APPUNTAMENTO PER I FIORENTINI: INDULTO 2006 - AMNISTIA 1946 (CON PIERCAMILLO DAVIGO)

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INES TABUSSO
00mercoledì 13 settembre 2006 21:23


Firenze : piccola editoria , contributo al pluralismo
di osservatoriosullalegalita.org
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APPUNTAMENTO PER I FIORENTINI: INDULTO 2006 - AMNISTIA 1946 (CON PIERCAMILLO DAVIGO)


Firenzestate 06
14/9

Chiostro delle Oblate
via S. Egidio 21, Firenze
ore 17:00

Mimmo Franzinelli “L’Amnistia Togliatti” (1), con Vannino Chiti, Giovanni
Gozzini, Piercamillo Davigo (Corte di Cassazione)

Per raggiungere il Chiostro delle Oblate, cuore pulsante della nuova
Biblioteca della città, in via S. Egidio 21, a Firenze:
IN AUTOBUS: dalla stazione di Santa Maria Novella linee 14, 23 scendere alla
fermata via del Proconsolo
IN AUTO: dall'uscita Firenze Sud, seguire indicazioni per Centro/Piazza
Beccaria, poco distante si trovano i parcheggi di Piazza Annigoni e Piazza
Beccaria

promozione@comune.fi.it
055. 2625955





(1)
Mimmo Franzinelli
“L’Amnistia Togliatti”
Edizioni: Mondadori
Anno di pubblicazione: 2006

Dopo sessant'anni, la prima ricostruzione dell'amnistia Togliatti, ovvero come
la giustizia fu sacrificata alla pacificazione

Il 22 giugno 1946, pochi giorni dopo la nascita della Repubblica, fu varata
l'"amnistia Togliatti". Il provvedimento, che doveva pacificare il paese, si
tradusse nella liberazione di migliaia di fascisti, compresi i peggiori
criminali. Chi lo aveva voluto? C'era qualcosa di sbagliato nei tempi e nella
formulazione dell'atto di clemenza? O c'era invece qualcosa di inadeguato nei
giudici cui spettava interpretare e applicare la legge? Quel che è certo è che
l'amnistia portò all'archiviazione di molti processi, sollevò un'ondata di
risentimenti e lasciò senza risposta molte domande. Per far luce sulla
complicata vicenda dell'amnistia del '46, Mimmo Franzinelli ha analizzato
un'imponente mole di documentazione archivistica in gran parte inedita. Le
"carte Togliatti", conservate alla Fondazione Gramsci, testimoniano, fra
l'altro, la diretta paternità del segretario comunista nella stesura del
decreto, smentendo la tesi che il guardasigilli fosse caduto in un tranello
dell'apparato ministeriale. Le relazioni riservate di prefetti e comandanti dei
carabinieri sulle scarcerazioni consentono di accertare chi beneficiò del
"colpo di spugna", come e per quali reati: dai magistrati ai collaborazionisti,
dagli stragisti ai delatori, dai torturatori di partigiani ai "cacciatori di
ebrei". Le più significative sentenze della Corte di Cassazione ci mostrano
direttamente con quali argomentazioni spesso incredibili si decretò l'impunità
e perfino la riabilitazione giuridica della classe dirigente del Ventennio e
della Repubblica sociale. Franzinelli affronta il tema di fondo del trapasso
dal fascismo alla democrazia e dalla guerra alla pace analizzando i fattori che
concorsero a fare dell'amnistia un provvedimento tanto discutibile: il mancato
ricambio dell'apparato statale, lo strapotere dei vertici della magistratura,
la sottovalutazione dell'impatto che il decreto avrebbe avuto nel paese,
l'apertura di Togliatti agli ex fascisti in vista dei nuovi equilibri politici.
L'amnistia si inserisce quindi nel quadro più ampio che in quegli anni vide
l'insabbiamento di molti procedimenti per crimini di guerra nazifascisti e
garantì l'impunità agli italiani colpevoli di crimini di guerra in Africa,
Iugoslavia ecc. Dopo sessant'anni è possibile ripercorrere per la prima volta
minuto per minuto l'itinerario di un evento, importante e spesso dimenticato,
che ha contribuito a definire nel bene e nel male la fisionomia della
Repubblica appena nata.



