| | | OFFLINE | | Post: 961 | Giudice***** | |
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10/06/2023 11:28 | |
SEZIONE PER LE SCHEDE DEI PERSONAGGI Jonah il Crisantemo Nome: Jonah il Crisantemo
Descrizione fisica: Jonah è un uomo che passa difficilmente inosservato. Alto, decisamente alto, e benedetto da un fisico muscoloso, ma asciutto e scattante. Una disordinata zazzera di capelli castani gli ricade sul viso fin quasi a oscurare i suoi occhi. Di un verde chiaro, che tuttavia non esprime vitalità ma anzi sono spesso appesantiti dal fardello che tormenta la sua anima: la tristezza. Non essendo ancora insignito del titolo di Paladino della Chiesa di Shuva, il suo abbigliamento è ordinario e datato. Una lunga e rattoppata veste blu lo copre da capo a piedi. Sopra di essa, indossa un pettorale a piastre visibilmente ammaccato in più punti e per buona metà ricoperto di ruggine. Pezzi di armatura palesemente raccattati per strada e male assortiti gli forniscono una tutto fuorché valida protezione sulle braccia e le gambe. Sulla destra, nell’incavo tra la spalla e il collo, per buona parte nascosto dal tessuto e l’acciaio dell’armatura, s’intravede quella che sembra essere un’enorme voglia. Difficile tuttavia indovinarne la forma: chiunque la guardi, ne fornisce una descrizione totalmente discordante rispetto alle altre; quasi che essa cambi fisionomia a seconda di chi sia l’osservatore…
Il carattere: Sebbene all’apparenza possa sembrare un uomo genuinamente innocente e facile da ingannare, Jonah è un uomo dalla spiccata intelligenza emotiva. Riesce a leggere nel cuore delle persone. E può darsi che sia proprio questa la peggiore causa della sua infelicità. Perché è un uomo buono, spaventosamente consapevole della malasorte che lo insegue ovunque vada e dell’effetto che essa genera, in primis nello sguardo di chi lo circonda (che sia di cattiveria, disprezzo o sofferenza). Crescendo, si è chiuso in un guscio fatto di timidezza e insicurezza; forse è per questo che non può fare a meno di essere gentile con chi osa sfidare questa maledizione cercando di diventare suo amico. Nonostante tutto, Jonah ama il prossimo più di sé stesso. È nella sua natura. Lo dimostrano le innumerevoli cicatrici che solcano il suo corpo e le altre, più profonde ed emotive, che continuano a lacerare la sua anima in perenne calvario. Perché più una persona sarà benevola nei suoi confronti, più, e lui lo sa, prima o poi andrà incontro a una terribile sciagura. E lo maledirà per questo…
Classe: Non avendo ancora ricevuto gli “stracci sanguinanti di Shuva” (un indumento consunto benedetto da una goccia del sangue ribollente del profeta, che ogni paladino si lega intorno al collo come un foulard), Jonah non può ancora usare i miracoli della Fiamma Purificatrice. È un discreto combattente con la spada, la mazza, la lancia e lo scudo, e può utilizzare le preghiere rituali per benedire i suoi compagni. O almeno, quella sarebbe l’idea: per uno strano scherzo del fato, almeno una volta ogni tre preghiere le benedizioni di Jonah hanno delle controindicazioni. Alcune di lieve entità, altre… proprio spiacevoli.
Lore: Come soldato di fanteria della Chiesa di Shuva, il padre di Jonah era un eroe del suo villaggio natio. Un uomo apprezzato e amato. I doveri verso la Chiesa e le innumerevoli missioni e le ronde notturne contro le forze demoniache lo tenevano spesso lontano da casa. Ma quando faceva ritorno, aveva sempre una nuova storia da raccontare e Jonah aveva imparato a contare i giorni che lo separavano da quando avrebbe ascoltato prossima; quei momenti, passati con la sua famiglia intorno al fuoco del camino, sono quelli che tutt’ora ricorda con più piacere. Quando suo padre morì in battaglia, Jonah era poco più che un bambino. Tuttavia grande abbastanza da fare sue quelle storie, covando in segreto la voglia di diventarne il protagonista e, come suo padre, di essere circondato dai volti sorridenti e grati di amici e famigliari. Jonah badò alla famiglia. Lavorò sodo e si allenò per diventare un guerriero. Finché questa bontà, questi suoi sogni, questa brama di diventare un vascello della Fiamma Purificatrice, nell’alba della sua adolescenza furono colpiti da due terribili disgrazie: una strana voglia sul collo; un demone, ferito ed errante. Una creatura di cui Jonah non riuscì a comprendere la natura. Una creatura che medicò in gran segreto personalmente, guadagnandosi… il suo amore incondizionato. I demoni sono creature maligne. Anche quando vengono colte da un sentimento così puro e innocente. Il demone (a scelta se maschio o femmina) cominciò a seguirlo da lontano. Non ha il coraggio di dichiararsi, ma talvolta l’invidia che prova vedendo Jonah interagire con gli altri è causa di alcuni “incidenti” e dispetti verso i vari malcapitati; che, ignari, attribuiscono il più delle volte la colpa all’aspirante paladino. Che sia o meno una coincidenza non è dato saperlo, ma da quando Jonah curò quel demone la sfortuna non fa altro che perseguitare lui e chi vorrebbe proteggere. Le conseguenze possono variare: da quelli che potrebbero essere definiti dei semplici dispetti a un gamba rotta, da vere e proprie tragedie, massacri, fino a scadere nel ritrovamento di cadaveri e tracce di rituali esecrabili compiute ai loro danni. Tra i paladini ha iniziato a diffondersi la diceria che Jonah sia perseguitato dalla malasorte, tanto che essi e la gente del volgo hanno cominciato a tenersi alla larga. Persino i suoi superiori, soprattutto i superstiziosi, valutano queste coincidenze come un segno inequivocabile che lui non è pronto per il grande passo. Per quanto sia evidente che Jonah ha completato il suo addestramento, da anni, inventano sempre una scusa per tardare la prova finale che lo renderà a tutti gli effetti un paladino della Chiesa. Alcuni vaneggiano che la sua disgrazia possa contaminare il sangue del profeta e l’hanno trasferito di sede per non prendersi la responsabilità. Altri, più lucidamente, attribuiscono queste coincidenze alla sua “goffaggine” con le benedizioni e lo esortano a perfezionarsi. Altri ancora, beh, sentendo ciò che si racconta, hanno cominciato a credere a questa o quella versione e si sono dimostrati altrettanto intransigenti e disposti a trasferirlo in altre caserme. È solo una voce, per ora, ma si mormora persino che i suoi superiori ci tengano ad affidargli delle missioni sempre più impegnative. Nella speranza, chissà, che la sua esuberanza nel voler proteggere il prossimo a tutti i costi gli faccia compiere finalmente un passo falso, liberandoli dall’imbarazzo di decidere cosa farne di lui e della sua strana voglia. Che, inevitabilmente, è spesso al centro delle dicerie sulla sua malasorte.
Aspirazioni: Proteggere e accudire i più deboli e gli indifesi, come faceva suo padre. Con la propria spada, con il proprio coraggio. È disposto a farlo finanche a sacrificare il proprio corpo.
