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Oggi ho letto - Segnalazioni in breve

Ultimo Aggiornamento: 09/05/2024 17:12
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Re:
BertAdams, 11/06/2023 15:01:

[SM=x2114809]

A ma tutti i filosofi in qualche modo lo sono...
Io ho ancora gli incubi pensando alla Critica della ragion pura di Kant...

Sia sempre lode a Kant. I filosofi possono essere fastidiosi, ma uno solo è alla radice di quella iattura che è l'idealismo occidentale: Platone.





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Qualche post più su (anzi, nella pagina precedente) accennavo a una lettura in corso.

Terra matta non è un romanzo né una (auto)biografia; neppure è un diario. E' se mai un memoriale, un testamento spirituale di una vita, che di spirito non parla mai ma costruisce, cronaca dopo cronaca, la dimensione spirituale ed esistenziale di un uomo qualunque che ha vissuto una vita qualunque; e che attraverso le sue memorie rende unica e speciale - fondamentale - la vita. Ogni vita umana.

Queste memorie sgrammaticate e (letterariamente) anarcoidi di un semi "inafabeto", come Rabito si descriveva, sono semplicemente una lettura straordinaria e un'esperienza con pochi pari.





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Un anno sull'altipiano



Ogni po' vale la pena tornare ai classici, specie quelli non letti a suo tempo.

Lettura davvero fondamentale, ricchissima a onta della brevità e dell'asciuttezza del testo. Lussu condensa all'inverosimile ogni tema relativo a quella dimensione terrificante della nostra specie che è la Guerra, ottenendone un vero e proprio precipitato dell'esistere e del vivere. In un italiano splendido, amorevolmente tornito, a tratti perfino algido nella sua perfezione, ormai distante da noi quasi un secolo, il narratore ci consegna la cronaca dolorosa di una insensata carneficina. E per il lettore del 2023 il dolore più grande è constatare come i brutali insegnamenti di quella lontana mattanza restarono e restano inascoltati.
[Modificato da Juan Galvez 23/06/2023 15:31]



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Re: Un anno sull'altipiano
Juan Galvez, 23/06/2023 15:30:




Ogni po' vale la pena tornare ai classici, specie quelli non letti a suo tempo.



Anch'io l'ho letto non da molto, credo nell'immediato pre-pandemia: libro davvero splendido, sicuramente tra i migliori nel suo genere (ma, va da sé, bellissimo anche al di fuori dei confini del genere).
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Come d'aria - Ada D'Adamo


Attratto dal tema e incuriosito da una sorta di recensione unificante e accusatoria dei romanzi candidati, per la prima volta ho letto "a caldo" il vincitore dello Strega.
Al di là di quello che ogni lettore possa pensare del libro, al di là che possa o meno essere un gran libro - o un bel libro, credo che "Come d'aria" non sia un'opera che lasci indifferenti; che possa lasciare indifferenti.

Non un romanzo, per brevità sarebbe più una lunga novella, né opera pienamente narrativa, il libro è un memoriale, un collage di riflessioni e impressioni, di grida e sospiri soffocati; un testamento spirituale, un viaggio iniziatico nel dolore. Un'opera alchemica.

Viaggio iniziatico perché quel che Ada D'Adamo ricostruisce, senza necessariamente seguire la scansione cronologica degli avvenimenti, è la trasformazione della sua vita, della sua persona, del suo essere, innescata dal dolore e dalla malattia di sua figlia e poi dal dolore e dalla malattia propri. Viaggio iniziatico perché questa immersione nel dolore si conclude con la rivelazione della bellezza e della grandezza della vita. Opera alchemica perché l'agente di questa trasformazione, il dolore, appare un materiale vile che si tramuti in quello nobile della comprensione di sé e della vita, dell'accoglimento del dono della coscienza di sé.

Opera non narrativa che esplora narrativamente due vite, reali e qualunque, riuscendo a elevarle a paradigma di quella lotta incessante per la vita che, appunto, la vita è. Una lotta che inevitabilmente è destinata alla sconfitta, ma che nel suo essere incessante, nel suo non arrendersi neppure alla resa, nel suo non arrendersi al dolore, ribalta il risultato.