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da: www.cosinrete.it

INDULTO 2006 - AMNISTIA 1946

Piero Craveri in "Sole-24Ore" del 2.7.2006 parla della ricerca di Mimmo
Franzinelli, in L'amnistia Togliatti. 22 giugno 1946. Colpo di spugna sui
crimini fascisti»

"Il 22 febbraio del 1946 il nunzio Borgongini Duca scriveva a monsignor
Tardini, sostituto alla segreteria di Stato, di aver incontrato il ministro di
Grazia e Giustizia Palmiro Togliatti e di averlo trovato in compagnia di Mauro
Scoccimarro.

Alla sua pressante richiesta di commutare le condanne a morte per crimini
fascisti sentenziate dalle Corti d'Assise e confermate dalla Cassazione in 30
anni di prigione, il ministro aveva così replicato: «I delitti politici tra
cinque o sei anni non verranno più considerati e perciò anche l'ergastolo verrà
graziato. Quindi non resta per se che la pena capitale».

La data è significativa, siamo a due mesi e mezzo prima delle elezioni della
Costituente, giusto a tre dai provvedimenti di amnistia che seguirono.

Lo è anche dal punto di vista storico-politico.

La fredda considerazione di Togliatti non nasconde che un provvedimento di
clemenza fosse necessario e nell'unanime previsione.

Il principio della continuità dello Stato, con la definitiva liquidazione dei
Cln, Comitati di liberazione nazionale, era un dato ormai acquisito, e
Togliatti non si era opposto a questo esito, anzi sostanzialmente l'aveva
assecondato, in nome del primato politico dei partiti di massa e dell'accordo
tra comunisti e cattolici.

Questo suo disegno a quella data era ancora plausibile e avrebbe costituito
l'equilibrio di governo successivamente per oltre un anno.

Perché dunque non esternare così espressivamente la convinzione che il
processo di epurazione iniziato nel '44 avrebbe avuto in breve tempo un esito
nullo?

Dopo il 2 giugno uno degli ultimi atti del primo governo fu il varo del
decreto di amnistia presentato da Togliatti.

La sua peculiarità stava nel fatto che essa si estendeva anche a gravi crimini
comuni, in quanto considerati come «delitti politici».

Il caso topico è quello che, assieme all'omicidio, alla strage, al saccheggio,
escludeva l'amnistia nel caso delle «sevizie», ma solo se «particolarmente
efferate».

Il provvedimento distingueva poi l'atto di clemenza come «proprio» e
«improprio», il primo applicandosi a procedimenti ancora in fase di
istruttoria. Così migliaia di casi non vennero neppure accertati.

E la paternità di questo decreto è proprio di Togliatti.

La responsabilità è indubbiamente sua, anche a voler seguire la discussione in
Consiglio dei ministri.

Dinanzi a norme così larghe, l'interpretazione della magistratura ne ampliò
ulteriormente l'effetto.

L'amnistia di Togliatti si presentava come un colpo di spugna e come tale fu
interpretata da chi doveva eseguirla.

Mimmo Franzinelli, in questo suo L'amnistia Togliatti. 22 giugno 1946. Colpo
di spugna sui crimini fascisti», ed. Mondadori, ricostruisce la vicenda da par
suo.

Non è la prima volta del resto che dà prova delle sue capacità di ricerca e
ricostruzione.

Tutto l'iter del provvedimento e i suoi effetti sono documentati con rigore.

Si aggiunga una casistica ampia dei numerosi aberranti provvedimenti che
amnistiarono rei di delitti altrimenti previsti dal Codice penale e largamente
provati, sulla base degli stessi atti giudiziari.

Vi si documenta anche la reazione profonda che si verificò nel Paese a seguito
di una siffatta amnistia.

Opportunamente, egli nota, che in tal modo non si favorì nessuna
pacificazione, perché questa o si fonda su atti plausibili di giustizia, o non
può mai avere fondamento.