Abitudini: Spesso appoggia le dita o si gratta la voglia vicino al collo, quando nessuno lo guarda. Quando la sua mente rievoca all’improvviso un brutto ricordo, può capitare che Jonah avverta una specie di scossa proprio in quel punto.
Equipaggiamento: Finché non diventerà a tutti gli effetti un paladino, tende a tenere da parte le protezioni in cuoio rinforzato e l’armatura completa dei paladini, un tempo appartenuta a suo padre. A meno che non sappia di dover affrontare una sfida al massimo delle sue possibilità. L’armatura che indossa, invece, è un reperto trovato in gioventù, appartenente a un antico campo di battaglia che aveva esplorato insieme a degli amici. Possiede un spada a doppia lama ma, quale apprendista della Chiesa, può avere accesso all’armeria della caserma e scegliere tra un modesto assortimento di armi bianche.
Pyronyxious ver Donar Sulfura Solarynth Nome: Pyronyxius ver Donar Sulfura Solarynth. Per abbreviazione: Pyron… oppure Pyra.
Descrizione Fisica: Pyronyxius è un drago di fuoco, enorme e magnifico, dalle cangianti scaglie color porpora e oro dure come la pietra. Quando si muove, sembra che le fiamme danzino ammalianti intorno al suo corpo aggraziato. Braci ardenti sprizzano costantemente da lui, esaltando il colorito delle sue scaglie tanto da creare l’illusione che lo avvolga un’aura bruciante, facendolo brillare più del Sole stesso.
Una creatura leggendaria.
Quando si avventura lontano dalla sua remota terra natia, vaga per il mondo assumendo sembianze antropomorfe per non farsi riconoscere. Di un avventuriero. A volte maschio, a volte femmina. I draghi, si sa, non hanno un sesso definito. Ai draghi non serve averne uno. Secondo le leggende, quando assumono le spoglie di un’altra razza il loro aspetto ne riflette la vera essenza. Feroce, terribile; nel caso dell’umanità, un aspetto mai splendido, ma neanche privo di grazia. Poiché gli uomini sono perenne in bilico su un filo sottile, soldati in una guerra infinita tra la parte più oscura e la luce interiore che brilla dentro di loro.
Il carattere: Secoli di vita hanno spento la curiosità che aveva quand’era un cucciolo, ma gli hanno donato saggezza e un innato spirito di osservazione. È stato testimone di enormi mutamenti nella cultura e nel cuore delle genti che popolano il continente di Bolsera. Talvolta repentini, talvolta lenti fino ad essere quasi impercettibili, e ha imparato a navigarne le correnti del tempo mantenendo intatto il suo carattere allegro, e un immancabile sorriso sornione, di chi sa vivere il momento.
Ha imparato ad apprezzare elfi e umani - la maggior parte, almeno - e non fa mai loro del male senza una valida ragione. Solitamente presta aiuto a chiunque si trovi in difficoltà e prova piacere nel mischiarsi tra la gente, provare le loro stesse pulsioni, così lontane dal mite concetto della vita di un drago. Tuttavia, quale che sia la sua forma, quando la situazione lo impone sa essere risoluto e spietato.
Non è insolito che si faccia coinvolgere in bevute o in feste di paese, ma, nelle rare occasioni in cui i ricordi del passato si fanno più vivi, diventa silenzioso, si chiude in se stesso e preferisce non avere contatti con nessuno.
Abilità: Quando non è in forma di drago, la sua pelle è indistinguibile al tatto da quella di un qualunque uomo od elfo, ma allo stesso tempo è troppo dura perché delle armi convenzionali possano scalfirla. Per ovviare al problema è specializzato in incantesimi capaci di autoinfliggere delle ferite, per simulare lesioni e macchie di sangue. E pur di evitare di ricorrere a questi trucchi, ha sviluppato un personalissimo stile di combattimento, agile e preciso, che gli consente di neutralizzare anche un'intera banda di banditi senza venir toccato.
Non ama recitare la parte del mago. E anche se, nella sua forma antropomorfa, ha la capacità di evocare incantesimi di fuoco di altissimo livello, molto raramente ricorre alla magia. Possiede vaste conoscenze nel campo della medicina, della storia e di ogni altra materia nella quale gli eruditi delle varie epoche in cui ha vissuto lo hanno istruito. Un bardo gli insegnò persino a suonare il liuto, alle cui note spesso accompagna la sua voce chiara e cristallina. L'alcool non ha il minimo effetto su di lui.
Ha un’innata percezione di tutto ciò che è magico. Difatti la magia, per lui, emana un odore caratteristico e proprio tramite l’olfatto sa sempre se un mago o un'arma incantata sono nelle vicinanze, oppure una qualche creatura pregna di potere magico.
Classe: Ranger. Combattente in grado di passare rapidamente dalla spada alle armi a lungo raggio. La sua competenza con le armi bianche è tale da potersi destreggiare in mischia come un guerriero navigato. Le potenti magie del fuoco che può evocare, la capacità di trasformarsi, sono caratteristiche razziali.
Lore: In un’epoca ormai remota, si narra che i draghi fossero colonizzatori ed eroi. Gli affreschi e i racconti che sono sopravvissuti anche in epoca moderna accostano queste creature a uomini, e donne, le cui gesta sono leggendarie. Alcuni li cavalcavano, altri guidavano contro di loro interi eserciti. Diventavano re o tiranni, Dei in terra, martiri, leader che sobillavano interi popoli alla ribellione.
Leggenda vuole che l’antica razza dei Dragonidi, imponenti uomini-rettile dalle scaglie rigogliose, fosse la progenie dei draghi e delle altre razze del mondo. Vissero insieme ai loro genitori alati in una remota terra all’estremo Nord, sede del più vasto impero che si fosse mai visto. Influente e capace di potenti magie e mirabolanti opere d’ingegno. Tuttavia, come i draghi che assumendo la forma di un’altra razza ne assorbono anche l’indole, si narra che i Dragonidi ereditarono il temperamento della razza dei genitori e per questo non furono mai un popolo unito. Il loro impero si sgretolò dopo una guerra civile durata centinaia di anni, che segnò la vita di innumerevoli popoli innocenti. Una guerra che si concluse con la distruzione totale dei Dragonidi, e l’annientamento della terra natale dei draghi.
Gli studiosi definiscono quell’epoca l’Era del Crepuscolo, fonte di indiscutibile fascino per chi ama la storia… e d’odio, per coloro che avevano sofferto.
Poi arrivò l’Era della Notte e dei demoni. Ai draghi, specie per quelli dalla pelle purpurea con riflessi d'oro, simbolo di nobiltà, fu data la caccia sistematicamente e con ferocia degli altri. Poiché solo il fuoco di un drago può uccidere un drago, e le scaglie che coprono il loro corpo sono fuoco puro. Tramite esse, si possono forgiare armi incantate e artefatti dagli strabilianti poteri magici, ma anche filtri e pozioni dagli effetti incredibili ancora in uso tra i cacciatori di demoni. Beni tutt’oggi appetibili e di grande valore nei mercati neri di tutto il continente.
Pyronyxius ver Donar Sulfura Solarynth fu testimone dell’estinzione della sua razza, di cui si ritiene essere l’ultimo superstite. Si ritirò per anni in esilio tra le rovine della sua terra natia, dove covò un odio profondo verso i cacciatori di draghi e i loro popoli; ancora oggi, la vista di una delle armi leggendarie, bagnate del sangue della sua genia, riaccende nel suo sguardo una scintilla di odio allo stato puro.