Scrivevo che ad attrarmi, oltre al tema della disabilità vi è stata una recensione in qualche modo comune e non positiva delle opere candidate allo Strega. L'accusa è che, letterariamente validi o meno, ben scritti o meno, belli o meno, i romanzi della cinquina siano accomunati da una sorta di estetica del dolore privato, da un rifugiarsi nell'individualità e nell'individualismo, da un rifuggire l'analisi sociale e la dimensione sociale della letteratura. Non so gli altri libri non avendoli letti, ma l'opera di Ada D'Adamo mi pare non rientrare nella definizione.

Certo, "Come d'aria" è ANCHE opera profondamente privata e individualistica, ma non si esaurisce in tale registro, che comunque è il suo proprio. Nelle pagine migliori, e sono molte a onta della brevità del testo, l'autrice lascia che siano i fatti descritti a parlare per lei e per sua figlia; lascia che il dolore emerga dall'esposizione quasi naturalistica di quei fatti. Un dolore che ella manifesta senza reticenza eppure senza alcuna esibizione, sfiorando inevitabilmente la retorica (inevitabilmente perché il dolore nostro e di coloro che amiamo è la materia più scivolosa e pericolosa) ma senza mai cadervi; lasciando sempre che siano gli eventi a mostrarsi nella propria asprezza e crudezza. E i fatti ci mettono sotto il naso e denunciano con forza, quantunque con altrettanta disperazione, l'evidenza di una società - la nostra, la società italiana (ma nella nostra si riflette quanto meno tutta quella che sbrigativamente definiamo "Occidentale") - barbarica. Sempre più imbarbaritasi, se mai ha dato la speranza di intraprendere un percorso di segno contrario, nelle sue funzioni sociali e collettive primarie, le più basilari: la cura e l'istruzione. "Come d'aria" parla, anche, e con grande forza, di una società che sta sempre più tralasciando gli ultimi e i bisognosi. Che siano i malati, i disabili, gli anziani, i bambini senza difese, i poveri per qualsiasi causa, la nostra società sembra aver staccato dalla motrice il vagone degli ultimi.

Aveva ragione Margaret Mead nell'individuare in un femore fratturato e poi guarito il primo segnale della civiltà, il mattone primo della società civile.

Ed è di questo che ha scritto Ada D'Adamo, a partire dalla sua vicenda individuale, riassunta per altro con un vigore asciutto che pure non ha tralasciato nulla: del nostro allontanarci dalla guarigione del femore.





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Grande, Vince! [SM=x74927]



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Grande Vinnie! Confidavo che la riportassi anche qui, oltre a Facebook! [SM=x74951]
Recensione molto ispirata e dettagliata di un autrice che ho solo sentito nominare appunto per il premio vinto postumo, ma che non ho mai letto.
Di certo lo trovo ora un titolo allettante.
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Su ottimo consiglio del nostro Eternauta ho letto Augustus di John Williams.

Per chi intendesse leggere aggiungo che spoilererò qualcosa, quindi siete avvisati.

Scrittore che mi era sconosciuto e che nonostante questo si è rivelato una sorpresa positiva.
Il libro si presenta come una raccolta di epistole - con qualche eccezione, es. Giulia scrive più un diario che delle missive, anche perché non avrebbe la possibilità di comunicare col mondo esterno dal suo eremo - e sebbene non sia una novità, è certo insolito.

Il miscuglio tra fatti storici puntuali e fantasia dell'autore funziona molto bene e anzi mi sembra doveroso un plauso per l'accuratezza dei dati che conoscevo a grandi linee.

È un grande affresco del più importante "imperatore" e nell'insieme di Augusto resta un'immagine positiva. Freddo, calcolatore e spietato all'occorrenza e allo stesso tempo capace d'amicizia verso i pochi che costituiranno la ristretta cerchia di conoscenze e padre a suo modo affettuoso e capace di accettare le forte personalità dell'unica figlia.

Soprattutto grande uomo politico, in senso non spregiativo. Senso delle istituzioni quasi invidiabile.

Non che siano state n qualche modo nascoste debolezze o dimenticati i tanti difetti di Ottaviano, solo che per me hanno prevalso i lati positivi.

Apprezzatissimo i riferimenti ai tanti uomini illustri che hanno incontrato sulla loro strada Augusto. Grandi poeti, Virgilio, Orazio, Ovidio, un tal Cicerone che non necessita neanche di presentazioni, storici come Livio.
Però in mezzo a guerre, congiure di palazzo, cerimoniali e riti pubblici, mi hanno colpito momenti secondari. L'incontro con la vecchia balia, l'addio alla figlia Giulia, il dolore per la perdita degli amici d'infanzia.

