PARERI PRO VERITATE (CON UN VECCHIO ARTICOLO DI TRAVAGLIO)

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INES TABUSSO
00venerdì 20 gennaio 2006 23:27
IL MESSAGGERO
20 Gennaio 2006
IL PROCESSO NON DEVE DIVENTARE PERSECUZIONE
di GIORGIO SPANGHER* [1]

IN QUESTI ultimi giorni anche in relazione ad una eventuale restituzione della legge alle Camere da parte del Capo dello Stato il dibattito sulla giustizia penale è stato catalizzato dalle questioni di costituzionalità della legge che ha escluso la legittimazione del pubblico ministero ad impugnare le sentenze con cui l’imputato è stato prosciolto.
Escluso che questa limitazione possa incidere sul principio di obbligatorietà dell’azione penale, come riconosciuto più volte dalla Corte costituzionale, e sottolineato che la riforma non incide sulla parità delle parti, considerata la differenza di posizioni tra accusa e difesa, va ricordato che all’accusa resta confermata la possibilità di ricorrere per Cassazione ottenendo, ove la decisione fosse errata o viziata, l’annullamento del proscioglimento dell’imputato. La pretesa dell’accusa, cioè, resta intatta.
All’opposto giova ricordare non solo che la Costituzione non impone il doppio grado di giurisdizione ma soprattutto che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo riconosce il diritto al giudizio di secondo grado solo all’imputato condannato e non al pubblico ministero. La ragione di questa scelta è duplice: l’imputato condannato è pregiudicato nel diritto di libertà; l’imputato prosciolto, a seguito di un giudizio davanti al suo giudice naturale, vede affermata, anzi rinforzata, la garanzia della sua presunzione di non colpevolezza. Si tratta di un principio di civiltà anche perché il processo non può diventare uno strumento di “persecuzione” nei confronti di una persona già prosciolta.
All’opposto, come è emerso in alcune vicende processuali molto note, l’appello del pubblico ministero nei confronti dei prosciolti crea non poche difficoltà alla difesa.
La riforma di cui si discute non è limitata a questo aspetto: sono stati ampliati sia per l’accusa, sia per la difesa per Cassazione. Sotto questo profilo, si è ipotizzato che il maggior carico di lavoro del Supremo Collegio possa pregiudicare il principio della durata ragionevole del processo: considerata l’eliminazione del giudizio d’appello per i prosciolti, il problema riguarderebbe i condannati.
Giova forse ricordare che la garanzia della “durata ragionevole”, anche a livello europeo, intende evitare soprattutto i “tempi morti” del processo e le pause ingiustificate, cioè, le carenze organizzative e strutturali che impediscono il regolare svolgimento dei giudizi, non la loro eventuale lunghezza legata all’espletamento delle attività processuali.
Diversamente ragionando, infatti, ogni nuova previsione di garanzia a tutela della difesa e degli imputati, nella misura in cui richiede degli adempimenti a carico dei magistrati e degli ausiliari e dei tempi in più per il loro espletamento, sarebbe in contrasto con la Costituzione.
Invero, la durata dei processi va valutata in termini complessivi e non spezzettata per fasi o per gradi.
Vista nel suo complesso, questa riforma che riguarda tutti i processi e tutti i cittadini afferma alcuni principi di civiltà: riconoscimento della presunzione di non colpevolezza e tutela del diritto di libertà.
Non si può escludere che i flussi procedimentali e le prassi possano richiedere degli aggiustamenti, sempre necessari in materia penale.
Spiacerebbe che la fine della legislatura impedisse di veder affermare queste legittime aspettative la tutela dei prosciolti; le garanzie per i condannati anche se a scapito di qualche discutibile schematismo sul ruolo dell’accusa e sulla funzione della Cassazione.