Ma il tempo, a quanto pare, riesce a consumare anche i sentimenti più torbidi. Quando decise di visitare quel mondo, che per tanti anni aveva visto con disprezzo e timore, i draghi erano già diventati una mera leggenda, anche per gli elfi. E il drago scoprì di non serbare astio nel proprio cuore, ma un’irrefrenabile curiosità verso quegli esseri minuscoli e per le loro diversissime tradizioni.
Ancora oggi non dimentica mai di essere diverso e saggiamente si tiene alla larga da chiunque pratichi la magia, temendo che la loro sete di conoscenza e della storia possa riesumare fatti che il tempo ha seppellito, ma mai cancellato del tutto. Evita persino di usare incantesimi, quando qualcuno potrebbe notarlo; perché i maghi sono esseri affamati di sapere e sempre pronti a confrontarsi, o rubare, anche con gli occhi, le tecniche altrui.
Aspirazioni: Nessuna. Ha visto le spoglie di troppi dei suoi simili per pensare che vi sia nel mondo un altro drago col quale generare una discendenza (Non hanno sesso, ma devono comunque essere in due per procreare).
Abitudini: Da solo o in compagnia, è sempre in movimento. Ha un debole per le razze che, siano motivi religiosi o legati ad interessi commerciali o al bracconaggio, rappresentano una minoranza a rischio di estinzione. Naiadi, ondine, driadi, strigi, lupi mannari o altri esseri, considerati dagli adoratori di Dei dei mostri da catturare o uccidere. La sera ama suonare, cantare, bere e ballare, e non disdegna neppure le partire a carte o a dadi, a patto che la posta non sia troppo alta.
Quando gli è impossibile intervenire, manifesta la sua impotenza inconsciamente, digrignando i denti o portando la mano sull'elsa, oppure serra le dita rompendo ciò che stringe o ancora sferra un pugno capace di abbattere un grosso albero.
Equipaggiamento: Uno stocco di ottima fattura, con un’elsa e un fodero consunti e disadorni, indegni di un’arma di tale rarità. Una raffinata ed efficace arma a corda ( ciascuno è libero di scegliere se una balestra, un arco, un rampino... o qualcosa di più elaborato), antico retaggio della sua terra natia.
Dandaelyon Elen'varr Nome: Dandaelyon Elen’varr (Dandaelyon significa “amato da Dandae”, che è uno spirito protettore per i pagani)
Descrizione: Dandaelyon ha circa 35 anni, ma a giudicare dall’aspetto può essere scambiato facilmente per un uomo più vecchio. Il suo viso è segnato dal tempo, è indurito, la pelle quando riflessa dai raggi del Sole sembra fatta di cuoio. È alto quasi due metri, robusto, la muscolatura definita di chi ha vissuto per tutta la vita nel rigore marziale. Eppure, nonostante passi la maggior parte del tempo sotto al Sole cocente, la sua carnagione mantiene un colorito insolitamente chiaro. Ha dei foltissimi capelli color mogano, lunghi fino alle scapole, sempre rigogliosi e puliti. È solito tenerli legati in una coda, liberando il suo tratto più disorientante e caratteristico: due grandi occhi cerulei, morbidi e acquosi, che insieme al suo naso, pur dritto, stonano con i tratti duri del suo viso. Impresso a fuoco per l’intera della sua schiena c’è il simbolo degli Zeloti della Purità: due spade incrociate avviluppate da una catena; su tutto il resto del corpo, numerose cicatrici sparse, frutto di innumerevoli battaglie. Indossa sempre abiti da viaggio comodi, dai colori chiari, e un pesante mantello grezzo con cui si protegge dalle intemperie.
Carattere: È una persona metodica e ligia al dovere. Non agisce mai senza pensare e non è disposto a scendere a patti con la fretta; sarebbe capace di lasciare che un masso gli piombi in testa, piuttosto che lasciarsi prendere dalla frenesia. La sua militanza nei Tumulatori ha acuito questa sua indole, rendendolo al contempo più resiliente. E meno propenso a farsi degli scrupoli, pur di perseguire gli scopi che per lui sono prioritari; non è una persona crudele, non ama fare del male se non è necessario, ma potrebbe diventarlo se lo ritenesse necessario. Nonostante sia stato addestrato al combattimento, ha imparato che non sempre il conflitto è la soluzione più efficace. Come membro di un ordine religioso che segue gli insegnamenti della Dea Shuva, gli è stato insegnato che la resistenza e la fede sono le radici che sostengono un animo puro. Se una solo vacillasse, ebbene la quercia perderebbe il suo equilibrio interiore, o i suoi nutrienti. Difficilmente perde la pazienza, ma quando succede gli altri Zeloti vedono spesso in lui l’incarnazione stessa dell’Entità, e del peccato. Perché la sua è una rabbia “fredda”, priva di compassione e di qualsiasi altro freno emotivo, caratterizzata da una abominevole lucidità. Non va molto fiero di questi episodi e prova sempre una profonda vergogna, quando realizza che cosa ha fatto… Tende ad avere un approccio cordiale con chi non ritiene una minaccia, per via dell’educazione che ha ricevuto tra gli Zeloti della Purità. È stato indottrinato per essere una persona devota, perciò crede sinceramente nell’esistenza della Dea Shuva. Ciò di cui ha imparato a dubitare, invece, sono i sermoni che per secoli hanno propinato gli Zeloti al resto del mondo. Come può un ordine votato alla purificazione accettare di compiere crimini efferati? Come può la Chiesa di Shuva affermare che la loro comune Dea è stata corrotta e combattere ancora in suo nome contro le forze del male? Cos’è il male? E perché gli Dei non puniscono chi ha la pretesa di dubitare di loro, o peggio di agire in loro vece? Le sue origini pagane erano per lui una fonte di vergogna da cui sente di doversi redimere. Da quando ha scoperto la verità sull’ordine che lo ha cresciuto, tuttavia, tutte le sue certezze sono crollate: si è reso conto di aver sempre vissuto in una menzogna, di aver prestato fede a dei precetti vuoti. I pagani non sono pericolosi, né malvagi come hanno sempre voluto fargli credere. Gli Zeloti non difendono i più deboli ma solo i propri interessi. Ora, Dandaelyon si sente perso, senza scopo. Vaga per il continente cercando di trovare un risposta che possa… redimerlo? E da cosa: dal male che ha fatto come Tumulatore, dalla sua perdita di fede, dai fantasmi delle divinità pagane che hanno da sempre fatto parte della sua storia e che, inconsapevolmente, ha tradito? Cerca di ritrovare un senso.
Classe: Dandaelyon è un combattente che si affida più alla tecnica che alla forza per sopraffare i propri avversari. Per combattere, utilizza la falce, simbolo dei Tumulatori: l’arma a cui è sempre stato addestrato e che padroneggia come se fosse l’estensione del suo braccio. In caso di necessità (come luoghi troppo stretti e angusti per poter maneggiarla agevolmente) utilizza dei pugnali. È bravo ad arrampicarsi, sgusciare tra gli anfratti e nascondersi tra la folla, frutto dei suoi allenamenti da assassino che l’hanno reso un prodigio in atletica. È anche un ottimo conoscitore della cultura e dei rituali pagani, ed è esperto di religione in generale.
