C.F. GROSSO: SCANDALI PRIVATI, APATIA DEI GOVERNANTI, OPINIONE DEI GOVERNATI

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INES TABUSSO
00mercoledì 28 dicembre 2005 21:59

LA STAMPA
28 dicembre 2005
Mani pulite un’altra storia
di Carlo Federico Grosso


Nel commentare le vicende giudiziarie che stanno scuotendo il mondo finanziario, alcuni politici hanno manifestato la preoccupazione che si possa aprire una nuova Mani pulite. In particolare, essi hanno espresso il timore che le indagini possano raggiungere il cuore dei partiti, che le manette ricomincino a tintinnare e che torni a dominare il giustizialismo.

Non so ovviamente prevedere in quale direzione si svilupperanno le indagini. E' ovvio tuttavia che, ove emergessero coinvolgimenti di uomini politici, la magistratura non potrebbe che perseguirli, non facendo altro che il suo dovere. Nessuna manifestazione di giustizialismo, dunque, ma semplice adempimento dell'obbligo di indagare nei confronti di qualunque indiziato. Il punto che merita di essere approfondito è in ogni caso un altro. Anche se i politici dovessero risultare coinvolti nelle inchieste in corso a Milano e Roma, non si potrebbero comunque individuare analogie fra l’indagine degli Anni Novanta e quella condotta oggi nei confronti dei fenomeni di finanza illecita. Diversi sono infatti i reati dei quali si discute, diversi i protagonisti ed i meccanismi del crimine, diverso il contesto sociale e politico all'interno del quale i reati sono maturati.

Mani pulite aveva rivelato l’esistenza di una macro organizzazione della corruzione negli appalti e nei servizi pubblici, che aveva corroso in profondità il funzionamento delle pubbliche amministrazioni. In tale sistema ciascuna delle parti aveva il suo tornaconto. Gli imprenditori, accordandosi fra loro e con i soggetti pubblici, guadagnavano con le gare truccate; i politici ed i funzionari percepivano, sotto forma di tangente, il prezzo della loro compiacenza. Questo sistema di criminalità «bipolare», nella quale la parte pubblica, dettando le regole del gioco, aveva comunque la veste del protagonista, ha tenuto finché la politica è stata forte, e finché una parte della imprenditoria ha avuto interesse a servirsene. Quando l'Italia si è aperta all'Europa, e si è compreso che l'irruzione sul mercato italiano delle imprese straniere avrebbe inceppato il funzionamento della corruzione, gli imprenditori italiani sono corsi a confessare evitando in questo modo lunghe detenzioni, mentre i politici coinvolti non sono riusciti ad arginare la piena e ne sono stati travolti.

Lo scandalo che sta agitando in questi giorni l'Italia è di tutt'altra specie. E' scandalo finanziario, e pertanto scandalo principalmente «privato». Alcuni operatori economici sarebbero stati illecitamente finanziati, per acquistare sul mercato pacchetti di azioni, da banchieri disinvolti, a loro volta interessati a scalate spregiudicate a danno di altre banche, in un intreccio molto peculiare fra operazioni apparentemente staccate le une dalle altre compiute da soggetti che poco o nulla avrebbero dovuto avere in comune. Sarebbero state così accumulate enormi risorse con l'obiettivo, non riuscito a causa dell'intervento della magistratura, di creare nuove concentrazioni di potere economico, e sarebbero stati garantiti rapidissimi ingenti arricchimenti personali. In questa vicenda un ruolo importante sarebbe stato d'altronde esercitato dal massimo livello di controllo istituzionale, che con la sua attività avrebbe addirittura favorito taluno degli operatori, tanto da risultare indagato a Roma per abuso di ufficio ed a Milano per insider trading. Cionondimeno, lo scandalo è, e rimane, uno scandalo eminentemente privato.

Il carattere privato di tale scandalo consente di cogliere le differenze che lo distinguono da quello emerso negli Anni Novanta. Mani pulite ha colpito una attività criminosa che era stata gestita, controllata e diretta dalla politica. Bancopoli si occupa di una attività delittuosa che, al di là del coinvolgimento della Banca d'Italia, mantiene il suo baricentro negli interessi e nelle attività illecite di affaristi e banchieri d'assalto. Se era naturale che l’indagine sulla corruzione degli Anni Novanta potesse condurre al dissolvimento dei partiti che si erano alimentati di tangenti, difficilmente l'eventuale coinvolgimento di componenti politiche nello scandalo finanziario privato del quale si stanno occupando Milano e Roma potrà pertanto produrre analoghi effetti dirompenti. Tutt'al più potrà cadere qualche testa, o essere ridisegnato qualche equilibrio interno agli schieramenti.

Al di là di questo profilo, le riflessioni cui ci richiama l'atteggiamento della politica nei confronti delle gestioni economiche sono comunque sconcertanti. Mentre negli Usa lo scandalo Enron ha quantomeno suscitato uno scatto di orgoglio con l’emanazione di una durissima legge di contrasto, in Italia non sono stati sufficienti gli scandali Cirio e Parmalat per scuotere l’apatia parlamentare. Soltanto nei giorni scorsi, sotto l'incalzare delle indagini giudiziarie, governo e Parlamento si sono determinati a mettere all'ordine del giorno l’attesa legge sulla tutela del risparmio, ma tale legge ha inopinatamente previsto un ulteriore alleggerimento del trattamento penale di taluni reati societari.

Non so che cosa pensino i governanti dei loro governati. So tuttavia, a questo punto, molto bene che cosa pensare di chi ci governa.


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