Nei Paesi europei occupati dai nazisti, dove il collaborazionismo fu fenomeno
assai pervasivo, come in Francia, ma anche in Belgio, Olanda, Norvegia, si
procedette infatti a epurare, condannare e poi a pacificare.

Da noi, specie all'indomani del 25 aprile, epurati e condannati furono
migliaia, in un clima di iincertezza e transeunte a cui si dovette porre
riparo.

Un anno dopo i casi si riducevano a poche centinaia, anch'essi avviati sulla
strada di una sicura clemenza.

Chiedersi perché, nel caso specifico poi perché proprio Togliatti, è un
quesito storico che deve avere risposta.

Franzinelli non fornisce un'interpretazione complessiva, ma direttamente o
indirettamente alcuni spunti.

Prima considerazione: l'amnistia riguardava principalmente i fascisti, più
specificamente quelli di Salò, ma anche i delitti commessi dai partigiani a
cavallo del 25 aprile.

Seconda considerazione: l'epurazione era stata concepita in termini troppo
vasti all'inizio, divenendo il processo a un popolo più che a un regime ed era
stato difficile poi ricondurla entro binari efficaci; con la Costituente
bisognava comunque chiudere e stabilizzare il sistema, com'era richiesto da più
parti, segnatamente da parte moderata.

Terza considerazione: Togliatti vedeva allora ancora possibile realizzare il
suo disegno di ingresso permanente nel potere e con freddo realismo intese dare
un'assicurazione pregiudiziale a quegli apparati pubblici con cui doveva fare i
conti e voleva il più possibile dalla sua parte.

Se ne può aggiungere una quarta: Togliatti non voleva affatto una vera e
propria pacificazione ed era consapevole che una siffatta amnistia avrebbe
lasciata ambiguamente viva la contrapposizione tra fascismo e antifascismo.

Comunque sia, resta il fatto che l'amnistia è un paradigma del come l'Italia
non ha fatto i conti col suo passato, ma operato una rimozione, sostituendo poi
alla mitologia fascista, una di stampo democratico-repubblicano.

Su questa base non è possibile storia condivisa e ricerche come questa aiutano
a stabilire i necessari presupposti di verità."

In questi giorni in cui gli italiani, impauriti dagli attentati alla roba di
cui sono fra i più ricchi al mondo, discutono animosamente sulla utilità o meno
dell'indulto che fa uscire dal carcere migliaia di piccoli delinquenti e ne
impedisce l'entrata a qualche decina di mascalzoni, parlare dell'amnistia di
Togliatti nel 1946 è un po' come gettare olio sul fuoco.

E' chiaro però che la differenza fra i due provvedimenti di grazia è abissale.

Allora si usciva da una tragedia di cui si conoscevano i colpevoli più o meno
feroci ma tutti reggitori dei nostri destini senza avere avuto alcun mandato
democratico e legittimo a esserlo.

Era giusto che pagassero secondo giustizia proporzionale alle colpe.

Come ricorda Craveri "in tal modo non si favorì nessuna pacificazione, perché
questa o si fonda su atti plausibili di giustizia, o non può mai avere
fondamento.

Nei Paesi europei occupati dai nazisti, dove il collaborazionismo fu fenomeno
assai pervasivo, come in Francia, ma anche in Belgio, Olanda, Norvegia, si
procedette infatti a epurare, condannare e poi a pacificare.."

Nell'articolo si fanno alcune ipotesi sulla decisione di Togliatti, presa come
sempre autonomamente e senza alcuna consultazione né con la base del partito
comunista né tantomeno con il popolo italiano.

Da bravo intellettuale, vissuto in esilio, studioso e sicuro delle sue
decisioni, lontano da esigenze partecipative dal basso, deciso giustamente a
impedire qualsiasi avventura velleitaria che contraddicesse gli accordi
spartitori di Yalta, non capì la struttura mafiosa della società italiana e
facendo la pacificazione senza la epurazione condannò l'Italia alla egemonia
cattolica e neofascista nella forma, capitalista nella sostanza, che è durata
fino ai nostri giorni, cambiando opportunamente abito e aspetto secondo le
circostanze.




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