Lore: figlio di Irina di Uthrad (pagana) e Ladan Elen’varr (famoso membro dei Zeloti). I due innamorarono durante la permanenza di Ladan, mentre questi costruiva un tempio per convertire il villaggio. Irina e Ladan mantennero segreta la loro relazione, poiché la convivenza tra abitanti di Uthrad e Zeloti era tesa; anche quando Irina rimase incinta, non hanno mai rivelato ad anima viva chi fosse il padre. Dopo tre anni dalla nascita di Dandaelyon, le tensioni raggiunsero l’apice sfociando in una sanguinosa battaglia. Gli abitanti di Uthrad, stanchi dell’oppressione, insorsero in massa e Irina si schierò a fianco del suo popolo. Ladan ne rimase ovviamente ferito. Credeva che la sua amata prima o poi si sarebbe avvicinata alla luce di Shuva. Il loro amore dopotutto era sbocciato proprio per merito della sua mentalità aperta. Fu con il cuore spezzato dal tradimento, che richiese l’intervento dei Tumulatori. Provando un amore sincero per suo figlio, prese con sé il bambino per accoglierlo nell’ordine. Dandaelyon crebbe quindi sotto l’ala protettrice di Ladan, che tuttavia non rivelò mai a nessuno che avevano lo stesso sangue. Il suo nome era sporcizia, un impuro retaggio della sua amata Irina e non aveva la forza di cambiarlo. Col tempo arrivò alla conclusione che il suo cuore non fosse completamente puro, dalla morte di Irina, e per il bene del ragazzo, e suo, quella forma di distacco era necessaria. Lo trattò come un figlio, sempre, ma non avrebbe mai avuto il nome della sua famiglia. Instillò in lui un odio profondo per i pagani, per la madre ingannatrice e infedele, che aveva preferito i suoi Dei vanagloriosi al suo stesso figlio. Dandaelyon introiettò quest’odio al punto da sognare di poter far parte dei Tumulatori. Quando Dandaelyon aveva circa vent’anni, Ladan fu ucciso dai pagani durante una missione di conversione. Rimasto da solo, servì gli Zeloti per altri dieci anni, finché non fu inviato a purificare una città pagana di nome Abihon. L’ordine era di raderla al suolo, come aveva già fatto decine di volta. Una volta giunto lì, tuttavia, Dandaelyon iniziò a intuire che qualcosa non andava: il massacro che stavano perpetrando non era pulito e sistematico come sempre. Era sporco, brutale, e i suoi compagni pervasi da un’insolita… euforia. Nella città, per di più non sembravano nemmeno esserci segni di disordini; a malapena, c’era lo scheletro di un tempio. Persino i bambini venivano massacrati. E per la prima volta, il suo cuore gli impose ribellarsi, di rifiutarsi di uccidere persone chiaramente innocenti. Nel tentativo di proteggere dei bambini durante quel massacro, rimase ferito quasi mortalmente. Quando riprese i sensi, si ritrovò in un rifugio dei pochi superstiti di Abihon. L’anziana sciamana Dahlia gli spiegò che avevano deciso di salvarlo per ripagarlo di ciò che aveva fatto per i bambini, perché avevano visto la compassione e la pietà nei suoi occhi. Gli rivelò inoltre una verità che ha cambiato per sempre tutto ciò in cui credeva: un potente nobile di nome Zol Dan Beck era venuto al loro villaggio, minacciando gli abitanti ad abbandonare subito Abihon. Gli abitanti si sono rifiutati di abbandonare le terre che erano dei loro avi e, casualmente, non molto tempo dopo sono arrivati i Tumulatori. Dei Tumulatori più agguerriti, più cattivi. Dei Tumulatori che non si comportavano affatto seguendo i dettami degli Zeloti. E comprendendo la verità, le certezza di Dandaelyon si sciolsero come neve al Sole: Zol Dan Beck era un noto finanziatore degli Zeloti, e il sospetto che dietro le uniformi dei suoi compagni non ci fossero solo Tumulatori, ma anche sicari pagati appositamente per non lasciare traccia. Non c’era possibilità che avessero quelle armature senza essere notati. Ciò significava che l’ordine era consapevole, e aveva perseguitato, anziché evangelizzare, in nome di interessi che non erano quelli della divinità: l’ordine degli Zeloti era corrotto. Ripresosi dalle ferite, Dandaelyon decise di non fare più ritorno all’Ordine, ripudiandolo per sempre.
Aspirazioni: svelare il vero volto dell’ordine e smantellarlo. Vorrebbe cambiare la visione che il mondo ha delle minoranze pagane, cosicché vi sia una pacifica convivenza. Sa tuttavia che questi desideri sono troppo grandi e irraggiungibili per le sue capacità e le risorse a sua disposizione. Pertanto, finché non avrà trovato uno scopo e un senso alla sua vita, è inutile combattere ideali irrealizzabili nell’arco di una sola vita. Ad oggi, si limita a cercare di ritrovare se stesso.
Abitudini: ogni mattina, si dedica alle preghiere e agli esercizi di meditazione e respirazione dei Tumulatori. Scioglie i capelli solo quando si lava. Quando è nervoso, ha l’abitudine di piegare le labbra in un sorrisetto sghembo.
Equipaggiamento: un’armatura di pelle e la grande falce dei Tumulatori. Due pugnali. Il ciondolo con il simbolo di Dandae (due ali piumate dispiegate con al centro tre lingue di fuoco intrecciate), che Dahlia gli ha donato dopo essere venuta a conoscenza del suo nome, e che lui tiene appeso al collo, sempre nascosto sotto la casacca.
Ceovida l'aviatrice Nome: Ceovida “Ceo” – L'aviatrice
Descrizione: Ceo è una ragazza di diciassette anni. Viene scambiata spesso per un ragazzino. Un fisico magrolino, l'abbigliamento pratico e rattoppato o sporco di grasso e fuliggine in alcuni punti, insieme a un’immancabile giubba un po’ troppo grande per la sua taglia, e due classici occhialoni legati insieme da due cinturini di cuoio. Ha i capelli castano scuro tagliati corti e spesso sono nascosti da un berretto mezzo strappato; a cui tiene molto. Le persone la scambiano per un ragazzo e a lei sta bene così; si viaggia più sicuri. È alta poco più di un metro e sessanta, occhi bruni dal taglio leggermente allungato. La sua pelle è insolitamente chiara, quasi di porcellana, e quando si arrabbia le guance le si tingono di rosso e gli occhi di lacrime.
Carattere: Ceo è il diminutivo di Ceovida, nomignolo che crea spesso confusione essendo un nome maschile. È una ragazza sveglia e sa improvvisare piuttosto bene per uscire dai guai. Sin da bambina la sua passione è sempre stata volare, come i draghi. In alto, su nel cielo, e assaporare quel vibrante senso di libertà che da sempre sogna di provare; un sogno che aveva in comune con suo padre, ex pilota della famosa Divisione Zeppelin. Sa cosa significa dover lottare per la sopravvivenza. Difatti non è una santa, né una persona incorruttibile (per il giusto prezzo, sarebbe disposta a trasportare cerusici o criminali), ma ha ancora un’anima e non tollera le ingiustizie e i soprusi ai danni dei più deboli. Motivo per cui si ritrova spesso invischiata in affari che non la riguardano. Ma che ci può fare: non riesce a fare a meno di essere sincera… anche quando il buonsenso suggerirebbe di tenere la bocca chiusa. Sarebbe capace di parlare per ORE senza sputare mai per terra.
