I ricordi fanno sentire giovani, e al contempo danno la misura del tempo che scorre, della sua profondità, dell'età che separa il passato dal presente.
Jesus appartiene a un passato che, oggi, appare anacronistico nei costumi sociali, nelle abitudini e nello sviluppo socioeconomico, come allora poteva apparirci il medioevo (non è così, ma l'elusione della Storia che viene coltivata dalla nostra contemporaneità impone come fosse vera tale percezione).
Quarantaquattro anni fa si presentò in edicola con un intreccio classico di vendetta per un'ingiustizia sofferta - forse la storia di avventura più classica che possa darsi. Uno degli innumerevoli western di quei decenni, genere egemone in sala come nei fumetti d'avventura. Uno dei tanti bonellidi che il successo dell'officina di via Buonarroti (ovvero principalmente il successo di quel Tex che all'editore milanese ha dato il vero successo) ha permesso che nascessero, e che ancora oggi permette che nascano.
Riletto oggi, agli occhi del lettore moderno (o modernizzato...) si impone la diversità dei ritmi narrativi, degli stilemi e del linguaggio letterari, dell'estetica grafica - in una parola: oltre quattro decenni di evoluzione di un linguaggio narrativo, quello del fumetto, che, nella sua forma che in qualche modo possiamo definire standard, aveva allora a spanne un'ottantina d'anni; e oggi, a spanne, centoventi e poco più. E il tempo che separa il presente da quel passato assume così la tridimensionalità dei mutamenti estetici del linguaggio fumettistico.
Così come ciò che ci è contemporaneo non è necessariamente peggiore di ciò che appartiene al passato, neppure esso è migliore. Con la tridimensionalità conferitagli dal suo trascorrere, il tempo che trascorre consente di discriminare ciò che di moderno vi è nel passato, e quanto dell'oggi viene dal passato. In altri termini, il trascorrere del tempo definisce la classicità e permette di selezionare e separare nella contemporaneità ciò che è sostanziale da ciò che è superficiale. Vi sono opere del passato che sono semplicemente vecchie, e opere del presente che sono semplicemente contemporanee; e ve ne sono il cui valore va oltre il proprio tempo: i classici (e i futuri classici).
Jesus non è stato un capolavoro, e non è oggi un'opera memorabile da riscoprire; ma è un piccolo classico. È una storia del suo tempo, realizzata con i canoni letterarii e grafici del suo tempo da due artigiani trai migliori di un modo di produrre fumetto che oggi non c'è più e probabilmente non è proprio più concepibile: i fratelli Ennio e Vladimiro Missaglia. È un piccolo classico perché, al di là di stereotipi stilistici sorpassati e una rustica artigianalità che forse oggi non sarebbe perdonata, attinge con sapienza e onestà dal vasto patrimonio di storie prodotte nei millenni dall'uomo realizzando racconti ancora in grado di intrattenere e soprattutto emozionare.
Il tempo e il ricordo hanno anche la funzione di sedimentare il passato e poi farne riaffiorare quei sedimenti che sono stati fissati, e in tal modo sarà davvero piacevole ritrovare il sapore "campagnolo" di una lettura di gioventù.
Né il passato né il presente è necessariamente migliore dell'altro, come scrivevo; tuttavia artisticamente le due dimensioni temporali possono essere difficili da coniugare e armonizzare. Così, la scultorea copertina di Michele Benevento, in sé davvero bella, mal si adatta a una storia la cui cifra grafica è un dinamismo nervoso e scabro, a un personaggio asciutto e rude come i panorami desertici che caratterizzano lunghi tratti delle due prime storie contenute in questo albo. E il confronto con le essenziali copertine originali di Vladimiro Missaglia è perdente.