Un rossastro tenue invase pian piano la stanza, e con esso il sole dava l ultimo saluto al firmamento, lasciando lentamente spazio all’imponente scurirsi del cielo.
Il rosso dei suoi raggi penetrò dalle vetrate, e si trovò subito in sintonia con il giallo che abbelliva la stanza su pareti e mobili, creando involontariamente una colorazione arancio tanto piacevole al guardarsi quanto malinconica.
Sdraiato compostamente su di un letto, Brock assisteva a questo gioco di colore naturali e artificiali, senza però muovere un singolo muscolo, e lasciandosi sommergere dall’onda di colore che presto gli coprì anche il volto.
Il giorno stava per finire, e Brock consumava la fine in silenzio, in assoluto riposo, nonostante gli occhi aperti, fissi nel nulla, persi nelle tonalità affascinanti che la sua camera aveva preso.
Leggermente e stando ben attento a non sforzarsi troppo si passò una mano sul viso, ritraendola subito dopo, infastidito dalla sua stessa barba, tenuta incolta.
Nonostante ciò continuò nella sua banale e fastidiosa azione, mentre il tempo scorreva sotto forma di luci e colore all’interno dell’abitazione della star.
Ormai quattro semplici mura stavano diventando un posto surreale, tra giochi di colori e l’atmosfera malinconica che si stava creando attorno a lui.
Quando, d’improvviso, quella quiete e quel silenzio venne spezzato, rotto bruscamente da un trillo, che rese vano il lavoro svolto fin’ora dai raggi del sole.
Un trillo, poi un altro e un altro ancora, il telefono informava Brock che qualcuno voleva parlare con lui, che a qualcuno interessava poco di quanto fosse rilassante quella situazione in quel momento, decidendola di rovinarla con una chiamata.
Brock fece suonare a vuoto il telefono, non degnandosi nemmeno di cercare con lo sguardo l’oggetto colpevole di aver disturbato quella calma paradisiaca.
Brock sapevà già che voce avrebbe riconosciuto una volta preso il telefono; molto probabilmente era ancora Cray, che non per la prima volta aveva cercato di rintracciarlo in quel giorno.
Non aveva una grande voglia di accontentarla, e rimase ancora qualche attimo lì, mentre il telefono continuava fastidiosamente e cercare di catturare la sua attenzione.
Si alzò e raggiunse l’insopportabile oggetto, che con i suoi trilli era divenuto molto più stressante della barba incolta che poco prima stuzzicava la sua mano una volta passata sul viso.
Gli occhi confermarono la sua tesi, e il nome “Cray” appariva dal display.
Rispose, senza però nemmeno avvicinarlo all’orecchio, ancora non era sicuro di voler parlare, mentre una voce ora faceva da terzo incomodo fra Brock e la sua quiete.
La ragazza inziò a scandire più volte e con decisione il nome “Brock”, ma egli se ne stava in silenzio ad ascoltarla, senza sprecare una parola per la sua insistenza.
“Brock?!”
La voce femminile pronunciò il suo nome un’ultima volta, e forse cosciente della situazione si gettò in frasi del tipo “Ma non ti sembra che stai esagerando?Non mi sembra il caso di fare tutto questo, fidati di me, non è finita qua..”
Finta invece era la conversazione, in quanto Brock la concluse, per poi ritrovare la posizione di prima, e cercare il benessere che prima era stato interrotto.
Non aveva voglia di parlare con Cray, non aveva voglia di sentire le solite frasi di rito, preferiva il silenzio al chiasso, preferiva la solitudine alla falsa compagnia di qualche attimo.
Il tempo scorreva intanto fuori da quella stanza, ormai avvolta come in una bolla di malinconia e tristezza, colpa degli effetti ottici del colore rossastro dei raggi del sole.
Nonostante lo stesso tramonto era un segno inequivocabile che il tempo stava scorrendo, tale sensazione non era in Brock, che si sentiva immobile, fermo, mentre al di fuori il mondo continuava a vivere, tranne che in quella stanza.