Classe: Ceo non è un'abile combattente, ma in compenso ha un’ottima mira e dei riflessi più simili a quelli di una bestia selvatica che di un normalissimo essere umano. Suo padre aveva una passione sfrenata per i manufatti dell’antico Impero dei Dragonidi. Dopo essere riuscito a mettere le mani su un curioso strumento, intagliato nel legno e rifinito nell’ambra, ne scoprì la funzione e le insegnò a forgiare i proiettili e come usarlo alla perfezione. (Off-topic: si tratta di una rudimentale forma di pistola. Immaginate l’impugnatura di una balestra attaccata a due canne, di legno placcato in argento all’esterno e letteralmente fatta d’ambra all’interno, con una manovella stile pallottoliere della tombola sopra al punto dove impugnatura e canna si congiungono. Potete decidere voi il numero massimo di piombini di ferro da metterci dentro. Giri la manopola per caricare, i piombini vanno dentro ciascuna canna e, premendo il grilletto nell’impugnatura, un sistema arzigogolato di rune magiche e molle spara il proiettile fuori.) “Per difendersi e cacciare” le aveva detto da bambina, ma finora la giovane non ne ha mai avuto bisogno seriamente. Quando suo padre morì, prese in custodia quell’arma e da allora le tiene sempre con sé, più per sentirlo vicino che altro; o per minacciare qualche esuberante passeggero convinto di poter viaggiare sul suo Zeppelin senza pagare il conto.
Aspirazioni: Ceovida è molto legata agli Zeppelin, che considera quasi come degli amici (a volte ci parla pure, come se fossero delle persone). Ma non sono in grado di appagare quel bisogno di libertà che lei cerca. Lei vuole muoversi nell’aria con l’agilità di un falco e la magnificenza di un drago. Vuole essere il predatore più pericoloso del cielo e seguendo le orme di suo padre vaga per il continente alla ricerca dei manufatti perduti dell’Impero Dragonide. È convinta, come lo era suo padre, che nella conoscenza perduta si celi il segreto per realizzare il velivolo che, un giorno, diverrà il Signore dei cieli. E un giorno, magari, viaggiare fino ai limiti più estremi del mondo. In un luogo così remoto che nemmeno gli strani sogni che fa potranno tormentarla.
Abitudini: Ceo è talmente mattiniera che basta che un raggio di Sole la sfiori per farla alzare di botto. È talmente elettrizzata dall’ignoto e da cosa le aspetta, soprattutto al risveglio, da fare più casino di un gallo; motivo per cui, chi le sta intorno prova l’irrefrenabile impulso di tirarle qualcosa addosso per zittirla; peccato che lei sia così agile da poter evitare persino una freccia scoccata a distanza ravvicinata. Le basta dare uno sguardo al cielo o capire la direzione del vento per sapere che tempo farà. Non sa che ha ereditato dalla madre il potere di sognare il futuro, perciò davanti agli strani “ricordi” che a volte le restano impressi nella memoria al risveglio ci ride su…
Equipaggiamento: Ceo è un’aviatrice della Divisione Zeppelin, come suo padre, e in quanto tale indossa il classico abito del mestiere: una tutta di cotone color cachi scuro, con le maniche lunghe chiusa da una cerniera, dal bacino in su, un po’ troppo grande per lei. Intorno ai fianchi porta una cintura di cuoio, con due fondine nelle quali tiene la pistola e le munizioni, mentre sul dietro pendola un borsellino di stoffa dove ripone le monete e qualche attrezzo del mestiere. Sulla fronte, o appena più su, poggia i suoi due occhialoni da aviatore che le servono per schermirsi dal vento e dal sole quando è in volo.
Lore: Ceovida non è pienamente a conoscenza della sua tragedia familiare. In un’altra vita, sarebbe potuta essere non una principessa ma l’erede al trono di un regno intero! Sua madre, Jovida è la primogenita di re Vinorius II di Saracomea: il regno più a Nord del continente. Durante la festa per il suo quindicesimo compleanno, il re chiamò a corte artisti circensi, giocolieri e artisti per deliziare la famiglia reale. Fu un evento su scala nazionale, a cui partecipò anche il padre di Ceovida. I due conobbero e si innamorarono perdutamente al primo sguardo. Ceobard allora era giovane e promettente pilota della Divisione. Di umili origini, certo, ma il carisma è una dote che il sangue blu non può trasmettere. Era insulso, al fianco di nobili e ricchi mercanti, eppure agli occhi di Jovida appariva un gigante e quella stessa notte Ceobard si arrampicò dentro la stanza della principessa e i due si amarono. Questi incontri clandestini proseguirono per qualche settimana, finché i due non vennero scoperti, e condannati. Nel pantheon venerato dagli Zeloti della Purità, la Dea Shuva gioca un ruolo di primaria importanza. Ma c’è un'altra Dea, soprattutto al Nord, che mantiene un’importanza viscerale con le tradizioni di Saracomea: Leeha, la Dea Folle. La divinità della premonizione e del fato, colei che, narrano le leggende, benedisse la regina del regno di Saracomea “all’alba” dell’Era della Notte e dei Demoni. Ai tempi i demoni erano più potenti e agguerriti dell’epoca moderna. Erano in guerra contro l’umanità intera e la potenza delle loro orde sembrava imbattibile. Alla vigilia della battaglia decisiva, Leeha andò in sogno alla regina e le mostrò come sbarazzarsi del nemico, e lo lo fece baciandole le labbra: un bacio intinto nel sangue nero. La mente di uomo è vulnerabile alla tentazione dei demoni… la mente di un folle per loro è un veleno. La battaglia fu vinta con una mossa tanto azzardata quanto vincente: un’avanguardia di uomini di comprovata follia, capaci non solo di annullare gli effetti dei loro poteri, ma di generare il panico nelle orde nemiche. Da quel giorno la follia viene considerata una benedizione e tutte le donne della dinastia reale si sono ritrovate misteriosamente in possesso del “Dono della premonizione”. La regina che siederà sul trono dovrà scegliere il proprio sovrano in sogno, attraverso una “visione” indotta magicamente, e assumerà il titolo di Regina Folle. Il sangue virgineo dell’erede al trono è considerato la più alta offerta di sacrificio alla Dea, tanto che il rituale ha assunto fin dalla prima Regina folle un valore sacrale; violare la tradizione, dunque, non consiste solo in un insulto alla famiglia reale, ma alla Dea stessa ed è considerato un sacrilegio. Tuttavia, la moglie di Vinorius ebbe un sogno. Vide una bambina girata di spalle, circondata da macerie e cadaveri carbonizzati riversi al suolo. Una visione che lei interpretò con un ammonimento della Dea; sulla quale veridicità non è mai stata avanzata discussione, ma si è mormorato, e tanto, che