LA SOLITA SOLFA: LINO JANNUZZI E PINO PISICCHIO

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INES TABUSSO
00lunedì 26 marzo 2007 22:20


Il Giornale
26 marzo 2007
Da Mani pulite a mani bucate
di Lino Jannuzzi

Molti anni fa, il giorno in cui Antonio Di Pietro si dimise dalla magistratura, Anna Finocchiaro, allora deputato del Pds, concesse al Corriere della Sera un’intervista che per poco non le costò la fine prematura di una brillante carriera politica. Sarebbe bastata una frase riportata tra virgolette nel titolo: «Basta con queste vergini violate, sembra che in Italia ci sia solo il pool». Incredibile a leggere, Anna Finocchiaro ce l'aveva con il pool dei magistrati di Milano e lo raccontava sul più importante quotidiano italiano: «Non siamo più allo scontro tra poteri, ma alla radicalizzazione di un conflitto personalizzato: Berlusconi e i suoi da una parte, Borrelli e i suoi dall'altra... I giudici di Milano farebbero bene ad evitare di rincorrere sempre l'ultimo fatto e l'ultima dichiarazione, sapendo che saranno poi al centro di attacchi... Quando il Paese si divide tra chi sta con Borrelli e chi sta contro Borrelli, significa che nel Paese è passata l'idea che la Procura di Milano sia l'unico soggetto capace di esercitare il controllo giurisdizionale. Questo è un pericolo».
Anna Finocchiaro non fu espulsa dal partito, ma passò una brutta giornata: «La mattina dopo - racconterà dopo molti anni in un libro intervista - arrivai alla Camera e venni affrontata da una stimabilissima collega del mio gruppo la quale mostrò una vera preoccupazione per la mia intervista. L'opinione della collega non era isolata, e ne ebbi conferma durante il giorno. Quella preoccupazione ed il mutuo rimprovero che conteneva erano certo il frutto di un allarme diffuso circa la necessità di consentire agli inquirenti milanesi di continuare a fare serenamente il loro lavoro, ma era anche il segno di una delega affidata interamente ai magistrati perché riscattassero il Paese dalla trama di illegalità che aveva percorso la politica e le istituzioni. Delega impropria». Tuttavia non cesserà di denunciare «l'afasia» della sua parte politica nei confronti del «protagonismo politico» della magistratura. Ma nemmeno lei, probabilmente, poteva prevedere come saremmo finiti e che, con il passare degli anni e di Mani pulite, l'idea che «l'unico soggetto capace di esercitare il controllo giurisdizionale» sarebbe passata dal Palazzo di Giustizia di Milano a quello di Potenza, e che al posto di Antonio Di Pietro, che almeno girava in automobile, e sia pure un'automobile comprata con il generoso prestito di un «amico», il protagonista politico della magistratura sarebbe diventato il pm con la motocicletta. Anche se su scala ridotta, invece che sui leader dei partiti della prima Repubblica indaga sulle veline e sulle vallette della televisione della seconda Repubblica e sui fotografi che le ritraggono e le ricattano e coinvolge nelle indagini, invece che il presidente del Consiglio, solo il suo portavoce e invece del capo dell'opposizione, solo sua figlia, ma pur sempre il ministro della Giustizia, e sia pure soltanto perché forse è andato a mangiare in un ristorante alla moda con l'agente delle vallette.
In compenso, il pool non è più compatto come quello delle vergini violate, ma si è sfasciato e i suoi componenti si combattono e si denunciano a vicenda e si insultano e si querelano. Il procuratore generale denuncia dinanzi al Csm il pm con la motocicletta perché «fa il bello e il cattivo tempo» e ha costituito «una procura nella procura» e ha organizzato una squadra personale fatta di vigili urbani. E fa, assieme a un suo collega «manipolatore di pentiti», «un uso spregiudicato delle misure cautelari» e delle intercettazioni telefoniche, per le quali spende 7500 euro al giorno, per una spesa complessiva annuale di 2,7 milioni di euro, negli ultimi tre anni hanno effettuato intercettazioni per una durata totale di 109 anni e per un costo complessivo di 6,4 milioni di euro. Somme a cui vanno aggiunti i costi del personale, delle trascrizioni e delle perizie. E quello degli elicotteri: a Potenza hanno arrestato il presidente della Camera penale alle sei del mattino, circondandogli la casa con le auto della polizia e i giornalisti e la televisione e l'elicottero che girava rasente i tetti.
E il gip dice sempre di sì al pm con la motocicletta e al suo collega, tra loro esiste «un legame stretto», e tra il deposito delle ordinanze e la decisione dell'arresto o altre misure cautelari passano solo pochi secondi, nemmeno il tempo di leggerle. E il procuratore capo è corrivo o esautorato, inadeguato a gestire gli uffici, e c'è «una situazione insostenibile negli uffici, che genera paura e sconcerto tra i cittadini». E la vice del procuratore, indagata per 'ndrangheta, vaglia le denunce dei cittadini in arrivo, anche quelle rivolte contro il marito, potentissimo manager della Sanità. E ci sono cinque magistrati lucani, tra Potenza e Matera, indagati dalla procura di Catanzaro per cospicui affari immobiliari, interessi con le banche, scambi con la politica locale.
Si potrà sempre dire, e consolarsi, che la situazione non è così grave come ai tempi di Mani pulite, alla peggio non ne andrà di mezzo una intera classe politica, ma ammesso che le inchieste vadano in porto, cosa che finora non è mai avvenuta, fallirà soltanto qualche agenzia fotografica e ci potranno essere momentaneamente delle difficoltà per la fornitura delle vallette agli spettacoli della tv. Del resto, c’è stato un solo suicidio e il portavoce del premier non si è dovuto dimettere. Soltanto, più osceni delle fotografie che lo ritraggono con la sua automobile accanto a un transessuale sono i verbali degli interrogatori del pm motorizzato alle vallette, che da loro vuole sapere tutto, se erano vestite o in mutande o completamente nude, se l’hanno fatto fino in fondo e quanto sono state pagate. Sembrano i dialoghi nel confessionale, quando il prete domanda alla penitente: «Dove ti ha toccato?». Come magistrato protagonista politico più efficace fu Di Pietro, che voleva sapere delle mazzette ai politici e gli diceva: «O parli o ti sfascio e butto la chiave». Forse è per questo che questa volta Anna Finocchiaro nemmeno se ne occupa.




