La passion de Jeanne d'Arc di Carl Theodor Dreyer

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foscovento
00venerdì 21 ottobre 2005 15:32
Questo è uno dei miei film preferiti..e oggi mi è arrivato in Dvd!!!

La passion de Jeanne d'Arc



(Francia 1927, 1928, La Passione di Giovanna d’Arco, bianco e nero, 92m a 22 fps); regia: Carl Theodor Dreyer; produzione: Société Générale des Films; soggetto: protocollo del processo a Jeanne d’Arc; sceneggiatura: Carl Theodor Dreyer; fotografia: Rudolf Maté; montaggio: Carl Theodor Dreyer; scenografia: Hermann Warm, Jean Victor Hugo; costumi: Valentine Hugo.

Interpreti e personaggi: Renée Falconetti (Jeanne d’Arc), Eugène Silvain (Pierre Cauchon, vescovo di Beauvais), Maurice Schutz (Nicolas Loyseleur), André Berley (Jean d’Estivet), Michel Simon (Jean Lemaître), Louis Ravet (Jean Beaupère),Antonin Artaud (Jean Massieu), Jean d’Yd (Guillaume Evrard), Paul Delauzac, Armand Lurville, Jacques Arna, Alexandre Mihalesco, Raymond Narlay, Henri Maillard, Gilbert Dalleu, Jean Aymé, Léon Larive, Paul Jorge (giudici), Sommaire, Badin (scrivani), Granowski, Rouf (boia).

Il film ha unità di tempo, di luogo e d’azione. Una mano sfoglia il protocollo del processo a Jeanne d’Arc, si ferma su una pagina, e la storia comincia. È il 30 maggio 1431, siamo nella rocca di Rouen; si narrano gli ultimi interrogatori, la tortura, la condanna e la morte sul rogo di Jeanne. In una cappella del castello Jeanne si presenta di fronte a trentasei giudici, e l’interrogatorio inizia. La strategia del vescovo Cauchon e degli altri prelati sta nel farle ammettere di essere in stato di grazia per diretta rivelazione divina, e farle così pronunciare una bestemmia punibile con la morte. Jeanne elude tali tentativi e viene ricondotta in cella. Va a vuoto anche un secondo tranello, orchestrato dal prelato Loyseleur d’intesa col governatore inglese Warwick. Jeanne viene portata nella stanza della tortura. Qui, sotto la minaccia dei terribili strumenti, viene invitata a firmare un’abiura, che potrà risparmiarle la vita. Jeanne rifiuta e sviene. Febbricitante nella sua cella, chiede i sacramenti. Cauchon acconsente a patto che firmi l’abiura, ma Jeanne rifiuta di nuovo. Un terzo tentativo di pubblica abiura viene fatto conducendola nel cimitero. Questa volta la paura della morte sul rogo induce Jeanne a firmare; la pena capitale è commutata in carcere a vita. Ricondotta in cella, Jeanne comprende di aver sbagliato, fa chiamare i giudici e revoca la propria confessione, affermando di essere l’inviata del Signore. La condanna al rogo viene eseguita; il popolo si solleva.

L’intento di Carl Theodor Dreyer è di rappresentare non l’eroina o la santa, ma una ragazza di diciannove anni, analfabeta, che combatte da sola con la sua fede un’impari battaglia contro scaltri e navigati prelati. E l’unico modo adeguato di raccontare tale confronto è per il regista una costruzione ossessiva di primi e primissimi piani, usati come «fattore d’urto» (C.Th. Dreyer). Il film è passato alla storia del cinema per questa scelta stilistica, quasi uno studio del volto umano, in particolare grazie alla superba recitazione di Renée Falconetti e alla fotografia di Rudolf Maté. Ogni inquadratura si offre come un ritratto su uno sfondo bianchissimo (tutti gli interni furono dipinti di giallo). Ma il film è anche un inno alla libertà della macchina da presa. Le 1.510 inquadrature sono orizzontali, dal basso, dall’alto, supine, a piombo, rovesciate, oblique, soggettive; Dreyer rompe con la regola dei 180° offrendoci un mosaico in movimento in cui il volto è scomposto in modo quasi cubista. Il risultato è una cascata di immagini dal ritmo vertiginoso, in cui tuttavia mai si perde la logica unitaria della scena. Nell’assenza di un vero intreccio e avendo a che fare con una materia nota ai più, il racconto si svolge negli sguardi: il film è «puro sguardo» (E. Kau), pura visio­ne. Negli sguardi di Jeanne vediamo tutti gli stadi del suo percorso psicologico: lo sbigottimento, l’umiliazione, la speranza, l’ispirazione, la disperazione, la ribellione, la sofferenza, l’orgoglio, il terrore, l’abbandono. Ed è ancora negli sguardi che vediamo l’atto della comprensione di sé e dell’altro: la prima consapevolezza di sé e del proprio dolore alla vista della croce come ombra della grata sul pavimento; la consapevolezza del proprio desiderio di vita alla vista dei vermi in un cranio; la definitiva consapevolezza di sé alla vista della croce di paglia che viene buttata insieme ai suoi capelli; la comprensione di sé vista dall’altro nello sguardo di Massieu; la comprensione del destino storico di lei negli sguardi del popolo; fino alla comprensione che si fa inconscio collettivo nello sguardo di un lattante. Singolare è anche l’equilibrio e il ritmo tra immagini e didascalie, tanto da indurre Dreyer ad affermare che La Passion de Jeanne d’Arc è già un film parlato.

