabilità istituzionali dello statista”.




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CORRIERE DELLA SERA
7 maggio 2006
L' altolà della sinistra: no a baratti giustizia-Colle
Francesco Battistini

IL CASO / Gelo sull' idea che la trattativa coinvolga anche il nodo del rapporto tra toghe e politica. Travaglio: ecco l' inciucio. D' Ambrosio: va affrontato pure il conflitto di interessi

ROMA - "Signor colonnello, sono il tenente Innocenzi. Accade una cosa incredibile: i tedeschi si sono alleati con gli americani" (Alberto Sordi in Tutti a casa, 1960).

Tutti a casa.

Se la guerra con Berlusconi è finita, come dice Piero Fassino, c' è una trincea da svuotare subito. Riga 52 dell' intervista al Foglio, punto secondo del Manifesto Per D' Alema Presidente, programma di lavoro del settennato a venire: «Da capo del Csm - dice il segretario ds -, un presidente che eserciti la funzione di garanzia operando, come ha fatto Ciampi, per evitare ogni possibile cortocircuito tra giustizia e politica». Ventisei parole. Che a qualcuno sembrano il prezzo del Quirinale: «Il nuovo inciucio - commenta Marco Travaglio -. Il segnale l' ha dato Dell' Utri [2]: ripartiamo dalla Bicamerale, arrivano a maturazione altri processi. Telecinco in Spagna, Mediaset e Mills a Milano... Questa è la risposta: se tratti con Berlusconi, sappi che le sole cose che gl' interessano sono le tv e la giustizia. Qualcuno che "garantisca" sui magistrati...». Il Colle a D' Alema in cambio del collo di Silvio. La solita proposta indecente? I magistrati la prendono soft: «Le parole di Fassino mi sembrano talmente vaghe... Lasciamoli trattare», dice il neodeputato ds Gerardo D' Ambrosio: «Non vedo cortocircuiti, piuttosto delegittimazioni: l' altro giorno, una giornalista giapponese mi diceva stupita che da loro è inconcepibile un governo che attacca la magistratura». Asciutto Giuseppe Gennaro, presidente dell' Anm: «È giusto che il nuovo capo dello Stato prosegua sulla strada segnata da Ciampi. Ricordando che la magistratura, checché se ne dica, non pronuncia sentenze politiche». Ad Antonio Di Pietro, il passaggio di Fassino non piace: «Quest' idea che il futuro capo dello Stato debba garantire sui cortocircuiti, va oltre le sue funzioni. Se poi questo significa anche altro, cioè l' impunità a Berlusconi in cambio del Quirinale, siamo all' assurdo. Non credo che Fassino si presti al baratto: chiunque l' accetti, diventa complice d' un abuso». «Per carità di Dio!», no, Fassino non può voler quello: ne è sicura Anna Finocchiaro, capogruppo ds al Senato, perché «quelle parole possono essere lette in due modi: o come un segnale di garanzia ai magistrati, o come un' attenzione alla politica che soffre l' autonomia delle toghe». In ogni caso, occorre ricomporre «un clima di conflitto e garantire autonomia tanto al potere giudiziario che a quello politico», superando «un clima di sospetto che non fa andare avanti il Paese». I soliti sospetti. Con omissis che si notano, nell' intervista di Fassino: per esempio, il silenzio sul conflitto d' interessi. «Il tema va affrontato - dice D' Ambrosio - e su questo non si discute. Ci si è lamentati di non aver fatto abbastanza nella XIII legislatura e niente nella XIV: vogliamo ripeterci? Chi ci ha eletto, ci ha chiesto di risolverlo una volta per tutte». Sarcastico Travaglio: «Come può Fassino parlare di conflitto d' interessi, se va a lanciare il "manifesto" sul giornale della moglie di Berlusconi, diretto da un ex ministro di Berlusconi, il giorno dopo l' avvertimento di Dell' Utri e dopo aver zittito Bertinotti che, su Mediaset da ridimensionare, ha ripetuto soltanto quel che dice la Consulta?». D' Alema quirinabile, inciucio inevitabile, pensa l' opinionista dell' Unità. Un pateracchio proprio sulla giustizia: «Che custode e garante potrebbe essere un D' Alema che, presidente della Bicamerale, accettò indecenti compromessi al ribasso sull' indipendenza della magistratura?». C' è «un fumus oggettivamente ricattatorio», sostiene Travaglio, e così si spiega quella riga 52: «Anche D' Alema ha interesse a "garantire" sui magistrati che, in passato, qualche problema gliel' hanno dato. Un capo dello Stato non solo non dev' essere ricattabile, ma neppure sembrarlo. Guardate Unipol: non furono i Ds a dire che Berlusconi ha ancora i cd delle famose telefonate? La partita è aperta, a luglio c' è da rifare il Csm e con le nuove regole i membri politici, quelli che controllano le toghe, saranno di più. In questi anni, c' è stata anche una Bicamerale degli affari: speriamo non traslochi al Quirinale». L' intervista «La guerra è finita. O no? Fassino ci spiega i termini di una intesa strategica sul governo del sistema» è il titolo dell' intervista rilasciata al Foglio dal segretario dei Ds