fosse un disperato tentativo di una madre di salvare il sangue del proprio sangue. Vinorius, che della consorte si fidava ciecamente, non dubitò mai delle sue parole. Si recò infatti personalmente nelle segrete del castello e liberò i giovani, condannando la sua adorata figlia all’esilio. Sarebbe toccato alla sua secondogenita, Ciadra, salire al trono. Dopo neanche un anno venne al mondo la piccola Ceovida e crebbe circondata da un amore incondizionato. Trascorreva le sue giornate all’aperto, aiutando il padre Ceobard a sistemare gli Zeppelin, divertendosi ad apprendere ogni segreto di quelle aeronavi così affascinanti. Un giorno, però, quell’idillio finì in tragedia: Ceobard ebbe un incidente mentre era in volo e lui e tutti i passeggeri morirono sul colpo. In modi mai del tutto chiariti. Il tempo era sereno, i documenti attestavano che ogni revisione del velivolo fosse in regola. Ceo rimase orfana di padre a soli 15 anni, assumendosi la responsabilità di provvedere alla famiglia. Con le sue conoscenze essere assunta dalla Divisione Zeppelin era stato uno scherzo e cominciò a svolazzare in lungo e in largo per il continente trasportando uomini, eserciti e merci. Mentre sua madre Jovida trascorreva le giornate chiusa in casa, affranta dalla perdita, maledicendo la dea Leeha per non averle presagito l’incidente dell’amato marito. Ma la Dea non aveva più visitato i sogni di Jovida, da quando lei e Ceobard avevano concepito la loro unica figlia. E, sebbene si vociferi ancora sulla sua autenticità, sua madre ebbe davvero un sogno. Era Ceovida quella bambina girata di spalle? E cosa significa tale visione? Di tutto questo, una sola cosa è assolutamente certa: la follia non ha mai un disegno ben preciso. Ciò che la rende davvero terrificante, è che ognuno di noi può darle un volto diverso: quello che temiamo di più. Una realtà da cui persino i demoni, il male fatto carne e sangue, fugge terrorizzato…
Till Ariete di Pietra Nome: Till Ariete di Pietra (avrebbe anche un cognome, ma ormai tutti lo conoscono con il soprannome di “Ariete di Pietra”)
Descrizione fisica: Till è uomo alto due metri, con la corporatura taurina di chi nella vita non fa altro che combattere e maneggiare armi od ogni altro genere di oggetto pesante: due spalle enormi, una muscolatura poderosa. Carnagione chiara, i capelli lisci di un raro colorito corvino che, controluce, viene esaltato da decine di riflessi luminosi. Li porta corti, con un unico ciuffo ribelle e spigoloso che scende sulla fronte; spesso lo tira indietro con uno scatto della testa. I suoi occhi sono del colore del ghiaccio, con delle scaglie di bianco purissimo regolari quanto i lineamenti del suo viso squadrato. Si rade spesso, perciò è sempre privo di baffi o di una barba. E considerata anche la sua espressione perlopiù cupa, torva, poco amichevole, è difficile che i bardi cantino della sua bellezza (anche se qualche estimatore potrebbe definirlo “un tipo”). Veste una giubba aderente, calzoni e stivali, tutto rigorosamente di pelle nera. Con una cotta di maglia che s’intravede sotto i vestiti, spallacci e protezioni d’acciaio. Alla cintura porta il fodero di una spada lunga e un paio di pugnali. Ma ci sono dozzine di altre armi disseminate in tutto il suo corpo. Presenti, ma è impossibile notarle a occhio nudo. Tre piccoli frammenti di gemma, uno rosso, uno grigio e l’altro ocra (in pratica, dei piercing fatti con gemme preziose anziché metallo) sono incastonate nel suo sopracciglio sinistro. Simboli di uno sconosciuto rituale tribale.
Il carattere: Cinico, sarcastico, poco incline a dare confidenza. Ha un forte senso del dovere. Nonostante l’apparenza dei suoi modi indolenti, prende i suoi impegni terribilmente sul serio; soprattutto ciò che giura di fare o non fare. È un uomo sopravvissuto a numerose battaglie, stragi e devastazioni. Queste esperienze l’hanno reso ciò che è ora e gli hanno insegnato a tenere in considerazione solo i suoi obiettivi e le regole basilari per sopravvivere anche nelle comunità meno raccomandabili del continente; il resto, che siano feriti sul ciglio della strada o qualsiasi genere di tentazione che possa portare l’uomo alla pazzia, anche il sesso, può andare a farsi fottere. Nonostante le apparenze, ha un’indole neutrale: non accetta mai uno scontro senza una ragione, a meno che qualcuno non cerchi di infastidirlo. “La vita è puro e semplice arbitrio”, viene insegnato dalla Dottrina dell’equilibrio di Esdrea. Un modo di esistere che Till ha assimilato fin dentro la sua anima, mentre cresceva e sviluppava la capacità di intuire sempre le intenzioni di chi lo circonda. Imparare a non lasciarsi ingannare può fare la differenza tra vivere e morire, e imparare, sempre, dalle proprie esperienze, è un passo fondamentale sulla via dell’equilibrio. Tale dottrina non è una religione, anche se gli Zeloti professano il contrario. Till infatti non crede nell’esistenza di alcuna divinità, ma solo nel disegno della natura come concepito dalla trapassata vate Esdrea: vita e morte, male e bene, gioia e dolore, sono i raggi di una ruota in costante movimento. E quando uno solo di essi venisse a mancare, il concetto stesso di esistenza, di sopravvivenza, di ego, perderebbe di significato. Nulla è davvero giusto, nulla è davvero sbagliato: ciò che conta davvero è continuare a muoversi finché il respiro vitale ce lo consente.
Classe: Till è un guerriero. In mischia usa la sua enorme spada a due mani, ma all’occorrenza non disdegna lance, coltelli o altre armi leggere. Ha passato la vita ad affinare la sua maestria con le armi e più o meno efficacemente ha imparato a maneggiarle tutte; è più che discreto anche nel combattere a mani nude, ma ciò è dovuto più che altro alla sua stazza e alla forza esplosiva delle sue gambe. In battaglia, un colosso del genere viene spesso utilizzato per spezzare le linee difensive del nemico, aprendo la strada ai suoi compagni d’arme. E Till è diventato talmente così terribilmente efficiente da sembrare che un demone l’abbia posseduto. Presto hanno iniziato a circolare voci su un guerriero soprannominato “Ariete di Pietra”. Sussurri che ne hanno amplificato il mito, tanto che oggi i suoi nemici hanno imparato a tremare di paura, quando apprendono che si trova dall’altra parte del campo di battaglia. Se è molto eccitato (nel senso di rabbioso o emozionato) una lingua di fuoco, simile a una frusta, può scaturire dal suo corpo e distendersi anche per metri, ma in seguito la sua padronanza del fuoco si affievolisce per qualche ora.