*Giurista, Ordinario di Procedura Penale, all'Universita' "La Sapienza" di Roma


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[1] vedi:
LA REPUBBLICA
24 luglio 2003
Il nemico a palazzo dei Marescialli consulente dei coimputati di Previti
di MARCO TRAVAGLIO

La relazione degli ispettori sui pm Colombo e Boccassini era lì, sul tavolo del ministro Roberto Castelli, dal 19 giugno. Segreta, per davvero: nessuna indiscrezione e nessuna iniziativa disciplinare del Guardasigilli. Il top secret è durato meno di un mese. Poi è sceso in campo Giorgio Spangher, 59 anni, avvocato triestino e docente di Procedura penale alla Sapienza di Roma, eletto un anno fa membro laico del Csm in quota Forza Italia. Come presidente della I commissione, ha attivato una pratica per trasferire da Milano i due pm milanesi: "Incompatibilità ambientale". E ha chiesto copia del rapporto ispettivo al ministero. Da quel momento è scattata la duplice offensiva. Mediatica, su giornali e le tv. E giudiziaria, con la denuncia del sedicente "Comitato per la Giustizia" alla Procura di Brescia. Purtroppo il professore, oltreché membro del Csm, è anche un consulente retribuito dei coimputati di Previti nel processo Imi-Sir/Mondadori, avendo firmato per le loro difese ben tre pareri "pro veritate" contro i magistrati milanesi. Conflitto d´interessi? "Ho dato quei pareri - si difende l´interessato - senza guardare le carte". Vediamo.

I primi due, stilati per conto degli eredi Rovelli e di Giovanni Acampora (poi condannati per corruzione giudiziaria dal Tribunale), portano le date del 16 luglio e del 4 ottobre 2001. All´epoca le difese speravano di far annullare il rinvio a giudizio di tutti gli imputati in base alla sentenza della Corte Costituzionale, che aveva annullato alcune tappe dell´udienza preliminare. Spangher diede loro manforte, scrivendo che su tutti gli atti del gup pendeva un "vizio assoluto e oggettivo". Dunque si imponeva l´annullamento del rinvio a giudizio e "la regressione processuale per tutti gli imputati" alla casella di partenza: cioè a una nuova udienza preliminare. Il Tribunale fu di diverso parere e il 23 novembre 2001 "salvò" quegli atti, modificandone la motivazione. Sfumata la speranza di azzerare il processo, partirono le manovre per farlo trasferire da Milano a Brescia, con l´apposita legge Cirami.

Anche sul legittimo sospetto Spangher, consulente multiuso, si rivelò prezioso, con un nuovo parere pro veritate del 23 maggio 2002, sempre a favore del figlio e della vedova di Nino Rovelli: "Ho esaminato le richieste dei signori Rovelli nonché di Silvio Berlusconi, Verde, Pacifico, Previti...", scriveva Spangher, concludendo che sull´intero Tribunale di Milano gravava un legittimo sospetto "non eliminabile con normali misure". Il professore si avventurava in arditi paralleli fra la Milano del 2002 e l´Italia dei "procedimenti post-bellici ai collaborazionisti" col fascismo. Descriveva un clima quasi pre-insurrezionale, di "lacerazione e frattura del tessuto sociale, istituzionale, politico ed economico", in cui "agli imputati è impossibile esplicare pienamente i diritti processuali". Colpa del triplice "resistere" di Borrelli, dei girotondi e addirittura del "contrasto istituzionale del ministro con il Csm". A Brescia, dunque: "Nell´interesse di tutti".

La Cassazione smentì ancora una volta le sue tesi. Ma Spangher intanto aveva già traslocato a Palazzo dei Marescialli. Qui, martedì 15 luglio, la VI commissione discuteva del segreto opposto da Colombo e Boccassini agli ispettori sul fascicolo 9520/95. E tirava aria di sconfitta per gli imputati. Il consigliere-consulente ha fatto arrivare urgentemente dal ministero alla I commissione la relazione ispettiva, e l´ha subito trasmessa alla VI, di cui pure fa parte. Intanto una gentile manina ne recapitava una copia alla redazione del Giornale di Berlusconi. Che l´indomani, mercoledì 16, la pubblicava in esclusiva. Quel pomeriggio, la VI Commissione dava ragione al pool sul fascicolo segreto. Ma intanto si parlava d´altro. Il ministro Castelli però non ha gradito, e ha preso le distanze: "Nessuna censura ai pm, solo rilievi tecnici" . E ha osservato che, finché è rimasto in mano sua, il documento era rimasto top secret. Poi è salito al Quirinale da Ciampi, che del Csm è il presidente. Intanto il "Comitato Previti", relazione alla mano, denunciava Colombo e Boccassini a Brescia. Automatica l´iscrizione sul registro degli indagati. Missione compiuta.

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