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CORRIERE DELLA SERA
5 maggio 2006
Dell' Utri: siamo pronti a votare Massimo, Silvio lo sdogani
«È intelligente, lo abbiamo già sostenuto. Basta che si impegni a non cancellare del tutto la devolution»

l' Intervista

DAL NOSTRO INVIATO PALERMO - L' invocazione somiglia a quella di Nanni Moretti: «Dì qualcosa di sinistra». Ma il più fidato dei collaboratori del Cavaliere, Marcello Dell' Utri, rivolgendosi direttamente a Massimo D' Alema, corregge il regista: «Di' qualcosa di istituzionale». Aggiorna la battuta e tenta il più accreditato candidato al Colle. Con riferimento esplicito al referendum costituzionale. Un modo per salvaguardare (almeno in parte) quel che il referendum vorrebbe cancellare. Appunto: «Di' qualcosa di istituzionale. E ti votiamo». È come se Dell' Utri avesse fatto proprio il titolo di uno dei libri di D' Alema, «Oltre la paura». Berlusconi ha sfoderato per mesi l' arma della «paura» dei «comunisti» e ora il suo ambasciatore sembra andare «oltre»: «Nessuna paura. Lo abbiamo già votato due volte, D' Alema. Alla Bicamerale e per sostenerlo nella guerra del Kossovo. Basterebbe poco, una sua dichiarazione. È il momento. E diventeremmo "un Paese normale"». È il titolo di un altro libro di D' Alema. Uno di quelli che lei si portò in carcere a Ivrea nel ' 95, si disse. «E si disse male. Anche perché un libro di D' Alema in cella mi avrebbe angosciato di più. No, mi portai e lessi la Divina Commedia». L' Inferno? «Aprii a caso. Sì, proprio l' Inferno, e capitò Virgilio: "Ecco il loco ove convien che di fortezza t' armi"». E di quale «fortezza» bisognerebbe armarsi adesso? «Berlusconi dovrebbe ripetere il miracolo. Come all' epoca di Fini. Con una parola forte, si tratta adesso di "sdoganare" D' Alema». Può farlo il Cavaliere, dopo tanti strali e veleni? «Stiamo parlando del futuro. Ma anche nel passato, nel ' 96, poco prima della formazione della Bicamerale, fui io con una intervista al Corriere a dire che l' unica persona con cui dovevamo dialogare era D' Alema. Anche perché era stato lui a proporre di costruire la casa democratica italiana tutti insieme». C' era lei in regia? «Davo qualche consiglio. Subito dopo ci fu il famoso pranzo della crostata. Nacque la Bicamerale e lo votammo». Senza ripensamenti successivi? «Fu un interlocutore assolutamente credibile». E oggi? «Non abbiamo niente contro D' Alema. Basterebbe una uscita rassicurante». Che cosa dovrebbe dire? «Riprendere il discorso di insediamento della Bicamerale sul sistema delle garanzie e, mentre andiamo verso il referendum, spiegare che la riforma costituzionale fatta dal centrodestra è una legge da limare, ma da lasciare nel suo insieme». Dovrebbe sterilizzare il referendum? «Oggi quella legge interessa più a loro che a noi. Perché ridefinisce i poteri del primo ministro, effettua la riforma del Parlamento con un Senato snello, ridotto. E la devolution, cui tiene la Lega, si può sempre migliorare». Sta proponendo di bloccare il referendum? «Si può svolgere in tanti modi, come abbiamo imparato, ci si può non accanire...». D' Alema non rischierebbe di essere richiamato da Moretti? «Beh, allora andiamo al cinema e non ne parliamo più. Se D' Alema fosse Mitterrand coglierebbe il momento delicato per ribaltare la linea finora seguita dalla sinistra». Che cosa apprezza del «candidato»? «La sua intelligenza politica è superiore a quella di quanti lo circondano nel suo ambito. È un uomo civile, simpatico. Pur con questo suo aspetto professorale. Tutto sa lui, tutto spiega lui. Ma prevale la carica umana. E un gran senso dell' ironia, di cui talora abusa. Sempre restando piacevole». Lei parla come se non lo aveste massacrato in estate per Unipol, Consorte e via dicendo. «Unipol? Me ne ero dimenticato. Oggi è un' altra storia. Quante cose avrà detto D' Alema in passato? Dobbiamo pensare al futuro del Paese. Quasi con cinismo, direi. Niente ci insegna il grande Principe di Machiavelli?». Chi è Nato a Palermo nel 1941, Marcello Dell' Utri (foto) fa giurisprudenza a Milano e conosce Berlusconi. Nel ' 63 fa il suo segretario e nel ' 93 fonda con lui Forza Italia. Nel ' 96 diviene deputato e nel 2001 senatore. Bibliofilo, è membro della Commissione per la Biblioteca del Senato
Cavallaro Felice


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