Lore: Il lontano Nord è una terra di leggende e di draghi. Sede del decaduto Impero dei Dragonidi. Un luogo impervio, instabile, dove è difficile coltivare la terra e dove le bestie feroci hanno pellicce così spesse che nemmeno una spada di puro acciaio potrebbe scalfirle. Solo un manipolo di uomini ha dimostrato di avere il coraggio e la ferocia per destreggiarsi in un tale inferno sulla terra. Clan di guerrieri isolazionisti, selvaggi, più bestie che uomini. Le leggende sul loro conto li vedono spesso accompagnarsi, e accoppiarsi, con creature ultraterrene chiamate Genasi, per potenziare la loro carne con la loro magia e crescere una prole migliore, più agguerrita. Till nacque nella brutalità e nella caccia. Un ambiente che lo rese presto orfano. Di genitori, di clan. Viaggiò in lungo e in largo nel continente a Nord, finché il caso non volle che un giovane, ambizioso nobile di nome Zol Dan Beck non si imbattesse in lui. Vedendo in quel ragazzo, troppo grade per la sua età, un’opportunità. Vedendo nella sua natura selvaggia un guerriero, grezzo, che avrebbe potuto trasformarsi nella punta di diamante dei suoi mercenari. Pagò stregoni ed eruditi, ed essi si trovarono concordi nell’affermare che Till apparteneva a una rara discendenza con i Genasi del fuoco. Il ragazzo era in grado di estinguere un fuoco che stava bruciando semplicemente toccando, o di farlo bruciare con molta più violenza del normale; al punto che le fiamme, da rosse, potevano assumere un caratteristico colorito azzurro. Non che il ragazzo attribuisse chissà quale importanza alla faccenda. Per lui un tale potenziale magico era utile al più per accendere un fuoco da campo, o riscaldarsi se piove. Ma per il nobile, Till era più di questo: era un’opportunità. Un’opportunità per fermare la lenta decadenza degli Zeloti, e dunque per riaffermare la loro influenza, e così la propria... La sua padronanza sul fuoco poteva essere sfruttata. Poteva essere la chiave per dominare il miracolo della Fiamma Purificatrice e instaurare una campagna di sabotaggio che ne indebolisse il mito agli occhi del popolino, e con esso l’eresia in perenne ascesa della Chiesa di Shuva. Il giovane barbaro, tuttavia, comprese quali erano i piani del nobile e si guardò bene dal diventare una sua pedina. Aveva imparato a provvedere a sé stesso da solo, non a rispondere agli ordini di chi gli serviva il cibo in tavola, come cane ammaestrato; aveva imparato a sopportare il freddo, vera piaga per il suo corpo affine all’elemento del fuoco; soprattutto, aveva imparato sulla sua pelle che non c’era nessuna divinità, nessun potere superiore. E come non esistevano esseri superiori, così non poteva esistere alcun rapporto sbilanciato tra le persone. Scappò per diventare un soldato di carriera, e lo fece con una fermezza tale che i mercenari di Dan Beck non ebbero scampo. Si prese persino una mano di Zol Dan Beck, e con le ossa la carne bollita ci ricavò l’impugnatura del suo spadone. Perché lui è guerriero solitario. Perché l’unica mano che può muoverlo è la propria. Non ha legami, non ha altro scopo se non continuare a vivere. L’unico barlume di considerazione lo riserva ai compagni di squadra che, giorno dopo giorno, avventura dopo avventura, si alternano al suo fianco. Il resto può andare a farsi fottere.
Aspirazioni: Diventare un guerriero migliore. Imparare costantemente e sopravvivere più a lungo possibile.
Abitudini: Spesso getta indietro il ciuffo ribelle con uno scatto del capo. È di poche parole, tende a stare sulle sue. Se non ha niente da fare, controlla che il suo equipaggiamento sia in ordine.
Equipaggiamento: In battaglia è provvisto di un’armatura completa. Elmo, un pettorale leggero, protezioni sulle spalle, gomiti e avambracci. Tutto in acciaio rigorosamente annerito, come se fosse stato ricoperto di fuliggine. Roba efficiente, robusta e funzionale, come ci si aspetta da chi ha passato la vita sul campo di battaglia.
Soden Millefacce Nome: Soden Millefacce Descrizione: Soden è una leggenda. Nessuno sa quale sia il suo vero aspetto, nessuno sa se esista veramente o è soltanto un racconto del volgo o di qualche stolto nobilotto che non vuole ammettere la sua incapacità nel proteggere i suoi averi. Le storie che circolano su di lui lo dipingono sempre come un uomo. Bello, atletico , che nonostante il suo ruolo suggerisca altrimenti non rinuncia mai a vestire con eleganza, a volte tutt’altro che sobria. In alcune, egli è un giovane alle soglie dell’età adulta, in altre un uomo, un veterano, un signore affascinante dalla chioma che inizia a ingrigirsi donandogli regalità. Nessuno, tra estimatori, rivali o nemici, in poco più di trent’anni dacché è entrato in attività, è mai riuscito a produrre una versione concorde della sua fisionomia, dei gesti nervosi, di qualunque cosa possa identificarlo al di fuori dei suoi obiettivi; che sono ben noti. È come se fosse un’ombra capace di mutare forma in base a cosa venga abbagliato dalla luce del Sole, o della luna. Carattere: La psicologia di quest’uomo è il riflesso delle sue avventure. Seduttore, abile oratore e poeta, uomo di mondo, detective e pittore a tempo perso. Amante di tutto ciò che è bello, del brivido dell’azzardo o della caccia… mentre si impegna a raggiungere ciò che brama. Perché che sia un oggetto, un modello da ritrarre su tela o una bella donna, qualunque cosa riesca a ingenerare in lui un profondo rispetto, e di conseguenza a solleticare il suo interesse, deve essere suo. È ladro, un truffatore, un falsario.
Mai un assassino: prova una profonda e viscerale repulsione per l'omicidio e trova semplicemente impossibile torturare un altro essere senziente. E mai infallibile. Se si accorge di aver commesso un errore, è sempre pronto a rimediare; sa come essere generoso e servizievole, perché c’è più gusto a seguire l’etichetta quando si infrangono le regole: esse diventano scelte e non obblighi morali da eseguire per compiacere questo o quel potente; nessuna legge dell’uomo avrà più valore cogente della sua stessa parola, perché non promette mai qualcosa che possa andare in conflitto con i suoi principii. Farebbe qualunque cosa per i suoi compagni ed estimatori (se ha amici, non è dato sapere) e loro lo ripagano con una lealtà assoluta; deruba esclusivamente chi se lo merita. Ma ha anche dei difetti: le donne. Le muse della sua leggenda, bellissime e accattivanti, testarde o irresistibili, candide come un fiore o audaci e smaliziate, ma tutte in grado di affrontarlo a testa alta finanche ad averla vinta; le notti e i modi in cui è riuscito a sedurle sciogliendo i loro cuori riempiono i sogni d’amore delle giovani donzelle.
Classe: Negli anni sono state elaborate diverse ipotesi, da chi ritiene che Soden sia più che una mera leggenda. Maghi ed eruditi ritengono che egli sia un maestro della magia camaleontica, o che comunque sappia padroneggiare con discreta abilità i fondamentali di questo ramo della magia. Non si tratta, dunque, di druido capace di mutare forma in animale, ma nemmeno un mero illusionista. Ma il potere magico, si sa, non può essere utilizzato in qualunque occasione. Le magie possono essere annullate, i maghi affaticarsi. Perciò si pensa che Soden sia abile anche nel travestimento e nella furtività. E che sia versato nei talenti marziali (un monaco – ladro, per intenderci) per sopperire alla sua scarsa attitudine con le armi da mischia; tranne quando occorre slacciare un corsetto con la lama di un pugnale, con una grazia e una precisione tali da far impallidire un cerusico. Pare inoltre che abbia sviluppato anche un piccolo talento nell’addestrare rospi (o forse è un meccanismo evolutivo dato dalla sua magia camaleontica, come accennano gli eruditi?), che solitamente usa come palo; quando questi animali tacciono improvvisamente i loro gracidii, qualche storia suggerisce che sia segno che si avvicina qualcuno.