E se la parte centrale mi aveva coinvolto un po' meno, il finale con il racconto degli ultimi giorni del protagonista, raccontati da lui stesso per quello che crede l'ultima persona di cui ha ancora un buon ricordo è notevolissima.

Oltre a consigliare a mia volta, concludo con un plauso alla scrittura dell'autore. Si legge con piacere, cosa che aiuta non poco chi tenterà l'impresa.

Grazie Vince,!
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È un piacere, mon ami!



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Mi limitavo ad amare te. Un affermazione che pare chiudere l'orizzonte, porre un limite; o, forse, più precisamente, circoscrivere uno spazio di autosufficienza: dentro questa bolla non ho bisogno d'altro, non voglio altro. Il resto può stare fuori.

Scrivevo tempo fa di aver affrontato la lettura di "Come d'aria", il romanzo vincitore quest'anno dello Strega, attratto dal tema del libro e incuriosito dalla recensione letta che accusava i cinque finalisti di essere accomunati da una sorta di compiaciuta estetica del dolore individuale, e di tralasciare ogni analisi sociale, ogni dimensione sociale della letteratura. Visto l'esito della prima lettura ho proseguito, affrontando ora il romanzo che più le ha conteso il premio.

Ancora una volta apparenza e realtà confliggono: sin da quel titolo così definitivo, il romanzo di Rosella Postorino sembra dar ragione all'accusa; e a una lettura del racconto nella sua essenzialità di fatti narrati in sequenza, di vite snocciolate di trauma in trauma, di dolore in dolore, di strappo in strappo, la storia di Danilo, Nada e Omar - e con loro delle altre figure del romanzo - va a comporre un percorso di esistenze accidentate e incidentate, slabbrate, recise, violentate. Un'antologia di esistenze interrotte e poi riprese, compiute a tappe mai scelte in autonomia, senza mai poter procedere diritti; esistenze inevitabilmente reclusive - non solitarie; bolle individuali.

Questa apparenza è senz'altro vera, come è vera del pari una ricercatezza letteraria che mette per così dire in bella posa gli orrori vissuti e provati dai protagonisti. Vera ma anche ben lontana dal rappresentare il senso e la sostanza del racconto; vera come è vera la copertina di un libro: poi il libro va aperto, le sue pagine lette, fino alla fine.

"Come d'aria" era un breve memoriale più che un'opera narrativa; "Mi limitavo ad amare te" è un vero e proprio romanzo: le due opere sono molto diverse e lontane nella forma e negli intenti; la maggiore ricercatezza letteraria della seconda - l'estetica del dolore del recensore insoddisfatto - non è un difetto, è anzi un pregio benaccetto che non toglie nulla all'immediatezza dell'orrore che troviamo tra le sue pagine se non, forse, la retorica di un iperrealismo che vorrebbe che la fotografia sia sempre più "vera" della rappresentazione pittorica. Certamente vi sono pagine meno ispirate, nelle quali Rosella Postorino cede a una oleografia del dolore, ma sono poche, perfino eccezionali, e non intaccano l'unità di una narrazione vigorosa che si fa strada nell'anima del lettore anche, e non poco, per la capacità che la sua lingua ha di descrivere con compassione autentica le vicende di vent'anni di vita dei protagonisti.

