(ATTENZIONE- SPOILER)
Uhm, da dove cominciare? Vediamo: in copertina c'è scritto: "Un
thriller di Paola Barbato". E' un thriller? O un noir? E' una galleria di ritratti psicopatologici. Ammesso di trovare un'accettabile definizione di normalità, non ce ne è uno o una normale. Il che, in un thriller o un noir, di quelli belli truculenti e borderline come piacciono ai Giovani Arrabbiati, sembrerebbe una cosa buona. Solo che per quanto Paola Barbato li analizzi, li dissezioni, li evisceri, i suoi personaggi
restano lì morti sulla carta, non prendono un alito di vita: sono
santini plastificati nelle loro collezioni di tic, di follie, di
comportamenti fuori da ogni realtà e realismo: vorrebbero essere
persone ma non sono che personaggi costruiti per accumulo di dettagli eclatanti, messi insieme per stupire il lettore e fargli fare "Oh!".
Ora, detto così sembra che il libro sia un disastro, soprattutto se si aggiunge che la storia è sfilacciata, illogica, non meno fasulla dei suoi personaggi, anche perché i suoi personaggi la tirano ciascuno dalla propria parte, visto che ciascuno, narrativamente, pare farsi i cazzi suoi e non essere parte di un costrutto. Non è il fatto che i buoni (la Buona) siano cattivi - e i cattivi cattivi, tranquilli che non c'è speranza ^__^ - e che i buoni (la Buona) che sono cattivi vincano (e l'unico buono vero perde, e si pensa che gli stia bene perché sarà anche buono, ma è talmente strano e scemo che se lo merita). Non è questo, è proprio che dopo i vaghi sospetti di irrealtà dei primi capitoli, quando un po' prima della metà del libro arriva la svolta, si legge e continua a leggere con un senso di irrealtà sempre
maggiore, sempre più fondato su una storia allucinata molto più nella forma che nella sostanza dei suoi attori, talmenti folli da risultare impossibili e privi di spessore autentico.
Poi l'altra svolta, a fine libro. Dopo averci rimuginato su, anche. Perché nonostante quanto sopra, il libro acchiappa. Si legge bene, tutto d'un fiato; perfino si ha davvero voglia di scoprire come va a finire (ma è finita la storia?). Si intuisce allora _perché_ una storia colabrodo con personaggi tanto fasulli riesca a sedurre. Perché è tutta una recita, è tutto teatro. Perché non è una storia, ma una seduta di autoanalisi, ed è per questo che la storia è tanto caotica e illogica e i suoi personaggi tanto privi di dimensioni. Perché non è una storia, non è narrazione, ma libere associazioni mentali; perché
non sono personaggi distinti, ma una unica persona, e come tale non può essere esaminata a compartimenti stagni senza perdere profondità, autenticità: per intravedere la verità deve essere esaminata unitariamente.
E allora ci si rende conto che valeva la pena leggerlo, che è un libro interessante. Un bel libro.
V.