Era come se il mondo si fosse scordato di quella stanza, avanzando e lasciandosela dietro, in una bolla di monotonia e stasi, appunto.
Tutto era fermo dentro, tutto si muoveva fuori.
Brock, quindi, era fermo, nonostante il calare del sole continuava la sua pittoresca azione, Brock si sentiva come se non stava invecchiando in quei secondi, minuti, ore che stavano passando.
Poteva il mondo essersi scordato di lui?
No!
Secca fù la risposta che si diede alla domanda che bruciava al suo interno.
Non poteva esistere una cosa del genere, si sentiva come l’unico splendido frutto di un raccolto andato male, il frutto che rendeva positivo e meraviglioso quel raccolto, come se dipendesse da un unico solo frutto, lui.
Eppure la sensazione che ristagnava nell’aria in quel momento era la solita: stasi totale, abbandono da parte dell’esterno, abbandono da parte del mondo a Brock, abbandono della gente a Brock, Brock era solo, ma soprattutto fermo, soprattutto…inutile.
Era ancora cosi utile a questo mondo Brock? Era lui il frutto cosi bello e buono per cui valeva la pena salvare il raccolto?
Si!
Altrettanto secca fu la seconda risposta, ma in cuor suo sapeva di mentirsi, sapeva di voler fuggire dalla verità che sotto forma di colori e sensazioni gli era davanti.
Lui non era più niente per il mondo, il mondo non aveva bisogno di lui.
Un giorno prima lui era l’unica ragione del mondo, era l’unica cosa per cui la gente amava questo mondo.
Il trapasso fù brusco e rapido nell’animo di Brock, che ora spostava i suoi occhi verso la finestra, rimanendo accecato dal chiarore del tramonto.
Brock non era più niente, d’un tratto.
Cosa aveva lui per smentire ciò? Niente, e niente era lui, lui era la prova vivente del suo dramma.
La star sbuffò in un sospiro, per poi riportare alla luce nella sua mente immagini della sera passata, dove come un colpo al cuore tornava sempre l’immagine di Gabe, che frettolosamente lo copriva e poi…
Poi un acuto di dolore e tristezza riempì il suo cuore, più cercava di cacciare negli spazi più nascosti della sua mente quel ricordo, più esso tornava, come a voler ricordare a Brock di non esser più nulla, come se la sua mente ci godeva a pressare sulla sua ferita, come se lui stesso non aveva altri rimedi che tornare con i pensieri alla sera precedente, per provare scosse di dolore che almeno toglievano di mezzo quella stasi che ormai rendeva pesante anche l’aria tutta intorno.
Pian piano sfogliava l’album dei ricordi con l’immaginazione, tutti i suoi successi gli si passarono davanti in qualche attimo, tutte le sue vittorie, e nell’ ultima pagina di questo libro vi era la foto della fine, del fallimento, della caduta che aveva reso obsoleta la presenza delle altre.
Gli ci è voluta una vita per costruire un attimo, Brock aveva raggiunto la gloria anche nel wrestling,
Brock era un uomo che non conosceva i rimpianti.
Gli ci è voluto un attimo per distruggere la vita, Brock aveva perso gloria e non aveva più niente a cui accingere la mano in cerca di successo.
Brock è un uomo che si consuma nel rimorso.
Battuto, da un uomo presuntuoso ed egomaniaco, un uomo che faceva di lui stesso il centro di tutto.
Battuto, con l’inganno, tradito da chi invece in quel match doveva essere fonte di aiuto, battutto scorrettamente.
La sua luce oscurata, la sua luce spenta in un attimo, come in un eclissi.
Ma non bastava il tragico epilogo della notte precedente, la sensazione di essere ormai un frutto marcio come tanti nel raccolto a torturare l’anima di Brock, la cosa che più dannava il giovane in quegli attimi era il “come” la sua luce venne spenta.