Attraverso il racconto delle vite dei suoi protagonisti, in particolare Danilo, Nada e Omar, "Mi limitavo ad amare te" fa entrare il lettore negli effetti del più distruttivo evento collettivo e sociale "inventato" dall'uomo, la guerra, sulle esistenze di individui qualunque, individui che in qualunque momento potremmo essere noi o i nostri cari. Lo sguardo di Rosella Postorino è senza dubbio centrato sui suoi protagonisti, sulla loro lotta animale, ciascuno nella propria solitudine, per non soccombere a un meccanismo innescato da eventi fuori dal controllo di piccoli individui e che, una volta innescati, nessun piccolo individuo può fermare in alcun modo; eppure quello sguardo va molto oltre le esistenze individuali dei tre ragazzini profughi da Sarajevo che approdano nell'Italia degli anni '90 dello scorso secolo e che in quella Italia cresceranno con tutte le loro ferite vive, talvolta cicatrizzate ma molto più spesso infiammate e infette. La guerra è un fenomeno dirompente quanto nessun altro che sia causato dall'uomo, ed è fenomeno che coinvolge la società a tutti i livelli, fino alle minute esistenze di ogni vita toccata e, troppo spesso, lacerata se non distrutta. Danilo, Nada e Omar sono tre individui, e tre tentativi individuali di difendersi dalla guerra, ma sono anche rappresentativi, insieme a molte altre figure del romanzo, di quello che è l'effetto sociale a volte più trascurato delle guerre: le esistenze dei minuti individui che vengono spazzate via, o magari solo irrimediabilmente spezzate: quell'unica esistenza su cui può contare un minuto individuo. Vi è poco di estetizzante nel rammentare un disastro epocale al quale abbiamo assistito, tra sbigottiti e impotenti - ma pur sempre a distanza di sicurezza - quasi sempre attraverso narrazioni di circostanza e, queste sì, compunte e compiaciute nel costruire una sorta di Harmony della bruttura. Vi è poco di estetizzante soprattutto nell'aver accorciato la distanza tra gli eventi e lo spettatore/lettore: Danilo, Nada e Omar pongono il lettore di fronte a quello che la guerra fa non ai "profughi", alle "vittime", ma a un vero essere umano il cui peggior destino potrebbe essere la sopravvivenza. Rosella Postorino infrange il rassicurante diaframma hollywoodiano dell'informazione e permette ai suoi protagonisti di parlare al lettore in rappresentanza di vittime autentiche; e che sappia farlo con eleganza è, come detto, un pregio.

Là dove l'apparente visione individualistica è definitivamente ribaltata è in quella chiusa che opera infine la sintesi del racconto, inseguita ma elusa lungo tutto il suo snodarsi, e ne svela il senso più autentico; se presi singolarmente, reclusi nel loro dolore privato, atomizzato, Danilo, Nada e Omar non fanno che dibattersi negli spasmi di un passato che non si fa dimenticare perché non si può dimenticare, che li rende infelici anche quando sono felici, uno spiraglio si apre invece nel momento in cui essi smettono di essere le tre monadi dolorose osservate nel romanzo e sembrano trovarsi davvero per la prima volta, porre le basi per quel costituente primario della società, il suo mattone elementare: la famiglia. Nata dal caso e dalle sofferenze, che infine ciascuno riconosce e accetta nell'altro, ma accolta per scelta consapevole.



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Ho ancora qualche debito scolastico da estinguere e per questo mi sono letto La mandragola del Macchiavelli.
Devo dire che l'invito alle lettura del mio prof di storia era valido, perché mi sono davvero divertito con questa commedia cinquecentesca.

Profondo conoscitore dell'animo umano e del suo tempo, Macchiavelli ci mostra in fondo che non è cambiato molto.
C'è il gonzo "cornuto" e contento, il ruffiano provvisto di cervello, il religioso interessato solo al vile denaro.
Mi è piaciuto molto il personaggio di Lucrezia. Donna di sani principi, fedele verso un marito che non se lo merita. Capita l'antifona diventa padrona del suo destino.

Soprattutto è spassoso il linguaggio comprensibile senza neanche leggere le note a margine, salvo pochi casi.

Avevo degli ingiusti pregiudizi...
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Riletto dopo tanti anni Marcovaldo del sempre ottimo Calvino.
Ne avevo un ricordo sbiadito delle medie (o della quinta elementare) e l'unico episodio che mi era rimasto in mente è Luna e Gnac in cui mi ritrovavo. Il firmamento "a tempo" l'ho vissuto anch'io. Semmai nella versione peggiore, perché si e no potevo gustarmi qualche stella di prima grandezza e poco più a causa dell'inquinamento luminoso.
Fatta questa premessa, ho trovato il libricino caruccio. Le (dis)avventure del protagonista e della sua famigliola stimolano l'empatia di chi come me ha vissuto quasi nelle stesse condizioni. Ci si rivede anche se il decennio non è lo stesso.

Letto ora mi è sembrato un lavoro minore del grande scrittore, pur tuttavia ha i suoi pregi. D'aver fissato un periodo ormai perduto della nostra storia italica, quella dell'emigrazione che non fu solo dal sud al nord. Il travaso avvenne dalle affamate campagne (e da colline e montagne) alle metropoli. Lo spaesamento e la ricerca di nuove radici, mentre la povertà era l'unica cosa che restava comune, prima e dopo.