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IL TEMPO
26 marzo 2007
UN PO’ PIÙ GIUDICI, MENO SHOWMEN
di PINO PISICCHIO

C’È QUALCOSA di inevitabile nelle vicende di vallettopoli e dintorni, intesi questi ultimi come corredo fotografico, ricatti e copioso impiego di "captazioni telefoniche", così si chiamano le intercettazioni volute dal giudice. L’inevitabile attiene alla tendenza, italica e non, a guardare dal buco della serratura le vicende dei vip a vario titolo. In fondo è parte coessenziale dello show business, elemento costitutivo della promotion di un film, di uno spettacolo, di una starlette, farsi fotografare in circostanze, atteggiamenti, compagnie capaci di stuzzicare l’uzzolo voyeristico del pubblico. L’allestimento delle circostanze viene, poi, calibrato sapientemente in base ad alcune regole di psicologia che agiscono sugli istinti di sempre: invidia sociale, spirito guardone, tendenza all’identificazione. Nella cultura anglo-saxon, da noi spesso (inutilmente) celebrata, esistono filoni editoriali che prosperano su questa roba, addestrando all’uopo giornalisti che manco tom ponzi sarebbe stato capace di eguagliare nel camuffamento e nelle tattiche di appostamento. Del resto il "gossip" - un sublime Norman Mailer parla di "fattoidi" per descrivere anche questo genere di non-notizie - è da sempre protagonista della pubblicistica minore che finiva nei settimanali "rosa", quelli che raccontavano degli amorazzi dei divi, dell’arredo della casa di Orietta Berti, degli sposalizi e delle scappatelle amorose di principi e principesse dei reami da operetta e di qualche avvistamento ufologico. Se oggi il gossip dilaga e straripa verso argini un tempo estranei, come ad esempio la politica, non è perché sia cambiato l’interesse del pubblico che fa increspare lo share dei programmi tv quando parlano di Corona, Lele Mora e del portavoce del governo, ma solo perché sono cambiati quegli argini antichi. La politica dei "protagonisti", di quelli che esistono solo se esternano, di quelli che non si misurano più sulla base delle proposte che fanno, ma solo sulle presenze nei salotti di Vespa e Santoro,è ormai un tutt’uno con lo show, perfettamente compenetrata nei tempi, ritmi, linguaggi dei media. Come si fa a distinguere, del resto, una dichiarazione sull’Afghanistan da una comparsata al cabaret del Bagaglino se a farla è, con lo stesso, diciamo così, sussiego, il medesimo faccione politico? Nel grande blob televisivo la spettacolazione globale appiattisce ogni contenuto e spalma Nina Moric e il premio Nobel per l’economia sullo stesso sentiero. Una ragione di più per la politica di cercare spazi e percorsi distinti ed evitare la sovraesposizione. E, qualche volta, anche il ridicolo. C’è qualcosa di evitabile, invece, nelle vicende di vallettopoli, dintorni e intercettazioni telefoniche, ed è il cortocircuito tra magistratura inquirente e media. La febbre dei riflettori prende ogni umano: non è detto, però, che sia sempre tollerabile. Dal magistrato, così come dal politico e da ogni persona che detenga un potere pubblico, cioè affidatogli dai cittadini, bisogna poter esigere qualche sacrificio. Per esempio di accettare la sofferenza di non esporre le sue chiome e le sue motociclette, il suo nome così cinematografico, al soffice vento dei media adoranti. Ho un’idea bizzarra, ma forse neanche troppo: avremo risolto almeno la metà dei grandi problemi che ha la nostra giustizia il giorno in cui i nostri pm avranno la stessa notorietà che hanno i loro colleghi funzionari dell’ufficio delle tasse. Cioè nessuna.




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