La metamorfosi del “Corriere della sera” da giornale moderato a carrarmato
Verrebbe quasi voglia di lanciare un allarme, se la pratica non fosse abusata o usata per lo più a sproposito. Il tema, anzi il “caso”, è quello del “Corriere della Sera”, il più importante e il più autorevole dei quotidiani italiani: che cosa gli sta succedendo? Un tempo, storicamente, il “Corriere” era il più istituzionale e moderato dei giornali nazionali - lo leggevamo come il vero, grande “organo della borghesia”, sicuri comunque di non imbattersi quasi mai in furori ideologici, storture, sgrammaticature. Più tardi, esso fu capace anche di innovazioni rilevanti (a cominciare dai “profetici” articoli di Pier Paolo Pasolini), fino a diventare, nella sapiente direzione di Paolo Mieli, uno strumento quasi insostituibile per orientarsi nella politica italiana - e non solo. Tale rimane, anzi, tale rimarrebbe a tutt’oggi, se non fosse in corso, quotidianamente palpabile, un pericoloso processo di stravolgimento. Non si tratta soltanto dell’orientamento politico (dal quale eravamo, e siamo, naturalmente distanti), ma del carattere profondo del “Corriere” - forse del suo stile, del suo modo d’essere. Da paludato e perfino, talora, un po’ “anodino” e freddo, è diventato militante - caldo, quasi bollente. Da moderato si va facendo fazioso. E da osservatorio qualificato dei grandi fatti del mondo è precipitato quasi per intero nelle piccinerie della provincia italiana, specie in quelle dei palazzi e palazzotti. In breve: un grande giornale liberale e d’opinione si sta trasformando in un bollettino di partito. Anzi, di Superpartito. Quale? Il Superpartito che non c’è e che come tale forse non ci sarà mai. Il “Terzo Polo” tra gli sgangherati poli dati. Il Bipartisan allo stato puro. La nuova stagione di una nuova unità nazionale, capace di realizzare la famosa “modernizzazione” neoliberista che nè il centrodestra berlusconiano nè tanto meno l’Unione oggi al governo sono in grado di portare a compimento.
Chiariamo subito una questione. In sè e per sè, questo progetto, questa propensione, questa - chiamiamola pure col suo nome - linea politica nè ci sconvolgono nè ci scandalizzano. Esse hanno precisi riferimenti nel potere economico (la Confindustria di Montezemolo e\o la Bankitalia di Draghi), nella società italiana (i famosi “ceti medi produttivi” in cerca permanente di riscossa), nel ceto accademico degli economisti (Giavazzi, Ichino, Nicola Rossi, tutti pronti ad accettare, nel senso dell’accetta, i corpi sociali così detti “improduttivi”), nella politica (il lato destro dell’Unione e quello “moderato” dell’ex-Cdl, non esclusi i più alti livelli istituzionali). Vuol dire che, al minimo, non si tratta certo di idee improvvisate, o campate in aria. E che siamo sul terreno, pienamente legittimo, della battaglia politica (ed editoriale, visto che il “Corriere” deve comunque muoversi tra varii fuochi, e vincere non solo l’eterna guerra con la “Repubblica” ma l’agguerrita concorrenza, a destra, di fogliacci come “Libero” e “Giornale”). Ma perchè mai un tale programma assume le sembianze di un’ossessione quotidiana, che informa di sè l’intero “Corriere”, la gerarchia delle notizie, commenti ed editoriali, interviste e inchieste? Ecco dove sta il pericolo della regressione faziosa: quando tutto, ma proprio tutto, fin quasi alle notizie a una colonna, diventa funzionale ad una tesi precostituita, a dimostrarla e anzi ad irrobustirla. Quando, insomma, l’ideologia inghiotte e divora la voglia di informare. Volete un esempio, tratto, giust’appunto, dal “Corriere” di ieri, sabato 11 novembre 2006? Non è un quotidiano d’opinione, ma un bollettino di guerra su e contro Rifondazione comunista. Si comincia con l’editoriale sulla “rimozione di Nassirya”, nel quale Panebianco accusa il presidente della Camera di esser stato contro la missione