Chissà se oggi Marcovaldo è ancora capace di guardare il mondo con innocenza oppure è finito anche lui a maledire i padroni del cani perché non puliscono le deiezioni e a trovare i poveracci in arrivo da Libia e Tunisia invasori da ricacciare a pedate.

Il mondo è cambiato e non in meglio....
[Modificato da BertAdams 09/10/2023 12:37]
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Ho letto "Cafè Royal" di Marco Balzano, autore che aveva vinto il Campiello nel 2015 con "L'ultimo arrivato" ed era arrivato secondo al Premio Strega nel 2018 con "Resto qui".
Questo è un testo molto più semplice: una raccolta di 18 racconti esile (120 pagine) ambientata debolmente ai tempi della pandemia (disturbante) e retta da un vago sentore di filo conduttore simboleggiato dal bar che dà il titolo all'opera.
La scrittura è mediamente gradevole, con qualche punta, ma non convincono alcune scelte lessicali: l'anziana Betti che parla in modo molto sgrammaticato o la giovane e colta Barbara che adotta il termine "esultazioni", letterario, mi lasciano un percepito di falsità stucchevole.
L'alternanza di prima e terza persona (Manuel utilizza addirittura la seconda, ma non nella descrizione di un'azione, bensì solo per rivolgersi all'amico Luca che lo sta ascoltando fuori campo) modifica la percezione di immersività del lettore nel testo.
A livello di tematiche, l'opera tratta di incomunicabilità, di tentativi vanificati di relazionarsi col prossimo e rende bene il senso di frustrazione che accompagna pressoché tutti quanti i protagonisti del libro.
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Ho letto Grande meraviglia, l'ultimo libro di Viola Ardone.
L'autrice avrebbe tutto per irritarmi: scrive per La Repubblica e L'Espresso, si era espressa su temi che giudico di scarso rilievo e alcune delle sue posizioni femministe, in particolare quando parla dei maschi, mi irritano un poco.
Però sa scrivere e lo dimostra anche in questa sua opera, che è inizialmente ambientata all'interno della sezione femminile di un manicomio agli albori dell'avvento della Legge Basaglia.
Il libro presenta una forte contrapposizione tra i due personaggi principali: la giovane Elba, nata e cresciuta fra quelle mura e Fausto Meraviglia, dottore basagliano convinto che giungerà all'istituto in cui Elba è ricoverata con sua madre.
Grande meraviglia è ben scritto e presenta diversi passi che sono delicati e significativi. Il lessico è chiaro, la lettura scorrevole. Molto più riuscita lei di lui, in verità.
La trama non è piana perché le quattro parti in cui è suddivisa l'opera giocano su rimandi e salti temporali di quasi trent'anni in avanti o indietro, alternando il 1982, il 1989, il 2020.
I dialoghi sono mediamente buoni e non risultano riusciti solo in qualche sporadico caso che soddisfa molto meno (tipo nel confronto tra Fausto e la sua ex moglie Elvira).
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Mi mancano poche pagine di Edipo a Colono per terminare la lettura di tutte le tragedie di Sofocle.

Se me l'avessero detto quando ero sui banchi di scuola che leggere dei testi così lontani nello spazio e nel tempo sarebbe stato entusiasmante, è probabile che non ci avrei creduto. Neanche a pagamento mi ci sarei messo.

Invece dopo l'Orestea ho scoperto che sti greci avevano qualcosa di importante da raccontare e lo sapevano fare bene.
E devo dire che il piacere è stato di gran lunga superiore a qualsiasi previsione.
Se alcune sono state "solo" interessati - e dici poco - altre sono davvero notevoli.
Su tutte spiccano due capolavori immortali della letteratura, ma dovrei dire teatro, di tutti i tempi: Antigone e Edipo Re, tra l'altro legate tra loro.

Sono famosissime e non è necessario spiegare il perché, ma questa giovane donna e quest'uomo sono davvero dei personaggi "che bucano lo schermo".
Lei si sacrifica per ciò che ritiene giusto andando contro una decisione crudele fatta valere con la forza del potere e della prepotenza, l'altro affronta un destino terribile sprofondando in un abisso inimmaginabile.
Entrambi riescono a far provare sensazioni d'empatia, di dolore vivo, di commozione.
E i racconti che narrano le loro vicende sono così appassionanti che non lo diresti mai che sono stati scritti per spettatori di secoli fa, mentre sembrano così incredibilmente moderni.