Gabe..un uomo?
No, secca fù, ancora una volta la risposta.
Gabe era “The Best in the Business”, quindi il migliore, la stella, colui che crede di essere l’attrazione principale di ogni show….Gabe era l’impersonificazione delle certezze su cui Brock basava la sua, di vita.
Sylvia…era una traditrice?
No.
Sylvia fù la chiave di Gabe per vincere il match, seppe con un abile inganno neutralizzare le difese di Brock, lasciandolo alla deriva, offuscando la sua luce, rendendola pian piano sempre meno splendente…Sylvia era la rappresentazione dello stile di Brock.
Brock aveva perso contro una sua copia, per colpa di una sua abitudine.
Brock aveva perso contro Brock Johnson.
Troppa presunzione per ammettere, anche nella solitudine di una stanza vuota che era stata la bravura degli avversari a batterlo, a batterlo era stato lui stesso, e la dimostrazione che gli avversari per metterlo in ginocchio emularono le sue certezze e il suo carattere lo faceva sentire convinto di ciò.
Un sospiro gli caratterizzò il viso, pensare che era stato lui stesso a sconfiggersi lo faceva sentire meglio, ma restava il fatto che il mondo andava avanti, e la sua inutilità rimaneva un ostacolo per scappare da quella stanza, ferma e dimenticata dal mondo.
Presto il sorriso sul suo volto rimase un ricordo, la triste verità si affrettò a strapparglielo via, come se per una sconfitta Brock non si meritava di ridere.
Non poteva ridere di una sconfitta, la sua sofferenza di quei attimi glie ne dava la certezza, Brock non poteva riposarsi dalla gloria, non poteva, anche per poco, stare in ginocchio.
Perché cosi lui era, in ginocchio a Sylvia, a Gabe, in ginocchio a se stesso insomma, e ciò solo per una sconfitta.
Nella sua anima ora cominciava a farsi sempre più spazio la sofferenza e il disagio che non poteva permettersi di fermarsi, non poteva permettersi di non gioire, il suo destino tanto amato era segnato, non compierlo diventava una lenta tortura, che ora Brock subiva in silenzio.
Brock non può fare a meno di godere delle disgrazie altrui, quando esse servono ad accrescere la sua luce.
La fama è la sua droga, e da dipendente di essa quale è , ora si straziava il cuore a non averla.
Gabe, con il suo carattere aveva fatto uso della sua droga.
Sylvia, con le sue abitudini aveva fatto uso della sua droga.
Gabe e Sylvia usando Brock avevano raggiunto la gloria, il potere, il successo.
Pian piano il suo malessere si placava, man mano che andava avanti nelle sue riflessioni, pian piano riconosceva che i nemici lo hanno sconfitto con le sue armi, quindi le sue armi sono quelle giuste per arrivare alla vittoria.
Come poteva credere di essere inutile e indifferente al mondo , se era stato lui stesso ad aver causato la sua sconfitta?
Come poteva credere di non aver rispettato il suo destino, se la gloria era ancora nelle sue mani, nei suoi insegnamenti ma sotto forma di Gabe e Sylvia.
Brock si rese conto che non aveva perso un bel niente, lui aveva ancora il titolo alla cintura, Brock era ancora il frutto migliore del raccolto.
Non era necessario quindi, abbattersi, era necessario solo rialzarsi, lui era ancora la stella più luminosa in teoria, bastava solo trasformare la sua ambizione in pratica, e questo per Brock non è mai stato un problema.
“Driiiiiin”
Improvvisamente, proprio quando Brock si era quasi dimenticato dell’esistenza accanto a se del telefono, esso tornò protagonista, ma questa volta Brock si mosse all’istante, e notò che era ancora una volta Cray a cercarlo.