L’opera di Dreyer è andata incontro a un ormai leggendario destino materiale. Ultimato il montaggio, due copie furono inviate a Copenaghen, dove il film, con il titolo Jeanne d’Arc’s Lidelse og Død, ebbe prima mondiale il 21 aprile 1928; ma di esse, dopo soli dodici giorni di programmazione, si persero le tracce. Alla prima ufficiale a Parigi, il 25 ottobre, il film giunse invece tagliato dopo due successivi interventi di censura. A dicembre, un incendio distrusse il negativo originale conservato alla UFA di Berlino. Dreyer montò quindi una nuova versione sulla base del materiale non utilizzato, ma anche questa copia parve in seguito persa. Nel 1952 J.M. Lo Duca trovò presso Gaumont probabilmente proprio questa copia, che usò per confezionare una versione con musiche da lui scelte e didascalie sullo sfondo di vetrate e colonne di dubbio gusto. Fu questa l’edizione da allora più vista, benché Dreyer la definisse «orribile». Fino a che nel 1981, in un ospedale psichiatrico presso Oslo, fu trovata in un pacco una delle due copie copenaghesi, con tanto di nullaosta della censura danese. I 2.210 metri della pellicola montata da Dreyer potevano essere mostrati per la prima volta dal 1928. Lo studioso americano Tony Pipolo afferma tuttavia che la copia di Oslo è sostanzialmente uguale a un’altra copia che il MoMA di New York ottenne nel 1939 dalla Cinémathèque française, forse sulla base della copia di lavoro di Dreyer. Uno studio critico comparativo di tutte le versioni di­sponibili della Passion de Jeanne d’Arc manca ancora. Lo spettro delle interpretazioni critiche è amplissimo, dalla celebrazione come uno dei massimi capolavori della storia del cinema a giudizi severi, quale quello di cercare «la forma per la forma» (R. Arnheim). Dreyer stesso sentiva «di essere andato troppo oltre» nell’impiego ‘monomaniacale’ dei primi piani.



un pò di foto del film:















da notare che in questo film partecipa uno dei più grandi teorici e rivoluzionari che il teatro abbia mai avuto:


Antonin Artaud





Falconetti Renée



Falconetti Renée nasce a Sermano in Corsica nel 1893 .
Dopo gli studi di recitazione è scritturata dall'Odéon; debutta nel 1916 in ruoli minori in Charles II e Buckingham di Dumas. Nello stesso anno ottiene la sua prima parte di rilievo: è Vivette nell' Arlésienne . Lasciato l'Odéon nel 1919, lavora in diversi teatri parigini finché nel 1924 viene scritturata dalla Comédie-Française, dove è Rosine nel Barbier de Séville di Beaumarchais e interpreta Bettine di De Musset. Il suo carattere difficile le costa il contratto con il prestigioso teatro; dal 1925 lavora per diverse realtà teatrali fino ai grandi successi del 1928 al teatro Sarah Bernhardt: La dame aux camélias e Lorenzaccio . Nello stesso anno C.T. Dreyer la vuole protagonista de La passion de Jeanne d'Arc , capolavoro del cinema muto, quasi totalmente composto da primi e primissimi piani, in cui F. può dare prova dell'ampiezza della sua gamma espressiva, esponendo, completamente rasata e priva di trucco, il suo volto vibrante, teso e quasi trasfigurato. Dirige per due stagioni (1929-30) all'Avenue, dove trionfa con Phèdre di Racine. Ritiratasi in Svizzera, F. ritorna a Parigi nel 1934 per una Jeanne d'Arc all'Odéon e per la parte di Andromaca in La guerra di Troia non si farà di Giraudoux (Athénée, 1935). Allo scoppio della guerra lascia la Svizzera, dove si era nuovamente stabilita, per Buenos Aires dove muorirà nel 1946.





astrodanzante
00venerdì 21 ottobre 2005 15:43
Quello che t'è arrivato ha i titoli in italiano?
foscovento
00venerdì 21 ottobre 2005 15:48
si..è in italiano...ed è edito dalle Paoline..ha anche un mediocre documentario nei contenuti speciali..

Come sono contento!!!
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