Detto con una parola: imperdibili.

E meno male che su quei banchi non mi è stato detto di studiarli, che finivo per rovinarmi quest'esperienza...
[Modificato da BertAdams 12/12/2023 19:32]
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Re:
Carlo Maria, 04/11/2023 23:41:

Ho letto Grande meraviglia, l'ultimo libro di Viola Ardone.



Dopo tre mesi, sono tornato a quest'autrice e ho letto Oliva Denaro, ritrovando lo stesso piacere che avevo provato durante la lettura di Grande Meraviglia.
La scrittura della Ardone è rigogliosa, ricca di descrizioni minuziose e anche originali.
I personaggi sono ben delineati, anche nei meccanismi psicologici di autodifesa e autogiustificazione.
Il nome della protagonista, Oliva Denaro, è l'anagramma di quello dell'autrice.

SPOILER

Il libro è ambientato in epoche diverse, ma tutto il fulcro del racconto è situato temporalmente negli anni Sessanta.
Nuovamente il tema principale del romanzo è la violenza di genere: ove Grande Meraviglia si concentrava su quella psicologica, Oliva Denaro lo fa su quella fisica.
Da uomo è un libro con pagine dure da mandare giù e in cui si fa fatica quasi sempre a trovare personaggi in cui immedesimarsi. Esistono anche personaggi maschili positivi, ben inteso, ma sono ben riconoscibili spesso fin da subito per le proprie fragilità ed anche questo aspetto mi riporta a una visione ideologica femminista ben precisa e che mediamente rigetterei.
L'autrice è feroce anche nei confronti delle donne, ma è una forma diversa di severità: ove gli uomini vengono descritti nei propri comportamenti e nella libertà che la legge e i costumi consentono loro, le donne vengono stroncate per l'assenza di solidarietà e per i meccanismi mentali di accettazione e avallo dello status quo.
Nel complesso, la Ardone presenta una scrittura ideologica molto schierata che trova la propria ragion d'essere nell'estrema piacevolezza del proprio stile narrativo.
Ho delineato quegli aspetti denudati che ritengo essenziali nella visione della scrittrice, ma il resoconto che ne esce non rende merito nei confronti della prova letteraria, che come ho detto all'inizio della disamina è rigogliosa e presenta guizzi.


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Un paio di settimane fa ho letto "Attaccamento e amore", testo di Grazia Attili che mi ha fulminato.
Il testo è un saggio breve (137 pagine) in cui l'autrice, psicologa sociale, basandosi su una dichiarata visione neodarwiniana, analizza i comportamenti maschili e femminili come basicamente influenzati da logiche finalizzate alla prosecuzione della specie (anche laddove la coppia non intenda avere figli oppure sia composta da individui omosessuali) e presenta le strategie riproduttive differenti dei due sessi; negli ultimi due capitoli, a mio parere interessanti, ma meno efficaci, illustra tipologie esemplificative di coppie funzionali e disfunzionali.
Fra quelle pagine non vi è nulla che mi dovrebbe sorprendere perché sono ben consapevole di quanto scrive ed il linguaggio adottato è affine alla mia sensibilità, ma è risultato comunque addirittura dirompente, al punto di privarmi del sonno per svariati giorni in quanto mi ha stimolato connessioni mentali e causato riflessioni e rivalutazioni piuttosto significative, insomma... quasi fosse una sorta di Flatlandia, ho superato i confini di quanto mi veniva presentato e ho cominciato ad utilizzare tale prospettiva per valutare tutta una serie di rapporti e relazioni umane che il libro non tiene in considerazione ed è stata una prova forte a cui mi sono sottoposto, differente dalla solita analisi di classe in cui cerco di calare i rapporti di forza.

In età adulta non mi era in effetti mai più capitato che un libro mi desse addirittura gli incubi. 😱
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Puoi elaborare un po' di più? Perché scritto così non capisco che altre relazioni e rapporti hai considerato in questa "nuova" ottica, né perché l'effetto sia stato tanto dirompente.



V.

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"Ahi serva Italia, di dolori ostello
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie ma bordello"

Settecento anni e non è cambiato un ca**o
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