Rispose, ma come prima non appoggiò l’oggetto all’orecchio, ma ciò nonostante la rossa non demorse e iniziò a parlare, senza curarsi se dall’altro lato Brock stava prestando attenzione e cura alle sue parole oppure no.
“Brock?
Senti sò che mi stai ascoltando quindi senti qui.
Capisco che non ti va giù aver perso contro quel buffone di Gabe, per di più per colpa di Sylvia che credevi tua alleata.
Ma invece di staccare con il mondo intero e non farti trovare, prova a ragionare, e ci sono io qui per questo.
Chi è stato il colpevole della sconfitta alla fine?
Sylvia?
No, Dibbio, che è riuscito a mettere contro la tua owner.
E cosa ha Dibbio ora?
La cintura di campione del mondo EWF!!
Considerando che la WBFF la distruggeremo a breve, quel titolo vale molto di più di quanto valeva quello che avevi prima!!Quindi ascoltami, “Miss Congeniality” ha la soluzione: Mercoledì ci sarà la War, e noi due daremo il primo assalto al titolo più prestigioso, perchè accontentarsi di un titolo che presto sparirà? Quindi non mancare, se vuoi darmi retta, altrimenti scordati pure di me.
Ciao, Brock”
La telefonata si concluse, questa volta ad opera della rossa.
Brock rimase immobile e le parole di Cray gli erano penetrate nella mente come una brezza fresca, ora tutto era più chiaro.
Il mondo non stava correndo, il mondo lo stava aspettando.
Stava aspettando che Brock si rialzasse, in ginocchio com’era.
Brock non aveva perso niente, Brock stava per vincere.
La perdita dell’Undisputed WBFF Title era solo un altro passo verso il vero successo, il titolo alla vita di Dibbio era davvero quello che poteva dimostrare la sua superiorità su tutti.
La sua strada, come sempre era segnata, stava rischiando di rovinarsela non credendo in lui, credendo che il suo destino aveva di certo programmato di renderlo inutile.
Brock aveva ancora il titolo WBFF, sarebbe una bestemmia dire che Gabe e Sylvia glie lo hanno tolto, piuttosto il titolo è in possesso del carattere di Brock.
Brock ora avrebbe avuto anche l’EWF World Title, completando il suo destino.
Tutto era più chiaro, anche la stanza, che ormai era stata abbandonata dal rossastro del tramonto e brillava delle luci delle stelle, che ormai stavano svolgendo in maniera brillante il loro compito, dopo che il sole aveva lasciato la scena nel cielo.
Brock era in ginocchio, ora doveva solo rialzarsi.
E cosa doveva fare per farlo?
Nulla, solo vivere e assaporare la gloria che la sorte aveva deciso per lui, niente di più.
Nulla era cambiato, nulla stava per cambiare, lui era ancora la stella, lui era ancora il frutto meraviglioso in un raccolto scadente.
Dibbio avrebbe pagato caro anche l’alleanza con Sylvia, Dibbio avrebbe pagato caro l’aiuto a favore di Gabe.
Ma a fagliela pagare non sarebbe stato Brock, perchè Dibbio non ha portato Gabe alla vittoria, ha portato Brock alla vittoria, togliendogli quel titolo e dimostrando quanto i suoi insegnamenti servivano per arrivare al potere.
Dibbio aveva aiutato Brock, e ora Brock avrebbe ricambiato il favore, portandogli via la cintura, cosi da farlo tornare ad essere un semplice elemento della massa.
Brock stava soffrendo, e gioia gli provoca ciò, perché il dolore nella sua vita è un aperitivo a nuova gloria.
E questo aperitivo mai fù servito più gustoso.
Lasciò la stanza, mentre ora la colorazione era lucente, il chiarore delle stelle della notte l’avevano ridisegnata.
Che cosa diventa un presuntuoso, privo della sua presunzione? Provatevi a levar le ali ad una farfalla: non resta che un verme.
Nicolas de Chamfort
[Modificato da vd2 15/09/2006 19.32]