L’ultima volta che ho visto Parigi, ero sola, ero grande, ero incantata, su una panchina di clochard nel carosello dolcissimo e struggente della mia ferma tenerezza. Era dopo Berlino, dove non c’era il mare, ma prima di Amsterdam, Bruxelles, Agadir, il cui mare reale o sognato me lo porto dentro. Era una torrida afa estiva, ma scintillava nei miei gesti, nei miei occhi curiosi. Certi nomi erano una malattia ormai lontana, ed io ero in completa guarigione, pochi segni sulla pelle e ancora sogni da accarezzare. L’ultima volta che ho visto Parigi, non è stato come tornare a casa. Era come vederla per la prima volta, e tutto sembrava lì per me, per la mia innamorata solitudine. Ricordo di aver ballato con dei sandali azzurri nell’afosa ora del primo pomeriggio dentro una fontana a cascata, intorno odore di caffè e lontano negli occhi un’insolita spiaggia sulla Senna. I tanghi e i canti jiddish nelle metropolitane sotterranee, la passeggiata a Montemartre cercando un mulino che non c’è più, i colori accessi della Cinemateque dai “ Tacchi a spillo” e un poster portato via in fretta, i quadri al Pompidou tra giovani sdraiati in cerca di aria condizionata e le retrospettive di un Godard inacidito. E i miei sorrisi tra vestiti svolazzanti e spazi vissuti da capo.
Non ho cercato nessuno, non ho contattato nessuno. Non ho inviato né cartoline né saluti.
E nemmeno sono passata da Nanterre.
Sono sempre stata raccontata, adesso sono io che voglio raccontarmi.
Sto tornando, tra poco volo, e ci saranno sfavillanti luci, mercatini impazziti, viali vestiti a festa, odore di crepe e appassionanti sguardi, proprio come qualche anno fa.
Sto tornando, e a volte serve un viaggio, un trasloco, qualche ammaccatura sugli scaffali e le mani segnate di colori per capire le cose.
Io ti cercherò, con la musica della tua voce a fiori di pelle, ti cercherò senza dirti niente, senza volere niente. Ti cercherò come si scorge il sole tra le nuvole, come una foto in bianco e nero nella pagina preferita di un libro accantonato, come la rosa prima di divenire cenere. Come si cerca una strada conosciuta, dove si intende ripassare dopo anni e nonostante tutto la si riconosce, come sentirsi a casa, in ogni dove. Per dirti ad esempio di quante fughe e paure è capace amore, che talvolta affonda chiodi su chiodi per riempire vuoti che per sempre rimarranno senza copertura. Per dirti che si comprende a volte troppo tardi e che addirittura qualcosa non si arriverà mai a comprenderlo. Per dirti di quante difese e spari a saldo può essere il timore. Sul mio atlante di affetti, Parigi non è un luogo a caso. Ti cercherò e forse semplicemente ti guarderò da lontano, per vedere fin quanto si sentono i miei occhi su di te, oppure ti correrò incontro, e senza dirti niente di abbraccerò di una forza che non conosce intermezzi temporali, né altre formule matematiche. Oppure ti cercherò, e magari non trovandoti me ne tornerò via, il tempo di scambiare i lavori con i nuovi operatori, di appuntare date, appuntamenti, su un’agenda senza versi, senza poesia. Non ti troverò se non nel nascondiglio della memoria, come dei quadri che si comprendono solo a una certa distanza, con il passaggio del tempo, con un passo indietro, con delle lancette, indietro. Come tutto questo bene che solo ora ho compreso, come tutta la tua vicinanza costante che ho sempre negato a me stessa, per paura, cecità, immaturità, e ci sarà allora remissione? O forse ti incontrerò per caso, senza cercarti, magari in un locale dalle luci soffuse, e in milioni di sguardi io riconoscerei il nero dei tuoi occhi. E non sarà Parigi, né Lisbona, ma un posto qualsiasi. E probabilmente non serviranno parole, ma solo la luce di una visione, il calore delle mani, per un bacio durato anni nella lontananza degli eventi. E allora ecco, sarà come tornare a casa. Allora e solo allora, mio amico.
Io sto atterrando su Parigi, e tutto il resto è ancora da scrivere. Qui sul mio sedile sopra le nuvole, una centrifuga di pensieri, immagini, remissioni e omissioni, e, domani, forse, stilizzata, definita, limata, protetta, ostentata, stretta, lo spazio di un rettangolo, lungo l’inchiostro delle tue pagine.
Ivonne.