L'ARMA SPUNTATA DELL'OTTIMISMO (SERGIO ROMANO)

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INES TABUSSO
00lunedì 20 marzo 2006 13:25


CORRIERE DELLA SERA
20 marzo 2006
L'offensiva del premier: confronto con il 2001
L'ARMA SPUNTATA DELL'OTTIMISMO
di SERGIO ROMANO

Nel faccia a faccia con Romano Prodi alla televisione il presidente del Consiglio era visibilmente infastidito e impacciato dalle regole a cui doveva piegarsi. Nell'incontro di Vicenza, invece, era nel suo ambiente naturale. Aveva di fronte a sé una platea di industriali, di cui molti simpatizzanti, altri ostili o diffidenti, ma tutti vecchi colleghi di cui conosceva perfettamente umori, sentimenti, esigenze. E poteva dare libero sfogo, senza limiti di tempo e con qualche provocatoria chiamata di correo, alle sue capacità di grande comunicatore. È stato ironico, sarcastico, polemico. Berlusconi, occorre riconoscerlo, è un gatto dalle sette vite. Poco importa che il mal di schiena fosse vero o una bugia diplomatica. Il ritorno in scena, dopo un doppio «colpo della strega» (il primo fu la sconfitta ai punti con Romano Prodi), è stato uno straordinario effetto teatrale. Se il giudizio su un discorso potesse essere esclusivamente estetico, Berlusconi, a Vicenza, avrebbe meritato trenta e lode. Se il giudizio deve essere politico, invece, occorre fare altre considerazioni.
L'imbarazzo e il disagio, così evidenti nel dibattito con Prodi, non erano provocati soltanto dal formato dell'incontro. Quando deve rendere conto dei risultati del suo governo Berlusconi si accorge, probabilmente, che il suo messaggio al Paese non è più convincente. Torniamo per un istante alle elezioni del 2001. La ragione del successo fu il suo contagioso ottimismo. Berlusconi si propose agli italiani come un modello. Avrebbe gestito il Paese come le sue aziende, avrebbe trattato i suoi compatrioti come gli azionisti di una grande impresa, avrebbe distribuito dividendi. Come Guizot in Francia nel 1843, Berlusconi diceva agli italiani «arricchitevi » e prometteva che avrebbe creato le condizioni del loro successo. Vinse, occorre riconoscerlo, perché il suo stile, la sua immagine, le sue parole erano esattamente il contrario di ciò che gli italiani avevano visto e ascoltato negli anni precedenti. Chi lo accusa di demagogia e lo critica in nome della Politica (un'arte di cui Berlusconi ignora le buone regole), dimentica quanto la politica italiana degli anni precedenti fosse stata grigia, oscura e destinata quasi esclusivamente agli addetti ai lavori.
Ma le promesse del 2001 non sono state mantenute. Attenzione, non ho mai pensato che il bilancio di questo governo fosse prevalentemente negativo e resto convinto che alcune misure prese negli ultimi anni cominceranno a dare buoni risultati nella prossima legislatura. Ma i tempi della politica sono quelli che intercorrono fra una elezione e l'altra. Quando si ostina ad affermare, come ha fatto nel dibattito con Prodi, che il suo governo, negli ultimi cinque anni, ha mantenuto gli impegni del 2001, Berlusconi si scontra con il duro linguaggio di cifre che dicono esattamente il contrario. Di chi è la colpa? Della sua litigiosa coalizione? Dei suoi interessi personali? Delle circostanze internazionali? Della insipienza di alcuni ministri? Se ammettesse l'esistenza di questi problemi e dimostrasse di sapere trarre una lezione dagli errori commessi, anziché limitarsi ad attaccare l'opposizione, il presidente del Consiglio riuscirebbe forse a convincere e a riconquistare una parte dell'elettorato. Ma Berlusconi nega gli errori e continua ad agitare il drappo dell'ottimismo. Non sembra rendersi conto che l'argomento con cui ha vinto le elezioni del 2001 si è ritorto contro di lui e che l'ottimismo è diventato il suo boomerang.


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