Lore (Non ipotesi): Figlio di una ragazza nobile diseredata dalla famiglia e fuggita dall’altra parte del mondo con un pretendente che non approvavano. Quando scoprì che era un ladro, lei prese i suoi figli e andò a vivere alla periferia di un villaggio lontano. Soden crebbe nella povertà. Un’infanzia fatta di rinunce e sogni infranti. Di quelle maledette montagne che non gli permettevano di scorgere al di là della minuscola valle dove si riempiva ogni giorno le mani di calli e di fango. Sotto il giogo di un signorotto che si divertiva a tormentare e umiliare i suoi servi, a torturare; e anche a possedere con la forza le figlie più avvenenti dei contadini, instillando in lui il disgusto per la nobiltà. Anche sua madre. Ma a differenza di tutte le altre donne che finivano nelle sue grinfie, c’era qualcosa in lei che rimaneva sempre intatta. Un scintilla di fierezza, di rara bellezza, che per Soden rappresentò una luce abbagliante in quegli anni bui. Il rispetto che provava per quella donna forte e orgogliosa non l’aveva mai provato per nessuno. Era l’unica che riuscisse a farlo rigare dritto, a mostragli, con la sua sola esistenza, che la vera bellezza non risiedeva nelle cose materiali che non poteva avere: nasceva da dentro, e si proiettava verso l’esterno. Quando morì, per vendicarla e provvedere a sua sorella, commise il suo primo furto. Grazie ad esso riuscì a mantenere la famiglia, che si era ristretta alla sorella e alla vecchia tata a cui sua madre li aveva affidati alla sua morte. Negli anni seguenti per sbarcare il lunario visse di piccoli furti, fino a quando incontrò un ladro professionista che gli insegnò davvero il mestiere e gli mostrò quanto è vantaggioso avere complici; è grazie ai suoi insegnamenti che ora è un ladro famoso. Ma più di tutto, gli insegnò l’arte della magia camaleontica. Si narra che un’antica imperatrice, in un’epoca ormai lontana, fosse riuscita ad entrare in contatto con le acque del Crogiolo del Mondo e ad abbeverarsi dalla fonte della saggezza degli Dei. Esso le avrebbe donato, secondo la leggenda, il potere di assumere le sembianze di ipotetici futuri discendenti e tramite essi mutare forma in una donna di bellezza senza eguali. Fu il precursore della magia camaleontica, la quale si è scoperta in grado di proiettare il possibile futuro e il passato di una genia nella carne dell’utilizzatore; i più versatili in questa disciplina, come elfi e orchi, si sussurra che riescano a produrre discendenti dotati di mutazioni evolutive, come ad esempio ali o branchie, ma anche piume affilate come l’acciaio, dando credito a quegli eruditi che teorizzano che le razze del mondo possano evolvere nell’arco di millenni; dicerie bollate come sacrilegio sia dagli Zeloti che dalla Chiesa di Shuva, le quali più volte hanno comandato di bruciare i libri che parlavano di questi argomenti, bollandoli come vili insulti alla purezza immutabile delle razze, così come sono state volute dalla Dea. Soden non è un tipo che guarda molto al passato e, ancora oggi, non ha mai notato che, in alcune rocambolesche fughe con il suo maestro, sembrava quasi che le guardie stessero inseguendo la stessa persona… La storia della madre e il suo passato lo hanno inevitabilmente segnato, lasciandolo con un forte desiderio di rivalsa, di prendersi ogni genere di lusso, ma anche con un profondo disprezzo per l'ipocrisia e l'iniquità ed è costantemente diviso tra il desiderio di fare parte dell'alta società (in cui è capace di mimetizzarsi alla perfezione, come se ce l’avesse nel sangue) e l'impossibilità di appartenervi davvero, perché la vita di un aristocratico è vuota e disgustosa; e pur riconoscendo questo contrasto che si agita dentro di lui ogni giorno, non manca mai di riderci sopra o di vivere il presente con la sua inguaribile ironia. Nonostante il suo stile di vita sopra le righe, l’istinto di protezione che prova per la sorella Tyssa è tale da averle impedito di seguire le sue orme, di vivere la vita sul filo del rasoio come fa lui, fino anche ad intromettersi in alcune delle sue più importanti avventure amorose. Tra questo e il fatto che lui ha scelto una professione che è stata il motivo della rottura dei loro genitori, e soprattutto le sofferenze della madre (cosa che Soden non ha mai perdonato alla sorella di aver detto), ha inevitabilmente inasprito i loro rapporti, trasformandoli in un distorto amore-odio; in cui entrambi sono troppo orgogliosi per mettersi l’una nei panni dell’altro. Ciò, inevitabilmente, ha spinto Tyssa a trovare una vocazione totalmente diversa da Soden: una Ranger di Suthra, il Dio della Bilancia e della Giustizia. Un ordine superpartes patrocinato soprattutto dagli Zeloti della Purità, che si occupa di dare la caccia a criminali di ogni sorta in tutto il continente. Ironia della sorte, l’unica persona rimasta in vita in tutto il continente che sappia la vera identità di Soden Millefacce, è anche l’unica che, nonostante tutto, non lo ha mai denunciato…
Aspirazioni: Ritrovare il figlio segreto, strappato alla nascita dalla madre morente di parto, che un ”Uomo con la voglia sul viso” ha consegnato a uno dei suoi più acerrimi nemici. Questi è l’unico a conoscere l’identità di chi l’ha ingaggiato per rapire il fanciullo. Soden lo cerca invano da anni, ma mai con la costanza di un padre disperato. È ancora incerto se credere che suo figlio sia effettivamente vivo e non morto durante il parto, come giura chiunque abbia conosciuto o sia stato vicino alla madre. Eppure qualcosa, un istinto paterno forse, o la mera curiosità di essersi visto allo specchio con le possibili sembianze del sangue del suo sangue e voler scoprire se scorgerà mai in altri quegli stessi tratti, non gli hanno mai fatto abbandonare questo proposito. Anche se l’Uomo con la voglia sul viso sembra essere un’ombra ancora più inarrivabile di quanto sia lui. Sempre ammesso che sia davvero esistito, e sempre che qualcuno abbia davvero voluto rapire suo figlio. Ma perché e chi, della sua lunga lista di nemici, avrebbe compiuto un gesto tanto crudele?
Abitudini: Quando non frequenta l’alta società, è vegetariano e non beve alcolici. Lascia sempre la firma e fa' in modo che tutti parlino delle sue imprese, buone o cattive che siano, anche se i più continueranno a pensare che lui sia solo un mito: una pallida rosa di Argentia, il fiore preferito di sua madre.
Equipaggiamento: Porta con sé gli attrezzi del mestiere e non è mai a corto di soldi. Un pugnale.
[Modificato da Ghostro 09/07/2023 22:44] |