militare in Iraq, di averla considerata una missione di guerra e non di pace, e soprattutto di non aver cambiato idea. Si prosegue con il titolo di apertura, dedicato allo “strappo” del Prc sul Tfr. E con il taglio centrale, nel quale si dà notizia di un libro scritto da Giorgio Napolitano: “Riforme con le intese più larghe”, ecco la casuale titolazione. Altri articoli di prima pagina dal sapore innocente: un ritrattone, nientemeno, che del senatore argentino Pallaro, che “sogna il Grande Centro”, e il manifesto in sette punti di Francesco Rutelli, che propone la privatizzazione di tutto, aria (per ora) esclusa. Non crediate che la costruzione finisca lì, in prima pagina: una news analysis, alle pp.2-3, ci narra della paura dei Ds sull’”asse che sta crescendo tra Prodi e sinistra radicale”; una pagina intera, la 6, è tutta a favore del Mose; la pagina 7 è appaltata al presidente della Margherita; alla 11, troviamo la cronaca delle dichiarazioni di Bertinotti (ancora definite “sorprendenti”), incorniciate, in alto, da una frase di Franco Giordano (la proposta di ritirare le nostre truppe dall’Afghanistan e dirottarle sul Medio Oriente), e chiosate da un’intervista di Monsignor Fisichella nonchè dalla nota di Massimo Franco (“La politica estera oppone Rifondazione al Quirinale”). Fermiamoci qui. Il ruolo politico del Prc, certo, da questa articolata cronaca della giornata politica, esce esaltato fino allo spasimo, fino al punto da sovrastare ogni altra soggettività - e non è certo la prima volta, da quando Prodi si è insediato a palazzo Chigi. Ora, di primo acchito (e da un’ottica puramente mediatico-propagandistica) operazioni come questa possono apparire, perfino, lusinghiere. Ma non ce ne sfugge, in realtà, il “venenum” profondo e la pericolosità. Per destabilizzare una maggioranza (che ha notoriamente già molti problemi per conto suo), per minarne la credibilità, per seminare nel senso comune (non solo borghese) l’idea che prima ci si libera di questo governo e meglio è, che cosa c’è di meglio che non rappresentarlo come uno strumento debole, diviso, confuso ma soprattutto“nelle mani” dei comunisti e della sinistra radicale? Qui c’è la forzatura ideologica. Qui scatta la “disinformatsja” sistematica. Qui il “Corriere” autoviolenta la sua lunga tradizione di equilibrio. E’ vero che il Prc pesa nelle scelte dell’Unione e cerca, come può, di condizionarle - potrebbe essere diversamente, trattandosi della seconda forza della coalizione, sia per voti e parlamentari conquistati, sia per lucidità politico-programmatica? Ma non è certo vero che siamo ad un passo dal governo dei soviet, come risulta dalla Legge Finanziaria, e da molte altre e non inessenziali scelte di politica sociale, di politica economica, di politica estera.
Il direttore del “Corriere” tutto questo lo sa molto bene - ma oggi appare più amico della sua linea politica che non della verità. In effetti,. all’obiettivo dell’abbattimento di Prodi, il “Corriere” ha dedicato i suoi ultimi cinquanta editoriali - l’uno dietro l’altro, implacabili come la neve in alta montagna d’inverno, inesorabili come la sveglia mattutina. E non. risparmia mezzi, come il sostegno attivo al referendum Guzzetta - quello che, secondo l’arguta definizione di Cesare Salvi, trasformerebbe il “porcellum” in un “superporcellum”, attraverso la brutale semplificazione biparittica che ne sarebbe la logica conseguenza. Un’Italia con due soli partiti di centro, uno guidato da Casini e l’altro da Rutelli, e tutti e due eterodiretti dal professor Monti. Una “coalition of willings” in permanenza a palazzo Chigi. Un Fini, magari, al Quirinale, e un paio di volenterosi “democrats” alle altre istituzioni. Chissà se in questo scenario da incubo il “Corriere” tornerebbe ad essere quel giornale rassicurante che tanto ci era caro..
Rina Gagliardi (lunedì 13 novembre)