CARLO FEDERICO GROSSO: I GIUDICI NON ESAGERINO, MA LA POLITICA NON SOTTOVALUTI

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INES TABUSSO
00sabato 14 luglio 2007 20:44


LA STAMPA
12/7/2007
Giudici, non esagerate
CARLO FEDERICO GROSSO


Molti elettori, alle ultime politiche, hanno votato per il centrosinistra convinti, sulla base delle promesse fatte in campagna elettorale, che la nuova maggioranza avrebbe immediatamente bloccato la legge Castelli sull’ordinamento giudiziario e abrogato le cosiddette leggi vergogna approvate dalla Cdl in materia di giustizia penale.

Questo non perché si riteneva che il nuovo governo dovesse eliminare per forza tutte le leggi fatte approvare da quello precedente, il che sarebbe stato assurdo. Ma perché la legge Castelli e molte delle leggi penali votate dalla passata legislatura erano pessime. Non aiutavano a risolvere i problemi urgenti della giustizia, ma anzi li aggravavano. Talune sembravano scritte deliberatamente contro la magistratura. Oggi, dopo oltre un anno di attività della nuova maggioranza parlamentare, si profila un quadro peculiare. L’unica legge penale abrogata, la legge Pecorella in materia di appello, è stata eliminata dalla Corte Costituzionale che l’ha giudicata illegittima.

Il Parlamento non ha fatto invece nulla in materia, non riuscendo ad abrogare neppure la legge ex Cirielli in tema di prescrizione, la cui cancellazione era stata indicata come urgente dallo stesso Guardasigilli. Quanto alla legge Castelli sull’ordinamento giudiziario, nel corso del 2006 c’era stata una sua parziale, tutto sommato accettabile, modifica. Si era quindi stabilito il termine del 31 luglio 2007 per gli ultimi interventi su taluni argomenti delicati. Ci saremmo aspettati che il Parlamento affrontasse per tempo anche quest’ultima incombenza.

Invece il Senato ha cominciato a discutere in aula soltanto ora, a poche settimane dalla scadenza, con la prospettiva di non arrivare in tempo ad approvare i cambiamenti. Tanto più che, dopo il Senato, dovrà ancora votare la Camera.

Per altro verso, poco è stato fatto, operativamente, per cercare di rimediare in qualche modo alle disfunzioni quotidiane della giustizia civile e penale. Il Guardasigilli ha predisposto, allo scopo, alcuni disegni di legge. Il Consiglio dei ministri li ha approvati. Tutto ancora tace, però, in Parlamento. Mentre, al contrario, non si è esitato ad approvare, nel luglio scorso, quel peculiare provvedimento di indulto che ha creato malessere nella successiva gestione della giustizia penale e contribuito a turbare l’ordine pubblico e il senso di sicurezza dei cittadini.

A questo punto, di fronte a tanta apparente insipienza, sorge un sospetto. Che, forse, non tutto sia casuale; che nell’attuale maggioranza vi siano in realtà, accanto ai duri e puri di sempre, coloro che remano contro l’idea di una riorganizzazione del settore giustizia. In fondo una magistratura inceppata, una giurisdizione inefficiente, una prescrizione che falcidia, può fare comodo anche a sinistra. E allora a parole si enfatizza la discontinuità rispetto alle gestioni precedenti. Nei fatti, invece, qualcuno cerca di bloccare, di ritardare, perché una magistratura avvilita e una giustizia poco funzionante sono comunque in qualche modo funzionali. La situazione è oggi, su tutt’altro piano, del tutto peculiare. Si discute in Senato l’ultima tranche della riforma Mastella dell’ordinamento giudiziario. Gli avvocati iscritti alle Camere penali hanno immediatamente protestato contro di essa con la proclamazione di due lunghe astensioni dalle udienze. L’Anm ha dichiarato a sua volta uno sciopero dei magistrati per il 20 luglio. Non si era mai visto che le due principali categorie professionali del settore giustizia si agitassero contemporaneamente, sia pure per motivi opposti, contro l’approvazione della stessa legge. Ha colpito, soprattutto, l’agitazione dichiarata dai giudici. Di qui, le reazioni vibrate di numerosi parlamentari dell’Unione.

La legge Mastella sull’ordinamento giudiziario non è una legge ottima. Non è comunque neppure una legge vergognosa. È, probabilmente, la legge migliore che il contesto politico consente di questi tempi. Né mi sembra che i profili criticati dai magistrati meritino le censure sollevate. Che un magistrato, cambiando funzione, debba anche cambiare il distretto o la Regione in cui opera mi sembra sacrosanto. Né mi preoccupa che nei consigli giudiziari anche gli avvocati possano sovrintendere alle questioni concernenti le carriere delle toghe, un principio già riconosciuto da anni per quanto concerne il funzionamento del Csm. Sarebbe d’altronde una iattura che, non essendo approvata la legge Mastella, entrasse in vigore la ben peggiore legge Castelli.

Ma allora perché tanta agitazione, tanta rabbia? Perché un’iniziativa così dirompente come lo sciopero della magistratura, un potere dello Stato, contro una legge in discussione in Parlamento? Le ragioni, probabilmente, hanno radici profonde. Per anni fra magistratura e sinistra politica è stata luna di miele. Oggi l’incantesimo si è rotto. I ritardi del centrosinistra nell’abrogazione delle leggi vergogna, l’inefficienza lasciata deflagrare, la perdurante mancanza delle risorse necessarie, la legge d’indulto votata nonostante gli ammonimenti, hanno spezzato il filo che legava le due sponde. Alla fiducia si sono sostituiti sospetto e diffidenza.

Le conseguenze non si sono fatte attendere: una reazione dura a una legge che non piace del tutto. A questo punto sarebbe tuttavia improvvido che la politica, senza avvertire le ragioni profonde della crisi, si limitasse a liquidare l’iniziativa dei magistrati con l’accusa sbrigativa di corporativismo associativo.






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